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OTTANT'ANNI FA MUSSOLINI CHIUSE L'AZIONE CATTOLICA: AD APPENA DUE ANNI DAL CONCORDATO, IL DUCE INIZIO' LA PERSECUZIONE DELLA CHIESA
Con l'enciclica ''Non abbiamo bisogno'', in italiano e non in latino, Pio XI chiarì che sulla questione educativa la Chiesa non poteva accettare la statolatria pagana imposta dal regime fascista
di Antonio Airò

27 maggio. Vado in udienza dal Papa... Riferii i tormenti, le persecuzioni cui erano costretti i nostri giovani. Sì – mi rispose – Il momento è delicato. Ma non vi è niente di temibile che avvalori le sue supposizioni. Il Nunzio è stato di recente ricevuto dal governo ed ha avuto assicurazioni». Mentre Angelo Raffaele Jervolino, presidente dei giovani cattolici, veniva così autorevolmente confortato da Pio XI, i prefetti di tutt'Italia il 26 maggio 1931 avevano ricevuto disposizioni dal ministro dell'Interno (lo stesso Mussolini) di procedere allo «scioglimento di tutte le associazioni giovanili non dipendenti direttamente dal Partito Nazionale Fascista e dall'Opera Nazionale Balilla». Le sedi dei circoli venivano così sigillate; sequestrati i beni e i documenti, con particolare interesse per l'elenco degli iscritti. Il 3 giugno un dispaccio dell'agenzia Stefani informava che l'ordine di scioglimento era stato eseguito «senza il minimo incidente». Nello stesso giorno un comunicato del Pnf proclamava «di non tollerare che sotto qualsiasi bandiera, vecchia o nuova, l'antifascismo superstite trovi rifugio e protezione». Il regime dava una motivazione «politica » al provvedimento, denunciando la presenza nelle organizzazioni cattoliche di ex esponenti del Partito Popolare. Ma il partito fascista non aveva messo in conto la reazione immediata di Pio XI. A i salesiani e agli scolopi venuti il 30 e 31 maggio per fargli gli auguri di compleanno dichiarava: «Si può domandarci la vita, ma non il silenzio quando si fa scempio di quello che forma la predilezione vivissima del nostro cuore... Scempio, diciamo, perché preparato prima da una campagna di stampa a base di invenzioni, di irriverenze, di calunnie, poi da una campagna di piazza e di strada fatta di indecenze, di sopraffazioni, di violenze, non rare volte cruenti, bene spesso di molti contro pochi e sempre inermi figli nostri e figlie ancora». Il 1° giugno Pio XI convocava i cardinali presenti a Roma e L'Osservatore Romano informava che sarebbe stato sospeso a Roma il congresso eucaristico e proibite in tutte le parrocchie le processioni del Corpus Domini. Infine i dirigenti delle associazioni cattoliche (a cominciare da Jervolino) venivano ospitati, per maggiore loro sicurezza, in Vaticano. La bufera non era ancora finita. Il 22 giugno il Papa parlava ad allievi e professori del collegio di Propaganda Fide: «Un discorso violentissimo, nel quale è successo l'irreparabile», lo definiva l'ambasciatore Cesare Maria De Vecchi . Alla fine del mese – ci rifacciamo ancora alla relazione di Jervolino – «Pio XI per tre giorni rimase chiuso nella sua biblioteca e scrisse di suo pugno interamente, in italiano e non in latino, la lettera enciclica Non abbiamo bisogno». Il quotidiano della Santa Sede l'avrebbe pubblicata il 5 luglio, quando ormai il testo era conosciuto (e ripreso dalla stampa internazionale) perché fatto pervenire direttamente ai Nunzi dei diversi Paesi; Montini in persona l'avrebbe portato a Monaco e a Berna. A due anni dalla Conciliazione, il clima d'intesa tra Santa Sede e regime rischiava di saltare. Il Concordato aveva salvaguardato l'autonomia delle organizzazioni cattoliche (purché non uscissero dalle sacrestie) ma ben presto, dietro i soprusi fascisti, era emersa l'inconciliabilità di fondo sulla «questione educativa» che la Chiesa non poteva accettare fosse gestita da un regime la cui ideologia «si risolveva in una vera statolatria pagana». L'enciclica, nel confutare tutte le «ingiuste» accuse mosse contro i giovani cattolici, non metteva in discussione le intese raggiunte né condannava il partito e il regime come tali, soffermandosi invece su quanto era incompatibile con la dottrina della Chiesa.
Veniva così denunciato il momento formativo del fascismo che incitava «all'odio, alla violenza, all'irriverenza». In particolare il Papa si occupava del giuramento richiesto per la tessera fascista (che allora era quasi una condizione necessaria per il lavoro, la carriera, il pane): «Che rimane a pensare e a giudicare, circa una formula che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che possono condannare contro ogni verità e giustizia, la manomissione dei diritti della Chiesa e delle anime?». In quel M convulso e drammatico inizio d'estate si collocava anche, il 23 luglio, la riunione dei 21 cardinali presenti a Roma; si è parlato di un «concistoro segreto» i cui contenuti potrebbero essere resi noti già quest'anno con l'apertura degli archivi vaticani e la pubblicazione degli appunti delle udienze con il Papa stesi dal segretario di Stato Eugenio Pacelli.
Ma altri studiosi ritengono che al centro dell'incontro, durato oltre due ore e sul quale è stato finora posto il segreto più assoluto, ci sia stato l'atteggiamento da seguirsi nel conflitto ormai aperto tra Santa Sede e Italia. I cardinali suggerirono al Papa la strada della trattativa seria con il regime «condotta da abili negoziatori», escludendo una rottura traumatica. Come è noto sarebbe stato il gesuita Pietro Tacchi Venturi a tirare le fila di un negoziato concluso con un'intesa il 2 settembre 1931; i circoli della Gioventù cattolica potevano riaprire, anche se formalmente ristretti nelle loro attività e sotto il pieno controllo dell'autorità ecclesiastica. L'associazionismo cattolico iniziava un non facile cammino che l'avrebbe portato dal consenso (indubbio negli anni della guerra d'Etiopia) all'«afascismo» e poi, in settori sempre più ampi, all'antifascismo.

 
Fonte: Avvenire, 28/06/2011