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Chi sono i destinatari delle raccomandazioni di Gesù raccolte nel brano che è stato letto, e qual è lo scopo vero di questo insegnamento?
Molti hanno pensato di trovare espressa in questo testo la norma della così detta "correzione fraterna" e una direttiva circa il modo con cui va esercitato il perdono. Vale a dire: molti hanno visto in queste frasi la regola di comportamento che il singolo discepolo di Cristo deve seguire nel caso che un suo fratello abbia peccato contro di lui e lo abbia offeso.
Ma, letta così, questa pagina non sembra concordare con quello che Gesù ha detto in altre occasioni e con l'insieme dell'insegnamento evangelico. Da tutto il Vangelo infatti noi impariamo che il cristiano di fronte a un'offesa subita non deve imbastire troppi processi: deve solo perdonare, perdonare subito (se ci riesce), perdonare (come Gesù una volta ha risposto a Pietro) settanta volte sette, cioè sempre, perdonare senza chiasso ma con discrezione, perdonare, se è possibile, senza informare o coinvolgere altre persone.
Che pare esattamente il contrario di quanto è detto nel Vangelo di oggi.
L'enigma si scioglie facilmente appena si viene a sapere che l'esortazione non è indirizzata ai semplici fedeli, ma ai capi della comunità cristiana. Gesù non intende qui rispondere alla domanda: "Come mi devo comportare di fronte al mio fratello che mi offende?" (domanda alla quale ha già risposto altrove); ma a quest'altra: "Come si devono comportare i capi della comunità di fronte a una colpa pubblica, clamorosa, che turba e scandalizza la Chiesa?".
Per questo caso, il Signore traccia con molta chiarezza la linea da seguire: prima l'ammonimento privato (Ammoniscilo fra te e lui solo) perché non si condanna nessuno senza averlo prima ascoltato; poi un ammonimento che resti ancora protetto dal riserbo, ma al tempo stesso possa essere garantito da testimonianze (Prendi con te una o due persone) per prevenire l'astuzia troppo facile di una divulgazione tendenziosa dell'intervento; infine, se questi due atti non portano a un buon risultato, la riprovazione davanti a tutta la Chiesa (Dillo all'assemblea), perché la Chiesa da un lato possa pregare ed esortare perché il prevaricatore si penta e dall'altro sia garantita nel suo diritto di sapere dove sta la verità e dove sta la giustizia. Dopo di che non resta che la scomunica (Sia per te come un pagano o un pubblicano: cioè come uno che non appartiene più alla Chiesa). Dove si vede che la scomunica non è un'invenzione degli ecclesiastici del Medioevo, ma è una precisa direttiva lasciataci dal Signore.
E quasi per dare vigore a questo insegnamento, Gesù estende a tutti gli apostoli (cioè a tutti i capi della Chiesa) la straordinaria prerogativa che poco prima aveva attribuito a Pietro: Tutto quello che legherete sopra la terra, sarà legato anche in cielo, e tutto quello che scioglierete sopra la terra, sarà sciolto anche in cielo. Il che significa: le decisioni ecclesiali che sono prese in conformità alle disposizioni e allo spirito di queste parole di Cristo, hanno valore al cospetto di Dio.
Queste precise direttive del Signore Gesù sulla vita della sua Chiesa (oltre a suscitare in noi ammirazione per le capacità organizzative e il senso concreto della realtà umana che rivelano) ci suggeriscono alcune considerazioni.
IL DOVERE DI REAGIRE DI FRONTE AL MALE PER IL BENE DEL SINGOLO E DELLA COMUNITA'
1. Gesù prende molto sul serio il peccato, soprattutto il peccato che, col pretesto della schiettezza e della autenticità e con la scusa di superare l'ipocrisia, non ha neppure il pudore di nascondersi, e così si pone come fonte di cattivo esempio e di turbamento per la comunità.
Di fronte al male, Gesù non vuole che la sua comunità abbia come regola di comportamento il lasciar correre: di fronte al male bisogna reagire.
Noi viviamo in una società che si autodefinisce "permissiva": garbata parola, che non significa niente di bello; parola innocente, che in realtà nasconde una tragedia: lo smarrimento di ogni ideale e, nello smarrimento di ogni ideale, l'incapacità a distinguere tra il giusto e l'ingiusto, tra il bene e il male, tra il vero e il falso.
Avere un ideale è faticoso, perché ogni ideale di vita è esigente. Ma non avere un ideale significa privare l'esistenza di ogni bellezza e di ogni ragione, e condannarsi infine alla vuotezza e all'angoscia.
Dobbiamo chiedere al Signore il coraggio e la forza di cercare ogni giorno la regola della nostra condotta non in quello che dicono e pensano tutti, ma in quello che Dio pensa di noi e ci ha detto; non in quello che fanno tutti, ma in quello che si deve fare secondo le esigenze della verità e della giustizia.
2. Certo bisogna saper distinguere tra l'errore e l'errante: l'errore va condannato senza mezzi termini, la persona che sbaglia va compresa, rispettata, amata. Purché non si facciano confusioni, e a forza di capire l'errante non si finisca col perdere il senso della differenza tra il vero e il falso, tra la giustizia e il crimine, e si arrivi a pensare che nella Chiesa tutte le opinioni possano essere ugualmente sostenute. Questo, come si è visto, non è l'insegnamento di Cristo; questa non è neppure la libertà cristiana. Molto limpidamente, Gesù ci ha detto (e noi non dobbiamo mai dimenticarlo): La verità vi farà liberi.
3. Anzi il Signore ci dice che in certi casi particolarmente gravi - dove le ripetute ammonizioni non servono - chi presiede alla comunità cristiana ha il dovere di segnalare a tutta la Chiesa anche la persona di chi, ostinandosi nell'errore e nella colpa, si è già da solo escluso dalla comunione dei suoi fratelli. E questo perché l'errante sia aiutato a salvarsi e la fede dei piccoli e degli umili non sia messa in pericolo.
Il Signore ci doni la grazia di non arrenderci mai di fronte al male che insidia ogni giorno la nostra esistenza, e di saper lottare senza stanchezze, perché anche la lotta contro il male è un modo, necessario e irrinunciabile, di manifestare l'amore verso Dio, che è bene sostanziale, e l'amore verso i nostri fratelli.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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