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QUANDO I GIOVANI DICONO CHE VOGLIONO DIVENTARE FAMOSI IN UN TALENT SHOW O COME VELINE, IN REALTA' STANNO PARLANDO, NELL'UNICO MODO CHE SANNO, DELLA LORO SETE DI ASSOLUTO, DI BELLO, DI GRANDE
Possibile che ai ragazzi nessuno parli mai di mete alte, esigenti, rigorose? I generici buoni sentimenti a quell'età non funzionano, non li fanno innamorare questi ragazzi, che vogliono sentirsi dire la Verità
di Costanza Miriano

Nel pomeriggio di oggi sarò a Sulmona a parlare di educazione. Non credo che sarebbero in tempo per disdire il programma e l'invito, neanche se un agente della Cia (Colpire Imbroglione Astute) origliando dal mio giardino mi avesse sentito compiere alcune nefandezze, giusto ieri sera.
Tanto per cominciare mi sono risentita perché Lavinia ha detto che vuole stare in camera col babbo, se in albergo ci dobbiamo dividere, e l'ho fatta oggetto di una serie di rappresaglie morali fino a che non è stata costretta a dichiararmi amore eterno. Le ho fatto anche la più infingarda, abietta, ripugnante domanda che una madre possa fare al suo bambino: vuoi più bene al babbo o alla mamma? (E la risposta esatta era una sola).
Ho proseguito con reazioni scomposte e per niente sagge a un figlio che stava dribblando il ripasso di scienze ("tanto esco due ore prima per venire a Sulmona"). Ho cominciato con voce soave e ferma illustrando la bellezza dello studio fatto non per il professore ma per amore del sapere, ho finito,  starnazzando come un tacchino. Sì, ha ripassato, ma ho come il sospetto di non averlo convinto della beltà dello studio del tessuto epiteliale.
Andare, io, a parlare di educazione... E' un po' rischioso. Che ne so se sto facendo un lavoro dignitoso? Lo scoprirò, forse, fra qualche annetto (dalla fossa, probabilmente).
Trascorrere qualche ora con i miei figli non ha mai indotto in nessuno dei miei amici il desiderio di fare una vasectomia, e questo già lo ritengo un risultato notevole.
Per il resto, credo che ogni genitore funzioni in qualche settore, e sia un po' zoppicante in altri. Infatti Dio ne prevede due per ciascuno.
Ovviamente a parlare di educazione domani ci dovrebbe andare mio marito, ché quello equilibrato della famiglia è lui. E' lui che si fa rispettare, è lui che è temuto, e che sa dosare sapientemente gioco e regola, divertimento e dovere, gratificazione e punizione.
Io ho dovuto smettere di allattarli quando hanno cominciato a chiedere se il latte non si poteva avere corretto, e ho un'idea un po' creativa dell'ordine e dell'organizzazione. Se potessi allestire sulla mia pancia delle comode tasche marsupiali me li terrei tutti sempre attaccati, anche al lavoro, sopportando, lo ammetto, un piccolo rallentamento nell'acquisizione dell'autonomia. (Sì, la teoria la so, è che se ogni tanto non mi faccio delle terapie inalatorie del loro odore mi sento mancare).
Comunque, i genitori dei liceali domani staranno ad ascoltarmi, e non me ne capacito. Svicolerò dalla mia esperienza di madre, ancora nel mezzo del guado, e virerò verso quella di scrittrice, ben più facile. Dirò che una coetanea dei loro figli mi ha scritto ringraziandomi perché il suo professore le ha consigliato il mio libro, e lei è rimasta folgorata, affascinata dall'idea del matrimonio che ne veniva fuori. Moriva dalla voglia di raccogliere una sfida, quella di una scelta impegnativa, difficile, definitiva.
Mi sono stupita. A parte lo stile scazzafrullone, diciamo la verità, non ho proposto alcuna novità. Possibile che a questi ragazzi nessuno parli mai di mete alte, esigenti, rigorose? Eppure un adolescente è per forza pieno di amore per l'assoluto, per le vette, per il traguardo più lontano. Qualcosa che faccia battere forte il cuore. Questa sete va saziata. Quando dicono che vogliono diventare famosi, quelli che affollano i talent show e quelli che da casa li invidiano, in realtà stanno parlando, nell'unico modo che sanno, di questa sete di assoluto, di bello, di grande.
Non è vero che non ci occupiamo dei nostri figli. Ma chiediamo a loro di occuparsi di qualcosa? Di farsi carico? Siamo una generazione molto, moltissimo (troppo? parlo per me...) presente con i bambini. Ma non abbiamo il coraggio di osare, con loro. Di chiamare le cose col loro nome, di farli innamorare della lotta della vita. Di parlare di inferno, purgatorio e paradiso, di vita o morte eterna. Della lotta continua che dobbiamo fare per dire sì a Dio. Dobbiamo dire loro che la vita è una sfida difficile, faticosa, e incredibilmente bella, da mozzare il fiato, se uno sa che tutto quello che fa risuonerà in eterno.
Perché, mi dispiace, i generici buoni sentimenti a quell'età non funzionano, non li fanno innamorare questi ragazzi, che vogliono sentirsi dire la Verità. Hanno un orecchio finissimo, un cuore puro e attento. Ci ascoltano con gli occhi, e ci mettono alla prova. E non ne usciamo sempre immacolati.
Domenica scorsa pioveva e avevo tre figli in macchina; volevo offrire un gelato a loro e a un amico, e ho provato a lasciare qualche minuto la macchina sulle strisce. Tommaso mi ha fulminato: "allora è vero che non si può credere in niente", ha detto. La macchina l'ho spostata immediatamente, ma che lezione mi sono presa. Spero che quelli della CIA  non lo vengano a sapere.

 
Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 20 maggio 2011