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Prima notizia: la Diocesi di Bolzano-Bressanone ha una commissione per la parità di genere; e temiamo che non sia un caso isolato nell'odierno contesto ecclesiale. Seconda notizia: d'ora in poi, la stessa diocesi garantirà ai peccatori (e alle peccatrici) del suo territorio una straordinaria risorsa per la salvezza: il linguaggio inclusivo. Quale salvezza? Dagli stereotipi, ovviamente. Una risorsa a cui non avevano pensato i più grandi santi in duemila anni di storia della Chiesa (forse troppo ancorati al patriarcato e ad altri concetti preistorico-medievali), ma di cui curiosamente potranno godere oggi i fedeli (e le fedeli) immersi nel mondo più secolarizzato di sempre. I lettori (e le lettrici) ci perdoneranno per questa appesantita introduzione, ma che servirà per prendere confidenza con le linee guida pubblicate dalla diocesi altoatesina, intitolate «Linguaggio sensibile al genere».
Si tratta di un documento di 28 pagine, con l'introduzione del presidente della Commissione diocesana per la parità di genere, il vicario generale Eugen Runggaldier. Un documento che, come si legge nella stessa introduzione, «si basa sulle "Direttive per il rispetto del genere nei testi dell'Amministrazione provinciale altoatesina", che sono state adattate alle esigenze della Diocesi di Bolzano-Bressanone in collaborazione con l'Ufficio Questioni linguistiche della stessa Provincia». Il vicario spiega che lo scopo della nuova prassi linguistica è quello di sottolineare «l'apporto comune di donne e uomini alla vita della Diocesi», evitando «espressioni potenzialmente svantaggiose e discriminanti» e perciò «usando il rispettivo genere grammaticale» non solo, com'è ovvio, quando ci si rivolge a gruppi di sole donne o di soli uomini, ma anche se ci si riferisce «a gruppi misti». Dov'è possibile, aggiunge la Curia, vanno usate formulazioni neutre o estese anziché soli termini maschili, singolari o plurali.
«Le linee guida vanno attuate soprattutto per i nuovi testi da creare», precisa Runggaldier, ma non si esclude di adattare i testi esistenti, «laddove vengono tuttora utilizzati frequentemente».
Il documento si dilunga con gli esempi, presentando una serie di regole generali. Si inizia con la forma sdoppiata (semplice o estesa), con l'avvertimento che «si può scegliere se nominare prima il termine femminile e poi quello maschile o viceversa». Anziché dire «collaboratori», va usata la forma «collaboratori e collaboratrici»; anziché «i volontari», meglio «il volontario o la volontaria». Indicano ancora le linee guida: si scriva «il ministrante o la ministrante porta la croce in processione», «il presidente o la presidente indice la seduta», «il costo del servizio è a carico del o della contribuente». Eccetera, eccetera. E meno male che nell'introduzione si indicava di cercare di «non compromettere la scorrevolezza e la leggibilità di un testo». Stiamo freschi, se queste sono le nuove regole nelle terre care a san Vigilio. E tutto questo complicare il pane, in luogo di semplicissime convenzioni linguistiche, servirebbe per superare «quelle barriere» e «quegli stereotipi che ancora caratterizzano il quotidiano di molte persone» e a «dare visibilità al genere femminile»?
Ma il colmo lo si raggiunge verso la fine del documento, alla voce «Opuscoli e pubblicazioni». Rendendosi conto che l'osservanza precisa delle nuove regole comporterebbe in certi tipi di testi effetti da crisi di nervi, gli stessi estensori delle linee guida suggeriscono in sostanza di sorvolare, ma «solo in rarissimi casi!» (scrivono con tanto di punto esclamativo) e premettendo un'annotazione al testo, come questa: «Nel presente opuscolo abbiamo cercato di rivolgerci ai nostri lettori e lettrici nel rispetto dell'identità di genere. Al tempo stesso però ci premeva proporre alla cittadinanza un testo quanto più leggibile e chiaro possibile. Per questa ragione ci siamo visti costretti ad adottare la sola variante maschile nei periodi caratterizzati da elencazioni di titoli e qualifiche professionali, dove non erano possibili formulazioni alternative. Teniamo a sottolineare che i contenuti del testo sono diretti in ogni caso anche al pubblico femminile. Ci scusiamo con le nostre lettrici per questa scelta obbligata e confidiamo nella loro comprensione». Roba da Scherzi a parte.
Qualche nota a margine. Intanto, l'espressione «identità di genere», che ricorre più volte nel documento, è un concetto ambiguo e mutuato dall'ideologia Lgbt, che si pone in diretto contrasto con il magistero costante della Chiesa (dove, piuttosto, si parla di complementarità e identità sessuale, il che è ben diverso). Usare dunque il termine «identità di genere» con il pretesto di dare visibilità alla presenza femminile è, volenti o nolenti, un assist alle istanze arcobaleno e in particolare transessualiste, che negano tanto il maschile quanto il femminile.
Fa tristezza questa tendenza a copiare strutture e linguaggi del mondo, che è indice di una Chiesa che rinuncia a dire qualcosa di veramente suo, fondamentalmente perché rinuncia sempre di più ad annunciare Cristo, annacquandone il messaggio. È una Chiesa - certamente non tutta ma una sua buona parte - che si appiattisce sempre più sulle posizioni di Cesare e in qualunque campo (come abbiamo visto anche con la narrazione pandemica), dimenticando che prima di tutto deve dare a Dio quel che è di Dio, l'unico modo per guidare gli uomini alla Salvezza, con la S maiuscola.
Nessuna Chiara d'Assisi, Caterina da Siena, Francesca Romana, Rita da Cascia, Angela Merici, Veronica Giuliani, Gianna Beretta Molla e via dicendo - tutte donne che in diversi stati di vita hanno espresso in pienezza la loro femminilità - penserebbe che la Chiesa debba spendere tempo e risorse per superare le presunte "barriere" linguistiche di cui parla il documento della Diocesi di Bolzano. Rivendicazioni sterili, che si inseriscono in una logica di contrapposizione neomarxista applicata al genere, piuttosto che in un'autentica prospettiva cristiana, dove «ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2335). Preferiamo dunque la stessa diocesi altoatesina quando insiste sulla riscoperta del senso più pieno della domenica libera, piuttosto che per un simile appiattimento al pensiero del mondo.
Nelle sante, nelle Sacre Scritture e nel magistero della Chiesa - come nella splendida Mulieris Dignitatem di san Giovanni Paolo II - ci sono già tutti gli esempi necessari per valorizzare veramente la vocazione della donna. A partire da Colei a cui il mese di maggio è consacrato e le cui virtù dovrebbero essere proposte continuamente all'imitazione di tutti i fedeli, senza distinzione.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Ermes Dovico, nell'articolo seguente dal titolo "Il verbo Lgbt nella diocesi di Bari. Il vescovo lascia fare" parla della veglia in una parrocchia di Bari per il superamento dell'omobitransfobia. Del resto in un incontro con 150 scout un prete ha sostenuto che la Bibbia non condanni gli atti omosessuali. E il vescovo non fa nulla, ma anzi permette che lo scandalo continui.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 maggio 2023:
Si avvicina il 17 maggio, data scelta dai gruppi Lgbt per celebrare la cosiddetta «Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia». Pure quest'anno ci saranno una serie di iniziative che coinvolgeranno, a macchia di leopardo, anche alcune parrocchie e diocesi cattoliche.
Tra queste, un caso particolare è rappresentato dall'arcidiocesi di Bari-Bitonto, dove da mesi si registra un susseguirsi di eventi a tema arcobaleno, promossi da gruppi di pressione con l'appoggio di qualche sacerdote. Il tutto avviene senza che il vescovo intervenga, nonostante fedeli laici e associazioni di ispirazione cristiana - con in testa la sezione locale di Pro Vita & Famiglia - lo abbiano esortato più volte a fermare questo tipo di scandali.
Il prossimo scandalo è in programma questa domenica, 14 maggio, con una «Veglia per il superamento dell'omobitransfobia» prevista alle 20 nella parrocchia barese di San Sabino. In contemporanea, ci sarà una veglia gemella nella diocesi di Lecce (parrocchia di San Giovanni Battista). I due appuntamenti sono organizzati dall'associazione La Tenda di Gionata e da una sua costola, Zaccheo Puglia, che al di là di certi paraventi della neolingua (come lo stesso termine "omofobia") puntano a sovvertire l'insegnamento della Chiesa sull'omosessualità e la transessualità.
La Nuova Bussola ha inviato un'email sia al vescovo di Bari, monsignor Giuseppe Satriano, sia a quello di Lecce, mons. Michele Seccia, chiedendo un commento rispetto a queste due veglie nel loro territorio diocesano e se vi sia l'intenzione di fermarle. Al momento in cui scriviamo non ci è giunta alcuna risposta.
Nella diocesi di Bari, come dicevamo, quella in programma domani è solo l'ultima di una serie di iniziative simili e ravvicinate nel tempo. Andiamo indietro al 25 febbraio di quest'anno, quando, sempre nella parrocchia di San Sabino (retta da don Angelo Cassano), si è tenuto un incontro organizzato dall'Agesci e da Zaccheo Puglia, e intitolato: «Come ci guarda Dio. Riflessioni su identità di genere e orientamento sessuale». Un titolo che è già tutto un programma, vista la presenza di due espressioni tratte dalla neolingua di cui sopra, estranee all'insegnamento costante della Chiesa. La Curia era stata informata da alcuni laici rispetto al pericolo-indottrinamento, ma dal segretario del vescovo sarebbe arrivata la rassicurazione che l'evento del 25 febbraio non avrebbe avuto ad oggetto la teoria del gender e quindi l'omosessualismo.
E invece l'omosessualismo l'ha fatta da padrone. Culmine dello scandalo è stato il totale travisamento delle Sacre Scritture ad opera di un assistente scout delle Marche, don Fausto Focosi, che ha sostenuto che nella Bibbia non vi sia una condanna degli atti omosessuali, secondo un filone interpretativo - se così lo si può chiamare - sempre più collaudato e che vorrebbe piegare la teologia ai desiderata della lobby gay. Qualche chicca, tra le tante. L'episodio che precede la distruzione di Sodoma e Gomorra non andrebbe legato all'omosessualità, bensì sarebbe un tentativo di violenza verso forestieri, «diciamo anche migranti», suggerisce don Focosi: una violenza per far capire chi comanda, come «lo stupro etnico [...] che esiste anche ai nostri giorni». Il peccato contronatura su cui si sofferma la Genesi consisterebbe insomma, secondo il sacerdote, nella mancata accoglienza. Ma andiamo al Nuovo Testamento. Possibile che il sacerdote "neutralizzi" anche san Paolo? Possibile... Il passaggio sui sodomiti della Prima Lettera ai Corinzi non condannerebbe gli atti omosessuali, bensì i «rapporti squilibrati», dove c'è un «maestro che sfrutta dei discepoletti». Perfino la Lettera ai Romani, nei versetti dove si parla delle donne che «hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura» e degli uomini che fanno altrettanto, non conterrebbe una condanna delle relazioni omosessuali: secondo l'assistente scout, il sottotesto è che san Paolo starebbe rimproverando i mariti perché non tengono «a bada» le mogli. Stendiamo un velo pietoso sul resto della stravagante esegesi.
Merita però un cenno il ritornello, usato dallo stesso don Focosi, secondo cui Gesù nei Vangeli non dice nulla sull'omosessualità. Un ritornello che ignora almeno tre verità: 1) la Chiesa insegna che tutti i libri dell'Antico e Nuovo Testamento sono stati «scritti per ispirazione dello Spirito Santo» (Dei Verbum, 11) e vanno interpretati organicamente; 2) Gesù stesso cita di continuo l'AT; 3) sempre Gesù usa Sodoma come termine di paragone per indicare la durezza della sorte destinata alle città rimaste incredule nonostante i suoi miracoli (Mt 11,20-24).
All'incontro del 25 febbraio, davanti a circa 150 scout, c'era tra i relatori anche Rosy Paparella, responsabile di un centro antidiscriminazione, che ha cercato di relativizzare anche il sesso biologico, presentandolo in sostanza come un costrutto culturale. Del resto, Zaccheo Puglia sostiene apertamente il transessualismo, ritenendo che ognuno debba poter liberamente «aderire all'una o l'altra categoria, o di esplorarne altre se quelle convenzionali [maschile e femminile, ndr] risultino "strette"».
Nella parrocchia di San Sabino, già attiva sugli stessi temi sotto il precedente vescovo, si è dunque distribuito un concentrato di menzogne, che fanno male innanzitutto ai più giovani, i quali hanno bisogno che la Chiesa trasmetta loro la verità che il mondo gli nega. Di qui l'allarme tra le associazioni pro family, i genitori e altri laici di buonsenso, che non solo avevano avvisato il vescovo prima, ma lo hanno informato anche dopo, a marzo, con un'email e gli audio dell'incontro del 25 febbraio, che peraltro è oggi visionabile su YouTube. Ma da mons. Satriano non è arrivata nessuna risposta.
Lo stesso vescovo è stato presente a un incontro tenuto a Bitonto poche settimane fa, con il gesuita padre Pino Piva ad aggiornare i sacerdoti sul tema dell'«accompagnamento pastorale per le persone Lgbt e dei loro familiari». Un incontro soft e con qualche sofisma, secondo una fonte che vi ha partecipato, ma che in ogni caso ha l'effetto di sdoganare la prospettiva di un sacerdote che fa un lavoro a favore delle rivendicazioni Lgbt sulla falsariga del suo confratello, padre James Martin.
Se si guarda poi alla sintesi del cammino sinodale elaborata dall'Arcidiocesi di Bari troviamo sempre l'idea che la Chiesa debba cambiare in tema di omosessualità e non solo: richieste, si dirà, provenienti dalla "base" (una base molto ridotta, in verità), ma che sono state trascritte dalla diocesi come se nulla fosse, come se cioè sia compito del mondo ammaestrare la Chiesa e non viceversa.
Tornando alla stortura degli eventi Lgbt in ambito ecclesiale, i vescovi hanno una guida precisa nella lettera del 1986 «sulla cura pastorale delle persone omosessuali», firmata da Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e approvata da san Giovanni Paolo II. Una lettera che descrive lucidamente il modo di operare dei gruppi di pressione che mirano a legittimare l'omosessualità. E afferma: «Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l'insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente». Lo stesso documento, tuttora valido eppure ignorato, raccomanda di non concedere l'uso di edifici della Chiesa a simili gruppi: «A qualcuno tale permesso di far uso di una proprietà della Chiesa può sembrare solo un gesto di giustizia e di carità, ma in realtà esso è in contraddizione con gli scopi stessi per i quali queste istituzioni sono state fondate, e può essere fonte di malintesi e di scandalo».
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