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« Torna alla edizione
Se c’è un tema principale del Magistero di Benedetto XVI, è quello dell’equilibrio necessario fra fede e ragione: «Voi sapete che io insisto molto sulla relazione tra fede e ragione». Fede e ragione, secondo l’immagine tante volte richiamata da Benedetto XVI con cui si apre l’enciclica Fides et ratio del venerabile Giovanni Paolo II «sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II 1998, incipit). Senza l’equilibrio tra le due ali l’aereo non può decollare, ma si schianta. In Spagna Benedetto XVI ci dice qualche cosa di più. L’equilibrio fra fede e ragione richiede pure – anzi, è – l’equilibrio tra fede e bellezza, «tra fede e arte».
Il passaggio dev’essere seguito nella sua logica, filosoficamente rigorosa. Chi dice ragione, dice verità. Se non è capace di conoscere la verità e non si lascia misurare dalla verità, la ragione non è vera ragione. Ora, la verità non si può separare dalla bellezza. «La verità, scopo, meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza, si prova come verità. Quindi dove c’è la verità deve nascere la bellezza, dove l’essere umano si realizza in modo corretto, buono, si esprime nella bellezza. La relazione tra verità e bellezza è inscindibile» (ibid.).
Non solo la bellezza in genere ma anche la specifica bellezza dell’arte è inseparabile dalla verità, e in particolare dalla verità di cui è custode la Chiesa. «Nella Chiesa, dall’inizio, anche nella grande modestia e povertà del tempo delle persecuzioni, l’arte, la pittura, l’esprimersi della salvezza di Dio nelle immagini del mondo, il canto, e poi anche l’edificio, tutto questo è costitutivo per la Chiesa e rimane costitutivo per sempre. Così la Chiesa è stata madre delle arti per secoli e secoli: il grande tesoro dell’arte occidentale – sia musica, sia architettura, sia pittura – è nato dalla fede all’interno della Chiesa. Oggi c’è un certo “dissenso”, ma questo fa male sia all’arte, sia alla fede: l’arte che perdesse la radice della trascendenza, non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva» (ibid.).
Questo è evidente per l’arte dei secoli della fede. Ma che dire dell’arte di oggi? Secondo il Papa – per così dire (l’espressione è mia, non di Benedetto XVI) – non dobbiamo regalare l’arte di oggi al secolarismo laicista. «Una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente; ed oggi deve esprimersi di nuovo come verità, che è sempre presente. Perciò il dialogo o l’incontro, direi l’insieme, tra arte e fede è inscritto nella più profonda essenza della fede; dobbiamo fare di tutto perché anche oggi la fede si esprima in autentica arte […] nella continuità e nella novità, e […] l’arte non perda il contatto con la fede» (ibid.).
«Fare di tutto»… Ma, a fronte dell’enorme distanza che intercorre fra l’arte moderna e la fede, questa impresa ha qualche speranza di successo? Sì, risponde il Papa, e la prova è precisamente il servo di Dio Antoni Gaudí. «Geniale architetto», «la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta», in «quella meraviglia che è la chiesa della Sacra Famiglia», «miracolo architettonico» e «ambiente santo di incantevole bellezza» (ibid.) – le espressioni di Benedetto XVI, come si vede, sono piuttosto impegnative –, Gaudí costruì le sue opere come «frecce che indicano l’assoluto della luce e di colui che è la Luce, l’Altezza e la Bellezza medesime» (ibid.).
Gaudì non è un puro imitatore dell’arte cristiana tradizionale, ma si pone in «continuità» con questa reinterpretandola nel contesto contemporaneo. sintesi tra continuità e novità, tradizione e creatività. «Gaudí ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare di nuovo, nel suo secolo – con una visione totalmente nuova – questa realtà: la cattedrale luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, in una grande solennità; e questo coraggio di rimanere nella tradizione, ma con un creatività nuova, che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità della storia e il progresso della storia» (ibid.).
Ma che cos’è, in fondo, l’originalità, se non il senso dell’origine, cioè di Dio? «Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all’origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città [Barcellona] uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa. Così l’architetto esprimeva i suoi sentimenti: “Una chiesa [è] l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo, poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo”».
IL SEGRETO DEL SERVO DI DIO ANTONI GAUDÍ
Benedetto XVI va oltre, e si chiede quale fosse il segreto del servo di Dio Antoni Gaudí, il cuore del pensiero di un genio cristiano che pure ha scritto molto poco. La risposta è che «Gaudí voleva questo trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia. E questa sintesi proprio oggi è di grande importanza. Nella liturgia, la Scrittura diventa presente, diventa realtà oggi: non è più una Scrittura di duemila anni fa, ma va celebrata, realizzata. E nella celebrazione della Scrittura parla la creazione, parla il creato e trova la sua vera risposta, perché, come ci dice san Paolo, la creatura soffre, e, invece di essere distrutta, disprezzata, aspetta i figli di Dio, cioè quelli che la vedono nella luce di Dio. E così – penso – questa sintesi tra senso del creato, Scrittura e adorazione è proprio un messaggio molto importante per l’oggi».
Sul tema dei tre libri – della natura, della Sacra Scrittura e della liturgia – da leggere insieme e da assumere come ispirazione dell’opera d’arte, Benedetto XVI torna in occasione della dedicazione della Sagrada Família. In questo suo capolavoro, afferma il Papa, «Gaudí volle unire l’ispirazione che gli veniva dai tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia».
In modo per nulla casuale, il servo di Dio giocò sulla relazione fra l’interno e l’esterno della Sagrada Família, che concepiva come una «lode a Dio fatta di pietra» e una Biblia pauperum attraverso la quale «voleva portare il Vangelo a tutto il popolo» (ibid.). Così dunque «introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo». Inoltre «concepì i tre portici all’esterno come una catechesi su Gesù Cristo, come un grande rosario, che è la preghiera dei semplici, dove si possono contemplare i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi di Nostro Signore».
Opera complessa e completa, la Sagrada Família non è solo una chiesa. Il progetto di Gaudí comprendeva anche una scuola. «In collaborazione con il parroco, [il servo di Dio] don Gil Parés [1888-1936, fucilato in odio alla fede durante la guerra civile], disegnò e finanziò con i propri risparmi la creazione di una scuola per i figli dei muratori e per i bambini delle famiglie più umili del quartiere, allora un sobborgo emarginato di Barcellona» (ibid.).
Così, la costruzione della pure incompiuta Sagrada Família non fu un’opera d’arte fine a se stessa. Gaudí «collaborò in maniera geniale all’edificazione di una coscienza umana ancorata nel mondo, aperta a Dio, illuminata e santificata da Cristo. E realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza. Antoni Gaudí non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre, linee, superfici e vertici. In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo».
PERCHÉ «SAGRADA FAMÍLIA»?
La scelta della Sacra Famiglia come titolare della chiesa di cui Gaudí iniziò la costruzione non fu casuale. Gaudí e i suoi committenti – «l’iniziativa della costruzione di questa chiesa si deve all’Associazione degli Amici di san Giuseppe» (ibid.) – scelsero «una devozione tipica dell’Ottocento: san Giuseppe, la Sacra Famiglia di Nazareth, il mistero di Nazareth». Dunque, «questo edificio sacro, fin dalle sue origini, è strettamente legato alla figura di san Giuseppe. Mi ha commosso specialmente – afferma il Papa – la sicurezza con la quale Gaudí, di fronte alle innumerevoli difficoltà che dovette affrontare, esclamava pieno di fiducia nella divina Provvidenza: “San Giuseppe completerà il tempio”. Per questo ora non è privo di significato il fatto che sia un Papa il cui nome di battesimo è Giuseppe a dedicarlo».
Il clima culturale in cui nasce il progetto deve molto a un santo, «san José Manyanet [y Vives, 1833-1901]», il quale «diffuse tra il popolo catalano» (ibid.) «la devozione alla Sacra Famiglia di Nazaret» (ibid.). Si potrebbe pensare che si tratti di una devozione ottocentesca, ben poco di attualità oggi. Ma è piuttosto il contrario. A fronte dell’attacco laicista alla famiglia «proprio questa devozione di ieri, si potrebbe dire, è di grandissima attualità, perché il problema della famiglia, del rinnovamento della famiglia come cellula fondamentale della società, è il grande tema di oggi e ci indica dove possiamo andare sia nella costruzione della società sia nella unità tra fede e vita, tra religione e società. Famiglia è il tema fondamentale che si esprime qui, dicendo che Dio stesso si è fatto figlio in una famiglia e ci chiama a costruire e vivere la famiglia».
Certo, rispetto al tempo del servo di Dio Gaudí, grandi progressi tecnologici hanno risolto tutta una serie di problemi «tecnici» e anche «sociali» (ibid.). Ma noi «non possiamo accontentarci di questi progressi. Con essi devono essere sempre presenti i progressi morali, come l’attenzione, la protezione e l’aiuto alla famiglia, poiché l’amore generoso e indissolubile di un uomo e una donna è il quadro efficace e il fondamento della vita umana nella sua gestazione, nella sua nascita, nella sua crescita e nel suo termine naturale. Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà, nasce e perdura la vera libertà» (ibid.). Per questo, la dedicazione di una chiesa costruita da un architetto santo e intitolato alla Sacra Famiglia è un gesto profetico nella Spagna di oggi.
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