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Sono in molti, forse soprattutto tra i cattolici, a ritenere che gli squilibri e le ingiustizie che affliggono la società attuale dipendano principalmente da un deficit di solidarietà e di giustizia. L'affermazione dei diritti inalienabili della persona, che in linea di principio sono eguali in ogni uomo, suscita il desiderio di porre rimedio alle situazioni di povertà e d'ignoranza, liberando dall'indigenza coloro che vi si trovano. La solidarietà, così, viene posta al centro del discorso sulle relazioni tra gli Stati, ed è all'origine del fenomeno delle Organizzazioni non governative (Ong) e di molteplici organismi promossi dai governi, singolarmente o in reciproca collaborazione.
Sempre la solidarietà, intesa sia come atteggiamento della persona, sia come categoria etico-politica, viene invocata come rimedio efficace, appunto, al problema della povertà. Essa è diventata una «parola talismano», indispensabile per essere accolti in ambienti progressisti, anche e soprattutto d'ispirazione cristiana, e il suo uso spregiudicato l'ha privata di qualsiasi sostanza e resa capace di evocare qualsiasi sottinteso. Come è avvenuto per tante altre parole, originariamente cariche di significato positivo (per esempio, libertà, democrazia), essa può voler dire tutto e il suo contrario e quindi necessita di una spiegazione circa i suoi contenuti, prima di poter essere utilizzata senza equivoci.
Pur richiamando un valore indiscutibile, la solidarietà è successiva alla questione antropologica: senza una precedente spiegazione di che cosa sia una persona, rischia di diventare parziale e di non giungere al cuore del problema. Alla radice della questione sociale c'è infatti la questione antropologica. Ciò che è dovuto all'uomo per giustizia dipende da ciò che l'uomo è per natura. Se non si parte dalla natura dell'uomo, si corre il rischio di contrapporre i principali valori non negoziabili, la vita, la famiglia e l'educazione, alla solidarietà.
La vita della società si fonda su alcuni principi-valori naturali, appunto non negoziabili: i primi e principali sono la dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e la libertà di educazione. Si tratta di contenuti non negoziabili perché indicano i pilastri su cui viene edificata la società. Si può discutere sul numero dei piani o sullo stile architettonico, ma non sul fatto che un edificio debba avere le fondamenta.
Alla fine del 2002 la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicava una Nota dottrinale sull'impegno e il comportamento politico dei cattolici. Il documento affronta i temi dottrinali adeguati alla nuova situazione storica in cui i cattolici si sono venuti a trovare dopo la fine dell'epoca delle ideologie nel 1989. La caduta del Muro di Berlino, infatti, ha segnato la fine del voto di appartenenza, che di fatto impegnava i cattolici a votare e/o a sostenere quei partiti che, almeno nominalmente, si richiamavano, o almeno non contraddicevano, la dottrina sociale della Chiesa. Venuta meno l'epoca delle ideologie e la divisione del mondo in due blocchi contrapposti anche militarmente - di uno dei quali, l'Urss, il Pci era il rappresentante in Italia - l'elettore entrò in uno stato di «confusione elettorale».
Nel mutato contesto politico, avveniva che i cattolici «di sinistra» si orientavano sui partiti che appunto privilegiavano la cosiddetta solidarietà, cioè una maggiore distribuzione delle risorse, grazie a un più deciso intervento dello Stato, che avvantaggiasse le classi più disagiate, mentre i cattolici «di destra», o comunque con una sensibilità culturale diversa, privilegiassero invece i partiti che mettevano al centro della loro proposta politica la libertà della società civile dall'invadenza dello Stato.
Il bene comune, che è il fine dell'attività politica, veniva così dilaniato ideologicamente. Ma questo era possibile perché non venivano adeguatamente valutate le caratteristiche originarie della persona umana, così come essa è nella realtà. Perché se è vero, come scrive la Nota dottrina/e, che non tutte le proposte politiche sono uguali (e neppure compatibili con il diritto naturale), è altrettanto vero che non tutte le concezioni della persona sono accettabili alla luce della verità sull'uomo insegnata dalla Chiesa.
Gli stessi diritti che accompagnano la definizione di persona nell'insegnamento della Chiesa non sono tutti uguali e non possono essere messi tutti sullo stesso piano. Una persona ha il diritto di partecipare alla vita politica, per esempio, ma questo diritto non può essere messo sullo stesso piano del diritto alla vita, o di quello di costituire una famiglia e di educare i propri figli in un contesto coerente con i valori dei genitori stessi.
Analogamente per i doveri. Lo Stato ha il dovere di esercitare la solidarietà verso i più deboli, nel rispetto del principio di sussidiarietà (ossia quando le società minori non possono più fare nulla), ma questo dovere non ha la stessa importanza della protezione della vita, dal concepimento alla morte naturale, o della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna.
Soltanto dopo l'accettazione di una corretta concezione della persona umana comincia il pluralismo delle scelte politiche.
Nel pieno della polemica scoppiata in Usa sulla liceità di dare la comunione a un candidato cattolico che non fosse contrario alla legalizzazione dell'aborto, il card. Ratzinger, che nel 2004 presiedeva ancora la Congregazione per la Dottrina della Fede, scrisse che un cattolico può avere un'opinione diversa dal Papa sul tema della liceità della guerra o della pena di morte, ma non quando in discussione sono l'eutanasia o il diritto di aborto (Nota trasmessa al card. Theodore E. McCarrick, arcivescovo di Washington, e all'arcivescovo Wilton Gregory, Presidente della Conferenza episcopale Usa...).
RICORDA
«Quando l'azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l'impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità.
Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l'essenza dell'ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. È questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all'accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al suo termine naturale.
Allo stesso modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell'embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale.
Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra l'altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa stregua, si deve pensare alla tutela sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (si pensi, ad esempio, alla droga e allo sfruttamento della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà religiosa e lo sviluppo per un'economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà, secondo il quale "i diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti"».
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