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In Spagna, nel mezzo di una gravissima crisi economica e sociale, il governo socialista del leader Luis Zapatero ha inflitto al Paese un ulteriore durissimo colpo alla civiltà della vita. Dal 5 luglio è entrata in vigore la nuova normativa di riforma sull’aborto, che de facto rende lo stesso una banalissima pratica sciolta del tutto da ogni vincolo etico-morale di rispetto per la persona. La legge del 1985 che depenalizzò l’aborto in Spagna, rendendo un diritto quello che fino ad allora era un delitto, prevedeva l’autorizzazione solo nelle ipotesi di malformazione del feto, gravi rischi per la salute psichica o fisica della madre, violenza sessuale. Questi pochi scrupoli di coscienza del legislatore sono stati spazzati via dalla riforma Zapatero, che sta suscitando una forte alzata di scudi in tutto il Paese, Partito Socialista compreso, a causa della evidente aggressività a-morale di stampo radicale eugenetico che la legge presenta. Vediamo i punti cardine succintamente. Con la nuova legge si alza la soglia, fino a 14 settimane, entro cui la donna sarà assolutamente libera di scegliere la soppressione del feto. In caso di malformazione del feto, sarà possibile l’aborto fino alla 22ª settimana. Addirittura, sfidando il ragionevole margine di errore della diagnostica clinica, la legge prevede che – ove venisse diagnostica una patologia incurabile o «incompatibile con la vita del feto» – sarà eliminato ogni limite all’aborto. Ma il punto ancora più preoccupante – per lo sfaldamento di ogni vincolo solidaristico e pubblico della legge – è il fatto che le minorenni, dai sedici anni in su, sono autorizzate ad abortire liberamente, senza più la necessità del parere vincolante dei genitori, ma dietro una mera comunicazione agli stessi: in altri termini, se per un verso il diritto civile ritiene il minorenne privo della capacità giuridica di agire per il semplice acquisto di un bene od una normale transazione patrimoniale – proprio in quanto minore – per converso lo ritiene pienamente capace di agire laddove disponga la soppressione di una vita umana. La disumana aggressione di questa riforma ai pilastri giuridici della tutela della persona ha portato ad una sollevazione dell’opinione pubblica a più livelli. In Parlamento il Partito Popolare ha già sollevato un’eccezione di illegittimità costituzionale della legge e si auspica la sua possibile sospensione in via cautelare: infatti la Corte Costituzionale spagnola già con sentenza del 1985 aveva creato un precedente affermando che la vita del non nato (sic) sia un bene giuridico costituzionalmente protetto dall’art.50 della Costituzione, Magna Carta spagnola. La liberalizzazione del’aborto fino a 22 settimane lascia praticamente il bimbo in grembo privo di protezione, alla mercè della libertà assoluta della madre. A livello regionale – essendo la Spagna un Paese che al pari dell’Italia ha introdotto una forte autonomia legislativa e amministrativa alle Generalitat (Regioni, ndr) – la Navarra ha già presentato ricorso costituzionale contro la riforma Zapatero. A livello sanitario diverse associazioni che rappresentano i medici contestano al governo il peso insopportabile di una responsabilità che non intendono assumere, ovvero la decisione di sopprimere il feto, in luogo dei genitori o in presenza di malformazioni gravi che pregiudicano la vita. Infine, la dichiarazione di principio della riforma Zapatero, secondo cui l’aborto rientra nei diritti fondamentali della persona, apre un gravissimo vulnus giuridico nel sistema occidentale, e ripropone una questione dirimente che troppi legislatori e politologi – anche e purtroppo nel mondo cattolico – affrontano con evidente disagio se non ritrosia: la affermazione forte e chiara del rapporto necessario tra norma e morale nello Stato laico.
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