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Qualche web magazine ha avuto anche il coraggio di parlare di "storia d'amore" e davvero si fa fatica a capire come la si possa definire tale. Stiamo parlando del rapporto tra il bodybuilder kazako Yuri Tolochko e la sua Margo che altro non è che una bambola gonfiabile.
È vero, ormai ci siamo abituati a vederne di tutti i colori, ma la moda più recente, ovvero quella di convolare a nozze con oggetti inanimati, come ha fatto Tolochko con la sua bambola, forse rappresenta una delle vette più alte del folle libertinismo a cui inneggia il "love is love", nella nostra società. Una mentalità che ormai giustifica qualunque follia, rifiutandosi di chiamarla, in alcuni casi "patologia" e rivendicandone addirittura i diritti. E sì perché il modo in cui Tolochko parla della sua Margo ricalca esattamente quello con cui si parla di una fidanzata vivente: "Le coppie hanno bisogno di parlare di meno e di connettersi di più.
Con il tempo e l'esperienza, Margo e io ci siamo resi conto che ci vuole più delle parole per avere una conversazione. Il tuo partner merita sicuramente il meglio, ma deve fare la sua parte". Così dopo mesi di "appuntamenti" (come? Dove? Che si saranno "detti"?) e "serate insieme", avrebbero preso la decisione di sposarsi. Una cerimonia alla quale ci chiediamo con quale coraggio abbiano presenziato gli invitati, complici nel far finta di non sapere che, perché il matrimonio sia valido, è necessario innanzitutto il libero consenso, che una bambola di plastica non può certo esprimere. Una farsa dunque?
Ma per Tolochko va tutto bene e anzi, racconta, al Daily Star, candidamente, come l'amore sia scoccato dopo aver salvato Margo da alcune "attenzioni indesiderate". Per di più lui si definisce anche un "maniaco del sesso" e, per questo, ha dichiarato che Margo sarebbe la "donna" perfetta per lui. Siamo lieti perlomeno di dedurre che, l'atleta in questione, deve aver avuto una certa difficoltà a trovare donne disposte a sottoporsi alle sue strane richieste, per essere stato evidentemente costretto a ripiegare su una bambola di plastica. E già perché poi continua, rincarando la dose, "la nostra storia mi eccita molto più del sesso stesso", sottolineando anche come sia un estimatore del BDSM (una vasta gamma di pratiche erotiche basate sulla condivisione di fantasie fondate sul dolore, il disequilibrio di potere e l'umiliazione tra due o più partner) "Adoro essere torturato, posso sopportare molto dolore.
Anch'io amo dominare. Margo è capace di ciò di cui le altre persone non sono capaci", ha confidato. Ci chiediamo in tutto questo, dove sia l'amore. Perché dalle sue parole non se ne riscontra un briciolo. Allora verrebbe davvero da riflettere sull'accezione che oggi viene attribuita alla parola più abusata del mondo, divenuta, negli ultimi tempi, una sorta di termine ombrello all'interno del quale far rientrare ogni tipo di rapporto ad uso e consumo dei propri istinti e delle proprie discutibili e irrefrenabili "fantasie".
Nota di BastaBugie: ecco altre notizie sul "gaio" mondo gay... sempre meno gaio.
JOE BIDEN NOMINA UN TRANS ALLA CASA BIANCA
Joe Biden ha nominato il pediatra Rachel Levine - che prima del «cambiamento» di sesso portava un nome maschile - come Sottosegretario alla Salute, primo incarico federale per un trans nella storia degli Stati Uniti.
Biden ha dichiarato: «Dr. Rachel Levine porterà la stabile leadership e l'ampia conoscenza di cui abbiamo bisogno per affrontare la pandemia, a prescindere dall'etnia, religione, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità». Si tratta di «una scelta storica e profondamente qualificata per aiutare a guidare l'impegno sanitario della nostra amministrazione».
Biden è stato costretto a far riferimento alla supposta eccellente competenza di Levine proprio perché questa nomina sembra più dettata dal politicamente corretto che da criteri di competenza.
(Gender Watch News, 22 gennaio 2021)
A SANREMO 2021 L'ENNESIMA CANZONE GAY
Alla prossima edizione del Festival di Sanremo si esibirà il cantante gay Giuseppe Conti che canterà «Madre, non madre». Ennesima canzone arcobaleno che viene cantata sul palco dell'Ariston. Ecco una parte del testo: «Madre non madre, figlio non figlio mi hai cancellato come fossi uno sbaglio. Madre non madre, madre padrona con che diritto ora mi vieni a cercare. Madre non madre, madre devota prega il tuo Dio e lascia in pace me. Madre non madre ormai è tardi, io devo andare mi aspetta la vita».
Conti racconta in un'intervista a Il giornale popolare che ha sofferto di gravi disturbi psichiatrici (psicosi psico-affettiva) e fu anche ricoverato. Aggiunge poi che il suo outing ha provocato la sua esclusione dalla famiglia, soprattutto motivata dal fatto che la madre è seguace dei testimoni di Geova.
Crediamo che questa canzone verrà usata al Festival come spot per le istanze gay e che inoltre si parlerà di questo pezzo più per motivazioni legate alle rivendicazioni LGBT che per le sue qualità artistiche. Inoltre si corre il rischio che venga ascoltata solo la campana di Conti e che quindi ad esempio si faccia la semplicistica equivalenza «religione = intolleranza», perdendo così l'occasione di sentire anche il parere della madre e di domandarsi almeno quanto realmente i disturbi psichici del povero Conti siano da attribuire alla influenza della madre e se anche la sua stessa omosessualità non possa essere un sintomo di un profondo disagio interiore più che, come lui asserisce, una serena condizione di vita.
(Gender Watch News, 17 gennaio 2021)
LA RISPOSTA DEI GENITORI AL FIGLIO GAY CHE CANTERÀ A SANREMO
Come avevamo già avuto modo di raccontare qualche giorno fa, il cantante omosessuale Jo Conti, che parteciperà al Festival di Sanremo, in una intervista ha rivelato che a causa del suo outing fu scacciato dalla famiglia e vessato dai genitori. Ora a Fanpage mamma Angela e papà Vincenzo raccontano un'altra verità. Riportiamo per intero la loro lettera.
«Siamo i genitori di Jo Conti. Non vi nascondiamo che ci ha ferito profondamente leggere sul vostro giornale le accuse rivolte contro di noi da nostro figlio. Non avremmo mai voluto scrivere questa lettera e smentire pubblicamente nostro figlio, a cui vogliamo bene. Ma purtroppo le accuse di Jo gettano fango sulla nostra famiglia e sulla nostra religione, e meritano quindi di essere corrette.
Non è vero che abbiamo cacciato via di casa nostro figlio, né che lo abbiamo discriminato o maltrattato in qualche modo quando si è dichiarato omosessuale. Nostro figlio Giuseppe Jo è il maggiore di tre amati figli, e ci ha rivelato di essere gay più di 15 anni fa. Da allora ha ovviamente continuato a vivere a casa, partecipando a tutte le attività familiari e avendo un ruolo importantissimo nella nostra famiglia. Come genitori ci siamo sempre presi cura di lui, anche per i suoi problemi di salute. Anche se non condividiamo le scelte di nostro figlio dal punto di vista sentimentale, abbiamo continuato ad amarlo, lasciandolo libero di vivere la sua vita come voleva. A costo di grandi sacrifici economici, ci siamo addirittura indebitati per farlo studiare presso una scuola privata per realizzare le sue ambizioni nella moda e poi lo abbiamo aiutato ad avviare una sua società di telefonia.
Abbiamo fatto del nostro meglio per accontentarlo, anche a discapito dei suoi fratelli minori ai quali purtroppo non abbiamo potuto dare lo stesso sostegno economico, perché siamo una famiglia modesta. Ma lo abbiamo fatto di buon grado, perché gli vogliamo bene. La scelta di andare via di casa all'età di 32 anni è stata una scelta di nostro figlio. Lo ha deciso non perché fosse maltrattato, ma perché non accettava le regole di comportamento all'interno della famiglia, le stesse che anche i suoi fratelli erano tenuti a rispettare. Crediamo che i genitori abbiano tutto il diritto di chiedere a un figlio di rispettare alcune basilari norme igieniche e di comportamento. Ma a Giuseppe quelle norme non stavano bene e ha deciso di andarsene. In seguito ci chiese di tornare a casa e noi lo abbiamo riaccolto. Poi ha trovato un lavoro e se ne è andato di nuovo. Il nostro sostegno non è venuto mai meno e, contrariamente a quanto lui afferma, ci sentiamo e vediamo regolarmente.
Ci ha fatto male sentirci accusati di essere noi la causa dei suoi ricoveri, quando lui sa benissimo che erano legati alla fine delle sue relazioni. E in tutti quei momenti gli siamo sempre stati accanto, anche a costo di partire all'ultimo minuto per raggiungerlo a Milano, dov'è stato ricoverato. Quando ha lasciato casa, abbiamo continuato a dimostrargli il nostro affetto aiutandolo con il trasloco, dandogli qualsiasi cosa di cui avesse bisogno e mettendoci a disposizione per la spesa e altre faccende, addirittura svegliandolo per telefono la mattina! Inoltre, le accuse alla religione ci lasciano molto perplessi. Giuseppe ha sempre avuto buoni rapporti con i Testimoni di Geova e nel tempo libero stava volentieri in loro compagnia. La nostra fede non c'entra nulla con le sue difficoltà. Anzi, come Testimoni di Geova ci sforziamo di seguire le norme della Bibbia, amando e rispettando il prossimo indipendentemente da razza, età, ceto sociale, livello di istruzione, religione e orientamento sessuale (1 Pietro 2:17).
Promuoviamo un messaggio di amore e speranza, non certo di odio e intolleranza, anche se non sempre riceviamo lo stesso trattamento. Noi non abbiamo mai chiesto a Giuseppe di scusarsi per la sua omosessualità, né mai lo faremo. Speriamo però che anche lui rispetti le nostre scelte e i nostri valori. Non riusciamo a capire perché nostro figlio abbia rivolto queste false accuse pubblicamente contro di noi e anche contro la nostra fede. Che sia tutta una trovata pubblicitaria volta ad attirare su di sé l'attenzione dei media e a promuovere così la sua carriera musicale? Magari sfruttando il fatto che i Testimoni di Geova sono un facile bersaglio, spesso vittime di pregiudizi e disinformazione? Ci auguriamo di cuore che conoscendo meglio i fatti, la stampa non si presti a questo strano meccanismo che sta facendo molto male alla nostra famiglia. Come genitori vogliamo che nostro figlio abbia una vita significativa, felice e più lunga possibile. Se lui vuole, il nostro aiuto non verrà mai meno.
Caro Giuseppe, ricordati che ti amiamo molto e ti ameremo sempre. Papà e mamma».
(Gender Watch News, dicembre 2020 gennaio 2021)
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