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E se la chiave di tutto fosse nella domanda, più che nella risposta? Ormai siamo abituati a risposte facili. Il simbolo di questa nostra pigrizia si chiama smartphone. Intelligente è intelligente, non c'è che dire. Perché sa darci risposte in tempo reale. Organizza e dispone tutto: meteo, traffico stradale, segnala gli appuntamenti in conflitto di orario, ci aiuta a specchiarci, ci segue dappertutto perché è sempre con noi, quindi è probabilmente il solo, anche rispetto a noi stessi, che sa sempre dove ci troviamo dato che il geolocalizzatore ormai è diventato chirurgico.
LA DOMANDA E LA NOSTRA LIBERTÀ
Siamo così inondati di risposte che abbiamo smesso di farci le domande. Perché in fondo non ci servono. Abbiamo tutto, tranne la curiosità di chiederci il perché delle cose. Così abbiamo abdicato ad una delle caratteristiche che fanno l'uomo un essere speciale a immagine e somiglianza di Dio: la capacità di domandare, di interrogarsi su un fenomeno o su un aspetto del nostro esistere. Sarà per questo che la società ha smesso di produrre cultura. Abbiamo domande e relative risposte per quanto riguarda i bisogni non immediati, ma ci mancano oggi quelle sulla profondità che ci attraversa. Chi siamo? Dove andiamo? Che cos'è il tempo? Che cosa sono le parole e a che cosa servono? Perché il dolore? E Dio? Davvero non esiste e se esiste non ne abbiamo bisogno? Che cosa ci facciamo sbattuti qui, come tanti Ulisse naufraghi sulla spiaggia dei Feaci? Quello che non riusciamo più a fare è dare un'interpretazione alle cose e al nostro essere, cioè dare un significato a quello che ci accade. La conseguenza di questa nostra mancanza influisce sulla nostra libertà perché se non siamo in grado di interpretare, qualcun altro lo farà per noi. Subiamo così qualunque cosa diventando schiavi delle mode, della politica del mercato, persino del nostro buonumore come si può verificare guardando sulle nostre pagine Facebook dove reagiamo a comando su input creati da altri, su emozioni vissute da sconosciuti che non sono noi.
IL DIVIETO DI FARE DOMANDE
Perché non domandiamo? È forse questa, la domanda sulla domanda, il nostro cruccio. Non domandiamo perché siamo imprigionati in una torre d'avorio che ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno su questa terra. Ma abbiamo pagato il soggiorno con una moneta speciale: la nostra libertà, che è stata sacrificata sull'altare della menzogna. È questo un frutto nascosto, ma determinante, del dominio delle ideologie che hanno modellato il secolo scorso e continuano ancora oggi a sferrare il loro attacco all'uomo. Il filosofo Eric Voegelin l'aveva colto molto bene tanto che anche pensatori successivi, come Augusto Del Noce lo riprese nella sua analisi sul tramonto o eclissi dei valori tradizionali. È il divieto di far domande. Il pensiero rivoluzionario e gnostico di oggi è caratterizzato dal divieto di fare domande e questa necessità risale ai manoscritti economico-filosofici di Marx.
In sostanza, il teorico del comunismo doveva a tutti i costi dissociare il problema dell'essere dall'Essere trascendente per fare dell'uomo la creazione dell'uomo stesso. Ovviamente, mettendo l'uomo come motore originario della creazione rimaneva un piccolo problema: quello che i filosofi chiamano il problema dell'arché, dell'origine di tutto. Così Marx pensò di sbrigare la cosa senza grossi problemi: simili domande "sono un prodotto dell'astrazione" e per l'uomo socialista diventano "un'impossibilità pratica". Successivamente, anche Comte avrebbe definito "questioni oziose" gli interrogativi sulla natura delle cose, sulla vocazione e sul destino dell'uomo e anche Nietzsche sarebbe approdato a questo inganno nel descrivere nella libido dominandi non tanto la volontà dell'uomo di essere Dio, ma la necessità.
LE DOMANDE PROIBITE
È dunque per un inganno che questo divieto si è fatto largo nel pensiero moderno fino a influenzare cultura, educazione, scuola e ogni ambito nel quale siamo portati a interrogarci sull'origine di tutto. Oggi non possiamo chiederci quando un essere umano è da considerarsi tale, infatti abbiamo l'aborto come diritto indiscutibile; ma anche per quanto un uomo è un uomo, infatti abbiamo l'eutanasia. Se cercassimo la verità sul bene che deriva dalla legge naturale universale, non avremmo trasformato la società in un campo di battaglia per chi, rivendicando la sua inclinazione omosessuale, pretende che questa possa essere elevata a bene comune. E se ci interrogassimo davvero sulla natura dell'uomo e della donna non avremmo introdotto l'ideologia gender in ogni ambito del sapere. Il divieto di fare domande ha così permeato le strutture sociali dei grandi totalitarismi e si è trasferito a noi con un meccanismo non meno totalitario di controllo della mente umana. Tutto ci è relativo in quella che Benedetto XVI codificò come una dittatura del relativismo, tanto che non ci serve più una verità. E anche solo alzare la mano per avanzare un interrogativo ci appare sconveniente e superfluo. Quasi impertinente. Invece la domanda è quanto di più liberatorio possa esistere.
LA RIVELAZIONE PROCEDE PER DOMANDE
Come siamo distanti dal modo di pensare di Gesù e della rivelazione cristiana, che altro non è che un insieme di domande e di risposte che Dio e l'uomo si fanno. Gesù infatti si rivela proprio facendo domane ai suoi discepoli, sollecitandoli a decidersi responsabilmente nei suoi confronti e mai sostituendosi ad essi nella risposta perché nessuno può credere al posto nostro. Il Vangelo di Marco conta 61 domande di Gesù, quello di Matteo 40, Luca 25 e Giovanni 48. Si tratta di domande che manifestano attenzione verso l'altro e lo sollecitano, perché la domanda altro non è che la sollecitazione della libertà dell'altro che va custodita. Le domande di Gesù ai discepoli sono interrogativi che si fanno per la libertà dell'altro. Ma le domande sono anche in grado di mettere in gioco la libertà dell'altro. Con Gesù veniamo dunque spinti, quasi come un metodo di ricerca, a fare domande sulla stessa ricerca, perché la ricerca è essa stessa una domanda. «Che cosa cercate?» (Gv 1,38) chiede ai discepoli che a loro volta gli rispondono «dove abiti?». «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15) domanda a Maria di Magdala. Si potrebbe continuare all'infinito, cercando in ogni singola domanda di Gesù la motivazione che ci ha spinto a ricercarlo e a conoscerlo instaurando così un dialogo alla ricerca del senso e della causa di ogni cosa. Ma non è un'attività meramente intellettuale: con Gesù la nostra domanda si fa preghiera, si fa dunque incontro privilegiato e dialogo con Dio per mezzo del suo Figlio. La domanda in fondo non è altro che una preghiera che ha scavato dentro il nostro essere.
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