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La mia vita è un premio; una madre che genera una vita è una donna premiata qualunque sia la sua situazione, qualunque siano i conti da pagare, qualunque siano i suoi problemi emozionali: ha il marito, non ha il marito, ha quello che la ricatta, quello che l'ha abbandonata. Il privilegio di portare la vita è un privilegio che gli uomini non hanno: noi siamo inferiori alle donne per questo.
Il miracolo di sentir germogliare nel proprio ventre una nuova vita, il vederla sbocciare e vederla venir su rende voi donne più forti. Anche se alla fine i figli vi deludono, gli anni della creazione della vita nessuno ve li toglierà mai e in qualunque momento della vostra esistenza, quando la pena del mondo, l'abbandono degli affetti vi cadrà sulle spalle, ripercorrerete certamente col pensiero, col cuore quei meravigliosi mesi in cui avete creato una vita. Che poi quello sia divenuto un assassino, un papa, non importa. Ed è strano che sia io a dire queste cose, io che non sono né padre né madre né niente, sono solo figlio. Di più, sono un aborto mancato. Avrei dovuto essere abortito perché nascevo da due persone che erano entrambe sposate: lui aveva una famiglia bella e pronta, lei aveva tre figli ed erano tutti e due al tramonto dell'età delle frizzole. E invece si innamorarono pazzamente e mia madre rimase incinta.
Tutti naturalmente le consigliarono di abortire. Il marito era moribondo, quindi non c'era neppure la possibilità di nascondere la gravidanza illegittima. Mio padre da buon galletto andava dicendo in giro che questo figlio era suo, però non faceva niente. Ma la gravidanza andò ugualmente avanti. La mia nonna stessa me lo confessò e mi chiese scusa; disse «Io ero la prima feroce nemica di questa gravidanza». E io invece nacqui contro il parere di tutti, perché mia madre ripugnava il pensiero di uccidermi: «Morirei di rimorso, nel pensiero di aver avuto tre figli e di aver distrutto un'altra vita». Molti dei miei avversari invece dicono: «Magari ti avesse fatto fuori». È l'odio delle persone, mentre io vorrei conoscere solo l'amore, perché sono stato amato nel ventre di mia madre, ho assorbito tanto di quell'amore, l'ho sentito, mi è entrato addosso.
Mia madre l'ho persa che avevo sette anni, però sono rimasto impregnato del suo amore. Quando qualcuno ti ha amato veramente tanto e tu l'hai amato, questo amore, questa fiammella, questa fiaccola non si spegne mai, ti è sempre accanto. Siamo fatti di spirito, chi ci crede; io ci credo profondamente perché la vita mi ha dato continue verifiche di non essere un ammasso di cellule ma di essere un corpo che alloggia temporaneamente uno spirito che è la frazione del grande Creatore, di Dio a cui torneremo.
Questa è la mia concezione: non me la sgangherate perché sto benissimo così, dormo sonni tranquilli, sono arrivato a settant'anni e voglio arrivare tranquillo al mio ultimo passo. Forse interessa un piccolo episodietto della mia vita. Calza a pennello proprio in seguito alla mia storia. Quella di un bastardino. Infatti, io non avevo il nome né di mia madre né di mio padre. Mia madre inventò questo nome Zeffirelli perché, secondo un'antica tradizione dell'ospedale degli Innocenti di Firenze che si tramanda dai tempi di Lorenzo il Magnifico, ogni giorno della settimana corrispondeva ad una lettera. Il giorno che nacqui io toccava alla Z e mia madre, che oltre ad essere una grande sarta era musicista, pianista, un'appassionata di Mozart, con tanto di farfalle e zeffiretti, quando le proposero la Z come iniziale, all'impiegato comunale disse, appunto Franco Zeffiretti. Quello non capì bene e, invece delle doppie "t", mise le doppie "l": Franco Zeffirelli. Sono sicuro di essere l'unico con questo nome al mondo.
Nota di BastaBugie: il regista Franco Zeffirelli, morto questa settimana all'età di 96 anni, era nato a Firenze il 12 febbraio del 1923, dichiaratamente omosessuale, ma senza simpatie per il movimento gay, non nascondeva la sua fede cattolica. Nel 1993, messo di fronte a una affermazione del cardinale Giacomo Biffi - chi abortisce è come se compisse un delitto di mafia - disse che «Biffi è troppo blando, il crimine di chi uccide una creatura che non ha modo di difendersi non ha eguali. Non c'è nulla di così sinistro, di così orrendo» (fonte: Sito del Timone, 16 giugno 2019).
Rino Cammilleri nell'articolo seguente dal titolo "Zeffirelli, il cattolico estetico che ci donò il volto" spiega perché il Cristo di Zeffirelli colpì talmente l'immaginario che ancora oggi ci si immagina Gesù così: merito di un regista che, come Gibson, era credente, pur nella complessità delle cadute nel peccato. Mai comunista, nella pur comunista Firenze, è morto pregando molto.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 16 giugno 2019:
Una sera, a cena in un ristorante italiano, il regista polacco Krystzsof Zanussi mi commentò da par suo il kolossal zeffirelliano Gesù di Nazareth. «Vedi - disse - se guardi un santino o un dipinto sacro, cogli subito che l'immagine rimanda a Qualcos'Altro. Ma se vedi Gesù in un film, quel che vedi è, per te, Lui». Mi chiarii subito perché, nei film hollywoodiani fino a Ben Hur compreso, Cristo era sempre mostrato di spalle o da lontano, così lontano da rendere impossibile coglierne i tratti.
L'incanto venne rotto nel 1961 da Il re dei re di Nicholas Ray, dove un bellissimo Jeffrey Hunter sparava il volto di Gesù in primo piano. Ma il suo era un viso "americano", biondo e con gli occhi azzurri, e il risultato complessivo era una specie di profeta minore, non il Figlio di Dio. Ci si misurò, com'è noto, anche Pasolini, col suo Vangelo secondo Matteo. Poi venne La più grande storia mai raccontata, dove Max von Sydow impersonava un Cristo più ieratico.
A quel punto fu Zeffirelli a prendere in mano la situazione trovando l'attore inglese Robert Powell. [...] Il Cristo di Zeffirelli colpì talmente l'immaginario che ancora oggi non è raro trovare santini o foglietti per la messa i cui disegni ricalcano sfacciatamente quel Gesù del 1977. Il grandissimo senso estetico di Zeffirelli si profuse, in quell'ormai lontano sceneggiato, in tutti i particolari, tanto che ogni volto, dalla Madonna a san Pietro, risultava azzeccatissimo, perfino lo sbrigativo soldataccio Pilato-Rod Steiger.
Zeffirelli, a mio avviso, toccò l'apice della sua arte in quel lavoro. Lavoro che, sempre a mio avviso, non avrebbe potuto fare con quella perizia se non fosse stato lui stesso un credente. E non è un caso se i due migliori film sul tema sono stati quello suo e quello di Mel Gibson, cioè di due registi credenti. Ovviamente, credenti a modo loro, certo, ma di questi tempi da un artista non si può pretendere di più. L'epoca del Beato Angelico è, ahimè, tramontata.
Gibson, più tormentato, sessualmente e alcoolicamente intemperante. Zeffirelli, omosessuale ma riservato, un vero gentiluomo lontano dalle chiassate e dalle volgarità dell'ideologia. Per un parallelo, gli stilisti Dolce&Gabbana, omosessuali ma cattolici e rispettosi della dottrina della Chiesa; almeno fino a quando il gay-system internazionale non li minacciò nella scarsella costringendoli a piegarsi al gayamente corretto.
Per Zeffirelli la cosa fu diversa, sempre. Fino all'ultimo la sua vita privata erano fatti suoi e mai volle mischiarsi alla gazzarra del nuovo Sol dell'Avvenire. Forse era troppo anziano per farlo, ma credo di no. Altri «grandi vecchi» si sono comportati diversamente di fronte al nuovo-che-avanza, basta pensare al poeta Ungaretti e al Sessantotto. [...]
Un cattolicesimo solo estetico, il suo? Può darsi, ma il cattolicesimo è anche questo. Per secoli la Chiesa è stata maestra di bellezza, e quanti artisti - veri - hanno trovato (o almeno intuito) la strada del Regno dei Cieli attraverso la bellezza della liturgia, dell'arte, del canto cristiani. Pensiamo all'inventore stesso del decadentismo, J. K. Huysmans, convertito dalle melodie gregoriane delle carmelitane di Parigi. O all'insospettabile Andy Warhol, che assisteva alla messa tutti i giorni (sì, proprio lui).
«Ho paura di morire. Sono credente e prego molto»: così Zeffirelli in una delle sue ultime interviste. Ma era anche un dichiarato anticomunista, a differenza di altri «esteti» come Pasolini o Visconti. Tanto da accettare una carica nell'allora vituperatissimo, nel suo ambiente, partito di Berlusconi. Se non fosse stato un genio, dati questi handicap (anticomunista, credente...) non avrebbe fatto l'incredibile carriera che ha fatto. Ci mancherà.
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