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Intorno ai 12-14 anni il giovane marchigiano Nicola da Tolentino, nato a Sant'Angelo in Pontano nel 1245 e la cui festa ricorre il 10 settembre, ascoltando una predica di un eremita agostiniano incentrata sulla frase «Non amate il mondo, né le cose che sono del mondo, perché il mondo passa e passa la sua concupiscenza», avvertì la chiamata alla vita religiosa ed entrò proprio nell'Ordine degli eremiti di sant'Agostino, fondato nel 1244.
Entrò nel noviziato di San Genesio, distinguendosi fin da subito negli studi, tanto che prima di terminarli venne nominato canonico della chiesa di San Salvatore del suo paese natale. Proseguì nella formazione e venne ordinato sacerdote nel 1269 dal vescovo di Osimo, san Benvenuto Scotivoli (?-1282). Contrariamente agli altri Ordini mendicanti, quello degli eremiti di sant'Agostino non ebbe un fondatore specifico in quanto fu promosso da Riccardo Annibaldi (1200/1210- 1276), cardinale protettore dell'Ordine di Sant'Agostino e sancito da papa Innocenzo IV (1195 ca.-1254), con la volontà di raccogliere le diverse fraternità di eremiti di Tuscia in un'unica famiglia religiosa sotto la guida di un priore generale e con la regola di sant'Agostino. Nel 1256 agli eremitani di sant'Agostino si unirono altre comunità similari; mentre nel 1968 il capitolo generale approvò il mutamento del titolo dell'istituto da eremitani di Sant'Agostino a Ordine di Sant'Agostino.
Grazie al suo primo biografo, il confratello a lui coevo, Pietro da Monterubbiano e dalle testimonianze dei suoi contemporanei possiamo avere notizie storicamente sicure. Una commissione composta dai vescovi di Senigallia e di Cesena fu designata da papa Giovanni XXII (1249-1334) il 23 maggio del 1325 per indagare sulla vita e i miracoli di san Nicola da Tolentino in vista di un'eventuale canonizzazione, che si realizzerà nel 1446 sotto il pontificato di papa Eugenio IV (1383-1447). Gli inquirenti compilarono un questionario di 21 articoli ai quali gli interrogati dovevano dare risposta per esaminare le virtù del monaco. Ben 8 articoli erano destinati a provare la perfetta ortodossia dell'educazione ricevuta: precauzione assai necessaria in una regione che ospitava gruppi ereticali e/o idolatrici. Altri 6 articoli spiegavano dettagliatamente gli esercizi ascetici del religioso.
UN PIO SACERDOTE DALLA CARITÀ SMISURATA
Tuttavia, l'abbondanza e la varietà delle risposte trascendono i limiti dello schema suggerito per sottolineare l'azione di un pio sacerdote dalla carità smisurata. Il suo costante attaccamento a un'ascesi rigorosa si fondava su un'intensa pietà cristologica: le mortificazioni che imponeva al suo corpo lo facevano partecipare alla Passione di Nostro Signore Gesù e quando celebrava la Santa Messa l'unione con Lui gli suscitava la lacrimazione.
Era un uomo di Dio innamorato della povertà e dell'umiltà. San Nicola praticava le mortificazioni eremitiche tradizionalmente in vigore nelle numerose comunità che erano state all'origine dell'Ordine degli eremitani di Sant'Agostino. Ma egli volle di più, nell'intento di unirsi più perfettamente a Cristo, divenendo partecipe della Sua Redenzione per la salvezza delle anime. Dormiva su un saccone di fieno, con una pietra sotto la testa per guanciale, si infliggeva quotidianamente penitenze e si sottoponeva al digiuno di tre giorni a pane e acqua come dalla Regola, aggiungendo anche il sabato in onore della Madonna. Rifiutò sempre le vivande speziate o il più piccolo pezzo di carne anche quando, negli ultimi tempi della sua esistenza, era indebolito dalle febbri e dalle varici alle gambe.
Ma non era l'asceta afflitto dalle malattie quello che gli abitanti di Tolentino conoscevano, quanto piuttosto il sacerdote che celebrava la Santa Messa in un modo specialissimo tanto intenso era il suo conformarsi a Cristo. Inoltre, ammiravano in lui l'uomo di preghiera, sicuri di trovarlo nella chiesa del convento assorto nelle sue meditazioni e adorazioni, oppure pronto a confessare.
Una penitente, Aldisia Iacobucci, rilasciò questa testimonianza: «Esercitava una forte attrazione [era, dice il testo, attractivus] sui peccatori dicendo loro, per confortarli, che da allora in poi non peccassero più e offrendosi, se lo volevano, di compiere la penitenza in loro vece». Gesù era in Lui e come Lui offriva le sue sofferenze per loro.
SEMPRE PRONTO A SEMINARE BONTÀ DIVINA
Invitava alla conversione e ai peccatori insegnava la contrizione dell'anima, molto gradita a Dio. I tratti che emergevano dalla sua personalità erano la benevolenza e la gioiosa affabilità. Visitava i malati di Tolentino, andando al capezzale di quelli poveri e dei ricchi su richiesta. In varie occasioni riconciliò coniugi separati e di fronte a situazioni di concubinaggio, faceva di tutto per rimettere la coppia in stato di grazia, regolarizzando la loro vita nel sacramento matrimoniale. Sempre pronto a seminare bontà divina, la gente lo vedeva andare per le vie con grande umiltà e riserbo, con il cappuccio calato sul capo.
Con la forza delle sue preghiere, secondo la tradizione tramandata da Pietro di Monterubbiano, il santo salvò l'anima del fratello da un lungo soggiorno in Purgatorio, per questa ragione egli è rimasto un punto di riferimento devozionale per il suffragio di queste anime in attesa di entrare in Paradiso.
La fama di santità di Nicola da Tolentino si affermò già in vita. Il gran numero di miracoli post mortem annotati durante il processo o raccolti da altre fonti da Pietro da Monterubbiano (più di trecento), rende san Nicola il più potente taumaturgo delle Marche nei primi del Trecento e conferma il rapido sviluppo di un culto assai vivo in quella terra, che oltrepassò anche i confini: nota è la devozione che nutriva nei suoi confronti santa Rita da Cascia (1381-1457). Il catalogo dei miracoli è un florilegio di atti votivi e di ringraziamenti a motivo dei prodigi che il monaco otteneva da Dio: guarigioni dal mutismo, dalla sordità, da paralisi di ogni tipo; resurrezioni, liberazione di prigionieri catturati durante le scorrerie a cavallo dei ghibellini o dai pastori ladri di bestiame. Fra le offerte il processo di canonizzazione segnala, per la prima volta nell'Europa Occidentale, di un ex voto dipinto nel 1305: è il punto di partenza di una pratica che si è perpetrata nei secoli, oggi purtroppo assai meno a motivo della poca fede; un uso di cui un'ala della splendida basilica di Tolentino dedicata a san Nicola (da sottolineare il magnifico ciclo di affreschi trecenteschi del Cappellone) ne dà ampia testimonianza.
LA SANTA CASA
San Nicola, che morì il 10 settembre del 1305, è considerato un santo mariano per la sua grande devozione a Maria Vergine e perché ebbe in visione la Santa Casa di Loreto trasportata dagli angeli. La Santa Casa (giunta nella notte fra il 9 e il 10 dicembre 1294), dopo una sosta di nove mesi sulla collina di Posatora, in Ancona, comparve alla fine del 1295 nella selva recanatese della signora Loreta, nell'attuale località denominata Banderuola, dietro l'attuale stazione ferroviaria di Loreto. Agli abitanti del luogo, stupefatti da quel prodigio, san Nicola da Tolentino, che in quell'anno dimorava nella vicina Recanati - e che, secondo la tradizione, vide per rivelazione soprannaturale l'arrivo della santa dimora il 10 dicembre 1294 - fece sapere che si trattava della Casa di Nazareth. Così anche un pio eremita, fra Paolo della Selva, che dimorava in un colle detto Montorso, poco lontano dalla selva di Loreta, conobbe per rivelazione della stessa Vergine che quelle umili pareti erano la Camera nazaretana dell'Annunciazione, portata via da Nazareth per impedirne la devastazione per mano musulmana.
La protezione di san Nicola da Tolentino è invocata dai devoti per le malattie epidemiche, i naufraghi, i carcerati e in particolare per le anime del Purgatorio. Egli San Nicola fu anche celebre esorcista: uno dei pannelli della sua vita affrescati nel Cappellone di Tolentino mostra il monaco in atto di liberare una donna indemoniata. Tale facoltà rimase integra anche dopo la sua morte visto che numerosi ex voto lo indicano come guaritore di indemoniati.
Iconograficamente parlando, il santo taumaturgo è raffigurato con l'abito nero degli Eremitani di Sant'Agostino, con una stella sopra di lui o un sole sul petto, e in mano un giglio o una croce con ghirlande di gigli. Talvolta, al posto di un giglio, tiene una sacca per la questua. Il sole sul petto rimanda ad una precisa caratteristica, tramandata dai suoi contemporanei: si dice che un astro lucente lo seguisse nei suoi spostamenti e illuminasse la sua figura.
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