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GIORNALI, TV E INTERNET: LA VERITA' VA PROPOSTA CON FORZA (SENZA AGGIUNGERE NULLA DI NOSTRO)
Quando si ritiene che la verità non possa essere annunciata integralmente perché non è proponibile alla società in cui viviamo, non si sta più annunciando la verità, ma noi stessi
di Giano Colli
 

Ci sono delle persone che ricercano il progresso a tutti i costi, e pensano che la scienza possa fare quello che vuole, ma c'è anche un gruppo di persone che, pur riconoscendo che è necessario porre dei limiti alla scienza, sono dell'idea che questa verità non andrebbe proposta all'opinione pubblica tutta intera come è, perché altrimenti turberebbe le persone, allontanandole ulteriormente dalla verità. Facciamo l'esempio dell'aborto: pur riconoscendo la verità che sta dietro alla difesa della vita, alcuni (anche tra i cattolici) ritengono che non si possa annunciare tutta intera, ma andrebbe adattata all'uditorio. Nel caso di interventi sui mezzi di comunicazione di massa la prudenza dovrebbe poi essere massima per non irritare troppo i lettori e i telespettatori.
Nell'affermazione che bisogna tener conto della capacità dei nostri interlocutori, in questo caso dell'opinione pubblica, di recepire un certo tipo di messaggio, nel sottolineare l'esistenza di un problema di questo genere non si dice una cosa falsa, si dice anzi una verità antica come l'uomo. Per prendere le immagini della Scolastica, si direbbe che ogni recipiente ha la sua capienza, rispetto anche ai processi pedagogici o dell'insegnamento e il buon pedagogo non è quello che vuole mettere la stessa misura in recipienti di forma e di contenuto e di capacità diversa. Quindi il problema esiste, però va fatta sempre una grande distinzione rispetto ai mezzi di comunicazione e alle circostanze della comunicazione stessa: occorre distinguere in maniera decisiva tutte le ipotesi di comunicazione che utilizzano mezzi di comunicazioni di massa (tv, giornali, internet, dibattiti pubblici) da quelle che sono invece incontri con le singole persone, incontri con gruppi ristretti, incontri con gruppi di studenti. In questo secondo caso esiste una esigenza prioritaria di applicare una sorta di legge della gradualità, per cui arrivando in una scuola statale, ad esempio una quinta superiore, dobbiamo agganciare i ragazzi, tenendo conto  che davanti a me ho un gruppo di giovani di questo tempo, di questa epoca, con una serie di pregiudizi, ecc. Allora se io, come comunicatore, non tenessi conto di questo, sarei un pessimo comunicatore, quindi anche l'enunciazione della verità tutta intera, fatta piovere come una specie di bomba atomica su questi interlocutori sarebbe discutibile, non dico censurabile o sbagliata, ma discutibile dal punto di vista della comunicazione. Lo stesso accade quando parlo con una singola persona. Quando, invece, io utilizzo un mezzo di comunicazione di massa, sto proponendo all'opinione pubblica un messaggio, che per sua natura deve essere semplice, chiaro, diretto, di facile comprensione. Soprattutto sono di fronte a uno strumento che non mi dà la possibilità di intavolare una relazione articolata, dialogica, approfondita, come nella relazione interpersonale o nella relazione pedagogica. Allora, quando sto facendo un comunicato stampa, sto scrivendo un articolo, sto partecipando a un dibattito, il mio atteggiamento, la mia logica deve essere di ossequio, assoluto per la proclamazione della verità! Se il mondo ha preso la piega che ha preso, lo dobbiamo anche al fatto che abbiamo avuto paura di servire la verità!
Nella dinamica democratica pluralista, come tutto sommato e con molti limiti noi oggi viviamo, noi non siamo oppressi da una dittatura per cui se io dico che l'aborto è un delitto per ora nessuno mi spara una raffica di mitra. E' vero che subisco altre forme di persecuzione, di censura, però non c'è un pericolo fisico. Detto questo, la grande tentazione è quella di ritenere che la verità in se stessa non è abbastanza forte, non è abbastanza vera se non ci metto dentro qualcosa di mio. Quando una persona comincia a ragionare in questo modo la verità viene tradita. Questo vale anche, per esempio, nell'annuncio cristiano. Quando un cristiano ritiene che il Vangelo non possa essere annunciato integralmente perché altrimenti non è proponibile alla società in cui vive, non sta più annunciando il Vangelo, ma sta annunciando se stesso, sta annunciando un qualcosa che sta a cuore a lui, ha compiuto la riduzione del Vangelo alla sua misura. Ha fatto ciò che gli Apostoli hanno fatto quando Gesù ha ribadito per esempio il principio dell'indissolubilità del matrimonio dicendo "Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi". I discepoli hanno reagito dicendo: "Scusa ma se noi andiamo alla prossima puntata di Bruno Vespa, a dire che siamo per l'indissolubilità del matrimonio ci prendono per scemi e inoltre anche a noi non è che la cosa ci vada tanto a genio, anzi se è così non conviene sposarsi". Gesù di fronte a queste obiezioni non dice: "Beh, si, dobbiamo riconsiderare da un punto di vista pastorale se la verità deve essere detta con un certo linguaggio...". No, Gesù dice: "Chi può capire, capisca!" sottintendendo che se si vuole è così e se non si vuole è così lo stesso. Agli apostoli che facevano notare che dopo aver parlato della sua carne da mangiare, tutti se n'erano andati via, Gesù risponde "Volete andarvene anche voi?". Quindi  mette a repentaglio, per così dire, il destino della Chiesa che ha appena fondato, ma Gesù non retrocede di un millimetro nell'annunciare la verità.
Dobbiamo riconoscere che la forza di quello che diciamo non sta in noi, ma sta nella verità che dobbiamo testimoniare. Certamente poi ognuno avrà i suoi doni, la sua capacità, i suoi carismi anche di comunicare.
In sintesi non è che uno debba essere una specie di mitragliatrice della verità, insensibile agli interlocutori che ha davanti, tuttavia quando uso il mezzo di comunicazione di massa devo annunciare la verità tutta intera e senza sconti. E' paradossale vedere nei dibattiti televisivi, dove talvolta, il testimone della vita o del Vangelo si mette a dialogare con il suo interlocutore. E' terrificante perché in quel momento non é che si debba convincere chi si ha davanti nello studio televisivo, come potrebbe essere Niki Vendola o Marco Pannella, anche perché loro le idee le hanno già e molto chiare. Non è che il cattolico è davanti a 2 milioni di telespettatori in uno studio televisivo e deve trattare il suo interlocutore come se fosse in confessione, per cui vanno valutati i suoi progressi, le sue aperture. Quello è, metaforicamente parlando, un duello nel quale il cattolico deve, sempre metaforicamente parlando, far soccombere l'interlocutore. Non è importante dire "Beh, però siamo andati via che ci siamo stretti la mano, ci vogliamo più bene e magari si va al ristorante insieme". Il cattolico si trova lì in qualità di (indegno) testimone della verità e quindi quello che è importante è che questa verità, in tutta la sua potenza e in tutta la sua forza urticante, venga fuori. Perché se noi continuiamo a evitare di dire che l'aborto è delitto e che  l'eutanasia è un omicidio, se questa è la paura che ci portiamo dietro, perdiamo in partenza. Queste sono le logiche conseguenze anche solo banalmente dal punto di vista delle leggi della comunicazione. I radicali, che non sono un esempio sotto moltissimi profili, però dal punto di vista dell'utilizzo del linguaggio e del metodo sono degli straordinari esempi da seguire su come ci si muove da minoranze in una società con l'intenzione di innervarla delle proprie idee (che nel caso dei radicali sono tossine inquinanti). I radicali hanno fatto dell'Italia in 40 anni, un Paese nel quale le forze politiche, chi più chi meno, accettano i capisaldi  essenziali  della cultura radicale. Questo è un dato di fatto, poi se vogliamo metterci i paraocchi, un velo di ignoranza, far finta che non sia così possiamo anche farlo, però alla fine se uno va a prendere nelle teche Rai un dibattito sull'aborto  del 1976 e poi va a vedere un dibattito sull'aborto del 2011 delle stesse forze politiche che negli anni settanta hanno condotto le battaglie contro l'aborto, sembra ci sia stata un'esplosione nucleare. Non ci si capacita di come lo spostamento della verità sia avvenuto così radicalmente e a discapito anche delle identità dichiarate. Nel caso della legge 194 si è passati dal considerarla la "legalizzazione dell'aborto" a definirla "una buona legge". Tutto ciò a discapito della verità e dimenticando i milioni di morti che in Italia quella legge ha causato. Con la conseguenza logica di chiamare diritto ciò che poco tempo fa era un delitto.

 
Fonte: Redazione di BastaBugie, 18/10/2011