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SACCHI DI JUTA A MILANO PER SOSTENERE UN MONDO SENZA FRONTIERE E... SENZA SALVINI
Messaggio banale e politicamente corretto dell'ideologia immigrazionista (per essere più comprensibile sarebbe bastato piazzare un bersaglio con la faccia di Salvini)
di Rino Cammilleri
 

Quando li ho visti la prima volta, una settimana fa, mi hanno fatto venire in mente, d'acchito, i celebri versi di Lucio Dalla: «...e c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra...». La canzone L'anno che verrà che li contiene non è una ballata allegra, anzi, evoca paura e disperato sarcasmo per un radioso futuro che non venne mai ma si è convertito in ansia e apprensione. Parlo dei sacchi di juta con cui tal Ibrahim Mahama, presentato come artista ghanese, ha «incartato» i Caselli di Porta Venezia a Milano.
Opere d'arte del genere si chiamano «installazioni» e il più famoso incartatore di monumenti è Christo (da non confondersi con Gesù, perché di cognome fa Yavachev), celebrato «fra i maggiori rappresentanti della Land Art» (Wikipedia). Evidentemente ha fatto scuola. Ora, Christo incartava i monumenti con stoffe o carta vera e propria. Mahama usa sacchi di juta, e non a caso. Secondo lui, la vista di quei sacchi dovrebbe far riflettere su «temi come la migrazione, la globalizzazione e la circolazione delle merci e delle persone». Infatti, «i sacchi sono elementi fondamentali della sua ricerca: simbolo dei mercati del Ghana, sono fabbricati in Asia e importati in Africa per il trasporto su scala internazionale di merci» (Rainews).
Credo che il tema «migrazione» sarebbe stato sufficiente, da solo, per convincere le autorità competenti a concedere con entusiasmo i Caselli di Porta Venezia all'artista extracomunitario. Ma c'è di più. Tale Porta era proprio una porta delle antiche mura milanesi, e l'artista «vuole innescare una riflessione sul concetto stesso di soglia». E, per chi non avesse ancora capito, il capolavoro si intitola «A Friend», «un amico». Insomma, abbiamo capito: siamo tutti amici, basta con le frontiere e via libera all'immigrazione. Certo, ci vorrebbe un gran cartello di spiegazioni accanto, perché da un monumento foderato di sacchi di juta a questo po' po' di significato non è che il collegamento concettuale sia facile, tutt'altro. Sì, la location è ben scelta, quelli erano caselli del dazio, e noi tutti dobbiamo sognare - dobbiamo, sennò son legnate - un mondo sans frontières; quei sacchi, infatti, sono «garze che tamponano le ferite della storia», Imagine all the people eccetera. Ma non è finita. Infatti, c'è un'ulteriore chiave di lettura:
«I sacchi di Mahama racchiudono allo stesso tempo un significato più nascosto che riguarda la forza lavoro che si cela dietro la circolazione internazionale delle merci». Eggià, Porgy and Bess e Banana Boat, il lungo cammino dell'emancipazione delle periferie del mondo. Il proletariato non finisce mai. «Per assemblare i sacchi, spesso Mahama collabora con migranti provenienti da zone urbane e rurali in cerca di lavoro, senza documenti né diritti, vittime di un'esistenza nomade e incerta che ricorda le condizioni subite dagli oggetti utilizzati nelle proprie opere». Insomma, un vero e proprio manifesto pro-migranti che però, ahimè, il passante incolto farà fatica a decifrare. Più comprensibile, magari, sarebbe stato un bersaglio con la faccia di Salvini sopra... Una domanda, così, per curiosità: dove li metteranno quei sacchi di juta quando l'esposizione sarà finita? Saranno almeno una tonnellata. O verranno usati per un'installazione sul tema ecologico? Anche questo, infatti, fa parte della panoplia politicamente corretta.

Nota di BastaBugie: qui sotto puoi vedere il video (durata: 4 minuti) del brano "Immigrazia" di Povia contenuto nel bellissimo cd "NuovoContrordineMondiale". Puoi richiederlo a giuseppepovia@vodafone.it 1 CD15 € - 2 CD 20€


https://www.youtube.com/watch?v=QabmEnuiVgo

 
Titolo originale: Immigrazionismo, arte per il politically correct
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 05/04/2019