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Vendereste una dose di veleno, essendo sicuri che chi ve la compra vuole usarla per uccidere qualcuno? Penso proprio di no. E per una ragione molto semplice: nessuna persona dotata di un po’ di senso morale vorrebbe diventare complice di un omicidio. Qualcuno potrebbe rispondere che, in fondo, il mercato si fonda sulla legge della domanda e dell’offerta, e che non sta a noi giudicare quello che gli altri vogliono fare con gli articoli in vendita nella nostra bottega. Ma sono sicuro che questa risposta non convince nessuno. Nemmeno chi la pronuncia. Soprattutto se il prodotto che vendo è notoriamente usato per uccidere esseri umani innocenti.
Ora, l’intervento di Benedetto XVI sull’obiezione di coscienza dei farmacisti si colloca dentro questo naturalissimo, banalissimo orizzonte. I fatti: le case farmaceutiche da qualche tempo hanno messo in commercio delle pillole che hanno come effetto la soppressione dell’essere umano concepito. La cosiddetta “pillola del giorno dopo” ne è un esempio preclaro: se chi la assume ha concepito un figlio, il principio attivo agisce impedendo l’annidamento dell’embrione, che viene abortito precocemente. Ovviamente, le aziende produttrici fanno del loro meglio per nascondere questa realtà, e dicono che le loro pillole sono dei normali contraccettivi. Ma non è così. La conseguenza è che il farmacista viene messo nelle condizioni di cooperare a un vero e proprio aborto, semplicemente vendendo la pillola del giorno dopo a chi gliene faccia richiesta. Di qui, l’appello del Papa: cari farmacisti, rifiutatevi di collaborare all’uccisione di un essere umano innocente.
Per tutta risposta, il Ministro della salute, l’esponente del Partito democratico Livia Turco, ha detto che "non esistono farmaci che uccidono". In un certo senso ha ragione: infatti, una pillola che uccide il concepito non è un farmaco, e non dovrebbe nemmeno essere prodotta e commercializzata. Il compito dell'arte medica - che è il frutto dell'azione combinata di medici, infermieri, farmacisti e altri professionisti del settore - è quello di curare il paziente, mai di ucciderlo. Quando un principio attivo provoca la morte di un innocente il farmacista ha tutto il diritto di non volerci avere nulla a che fare. Di più: l’obiezione di coscienza all’aborto – chirurgico o chimico – non è soltanto un diritto, ma un vero e proprio dovere. Con il suo appello il Papa difende certamente una dimensione soggettiva della coscienza morale, in base alla quale nessuno mi deve obbligare a fare una cosa che “secondo me” è male. Ma difende anche e soprattutto il senso oggettivo dell’obiezione di coscienza: cioè la testimonianza, la denuncia pubblica, il grido di verità che l’obiettore consegna a tutta la società. Perché la vita di un uomo non è un’opinione personale. Questo spiega le solite reazioni isteriche alle parole della Chiesa: a dare fastidio é il fatto che l’obiettore - con il suo no all’aborto in pillole - possa scuotere le coscienze. Possa mettere in crisi la ragazzina che, entrando in farmacia con la ricetta già pronta, si sente rispondere: “No, io non voglio e non posso aiutarla ad abortire. Vada altrove”. Ecco, è questo il supremo inaccettabile scandalo: chiamare le cose con il loro nome. E’ la verità che dà fastidio e deve essere tolta di mezzo. E’ una storia vecchia. Ci aveva provato il Faraone, ordinando alle ostetriche di Israele di uccidere tutti i figli maschi. Una fine atroce che sarebbe toccata anche a Mosè. Ma l’ostetrica chiamata alla sua nascita disobbedì all’autorità: fece obiezione di coscienza. E la storia del mondo intero cambiò per quel piccolo, benedetto “no”.
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