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L'hanno espulso due volte, nel 2011 e nel 2023, ma è ancora in Italia. È un uomo libero. E fra un provvedimento e l'altro, ha ucciso con ferocia la moglie, massacrata con 42 coltellate davanti alla loro figlia di 7 anni. È una storia sconvolgente quella di Hammadi Zrhaida, marocchino, classe 1975, finito a suo tempo sui giornali per aver ammazzato la consorte dopo una lunga serie di vessazioni e umiliazioni. Una vicenda che mette purtroppo in luce le debolezze di un sistema colabrodo in cui si aprono infinite falle e che alla fine non è capace di tutelare le persone indifese ma meritevoli come Fatima, farmacista, che aveva denunciato Hammadi, ma è morta per mano sua.
La storia comincia nel 2010 quando l'uomo arriva in Italia con il classico visto turistico. Già nel 2011 è nei guai: viene denunciato per danneggiamento e viene decretata la sua espulsione, preceduta dal passaggio in un Centro di permanenza e rimpatrio per i migranti. Ma il marocchino non entra nel centro, riesce a schivare la detenzione sia pure amministrativa e gioca la carta del ricongiungimento familiare. Fatima l'ha preceduto nel nostro Paese. Lui l'ha costretta a lasciare il lavoro, lei è venuta in Italia, ha trovato un'occupazione come badante, vive a Padova. I rapporti fra i due sono pessimi: Hammadi la segrega, la minaccia, la picchia, lei lo denuncia e lo denuncia ancora, ma poi come spesso succede, fa marcia indietro.
Hammadi sospetta che abbia un amante e nel corso dell'ennesima lite la colpisce con coltello 42 volte, davanti agli occhi della piccola che assiste impotente allo scempio.
Zrhaida viene arrestato e condannato a 20 anni. In appello però la pena viene ridotta a 14 anni e 8 mesi, suscitando discussioni e polemiche sulla stampa; il Mattino di Padova registra lo sconcerto dell'avvocato che non accetta uno sconto così importante: «Non avevamo fatto appello contro la sentenza perché non avrebbe riportato in vita Fatima, tuttavia ci eravamo rimessi a una giustizia umana che non c'è stata. Eppure sono state spezzate due vite: quella di Fatima e quella della figlia», data in affido.
Zrhaida sconta la pena, ulteriormente accorciata per effetto delle regole del diritto penitenziario. Quest'estate è di nuovo in circolazione, fuori dal carcere. E non ci sono le condizioni per lasciarlo nel nostro Paese: il suo soggiorno in Italia è andato ben oltre i confini della legalità. È così a fine agosto il prefetto di Padova lo espelle e il questore lo spedisce in un Centro di permanenza e rimpatrio per i migranti, secondo il protocollo canonico seguito in questi casi.
Del resto, come ha raccontato il Giornale nella sua inchiesta, i centri per la permanenza e il rimpatrio sono forse l'unico argine contro individui socialmente pericolosi come Hammadi che forse verranno rispediti a casa e forse no. Perché c'è sempre la possibilità che un ricorso sia accolto. Hammadi viene portato nel Centro per i migranti di via Corelli a Milano, in attesa di essere espulso. È il 28 agosto scorso: il conto alla rovescia sulla carta non è lungo, perché il Marocco è un paese che collabora e gli aerei riportano indietro i clandestini. Ma in Italia c'è sempre un'ultima carta da giocare, quella della richiesta di asilo. Certo, il Marocco non è la Somalia e nemmeno l'Afghanistan, ma alcuni giudici hanno una sensibilità molto alta nel valutare i casi. Spesso i magistrati lasciano gli ospiti nelle strutture blindate in attesa della pronuncia della Commissione. È questa la decisione del giudice di pace che conferma il trattenimento, ma non esaurisce la procedura. C'è una richiesta di asilo e a soppesare il quadro arriva il giudice ordinario: Olindo Canali. Lui la vede in un altro modo: Il 29 settembre 2023 libera il marocchino che aspetterà senza restrizioni il responso della Commissione territoriale. Tredici anni dopo il suo ingresso in Italia e dopo essere stato espulso due volte, Zrhaida è libero.
Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola, nell'articolo seguente dal titolo "Patto Fratelli musulmani-Sinistra woke: scuola francese in pericolo", intervista Jean-Pierre Obin, autore del rapporto sull'ingerenza dell'islam militante tra i banchi di scuola francesi.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 novembre 2023:
Tre anni fa, Samuel Paty veniva decapitato da un giovane islamista che lo giudicava colpevole di aver mostrato le vignette del profeta Maometto in classe. Lo scorso 13 ottobre, un altro insegnante, Dominique Bernard, ancora in Francia, veniva ucciso al grido di Allah Akbar, per il semplice fatto di essere un insegnante.
Il terrore in Francia non finisce mai.
"Je suis prof", recitavano così i cartelli il giorno della commemorazione del professor Bernard. Perché se è vero che dopo ogni attentato l'emozione scema, resta il morbo, tutto francese, che angustia le scuole della République. «Il 12% degli insegnanti ha dichiarato di aver già subito un attacco fisico. Parliamo di 100.000 insegnanti», sostiene Jean-Pierre Obin. L'ex ispettore generale dell'istruzione nazionale francese, - quello del famoso (ma ignorato) "rapporto Obin", commissionato da Chirac nel 2004 e che già allora rilevava l'ingerenza forte e pericolosa dell'islam militante nelle scuole francesi -, racconta alla Bussola in questa intervista qual è lo stato del paziente scuola in Francia.
Obin dedica a Samuel Paty il suo recente saggio, "Gli insegnanti hanno paura. Scuola e laicità: indagine sulla grande rinuncia" (L'Observatoire), in libreria dall'11 ottobre, e analizza il dramma del divario tra musulmani e non musulmani che va in scena nelle scuole: vetrina del separatismo islamico a casa Macron. Lezioni, abbigliamento, mense scolastiche, sport, l'islam dice e impone la sua, sempre.
Basti pensare che durante il minuto di silenzio in omaggio a Dominique Bernard sono stati segnalati 357 episodi di proteste. Jean-Pierre Obin è categorico: «Sono largamente sottostimati».
Perché un libro sulla paura degli insegnanti?
Era il novembre del 2022 e veniva pubblicato un sondaggio IFOP nel quale si indagava sui danni causati dall'islamizzazione degli studenti. I risultati furono sconcertanti: l'80% dei docenti, sia della scuola primaria che secondaria, ha paura di alcuni studenti e più del 50% si autocensura nel timore degli stessi. Un'inchiesta che non è stata realmente affrontata da politici e media. Ho deciso di condurre la mia indagine e ne è uscito questo libro.
E di cosa hanno paura i professori francesi?
Gli insegnanti hanno innanzitutto paura dei loro studenti. Il più piccolo conflitto con uno studente musulmano può deflagrare in qualcosa di enorme. Paura che nasce anche dal fatto che non si sentono supportati, ma rischiano solo di essere stigmatizzati da presidi e ministero.
La scuola è un luogo privilegiato di conquista per l'islam. Perché?
Gli islamisti la vedono come il luogo "dell'infedeltà" - per usare un loro vocabolario - per eccellenza. La scuola e la riproduzione dell'ideologia musulmana, generazione dopo generazione, sono obiettivi strategici per gli islamisti. Non c'è soluzione di continuità tra il terrorista e l'ideologo, tra jihad e educazione ideologica, tra terrore e propaganda. Il ricercatore Hugo Micheron lo dimostra nei suoi libri: non esiste un lupo solitario che emerga spontaneamente per diventare terrorista. Prima di agire ci vogliono sempre anni di educazione. Ed è proprio il ruolo della scuola quello di contrastare l'ideologia islamista.
In occasione del primo anniversario della decapitazione del professor Paty, l'allora ministro Blanquer dichiarò: «Gli studenti sanno che la libertà deve essere difesa, Samuel Paty è morto per questo». Tre anni dopo, cosa è rimasto della libertà nelle scuole francesi?
Libertà di espressione a scuola? Qui siamo nel bel mezzo di un paradosso. La libertà è la prima ragione invocata dagli studenti che indossano abiti religiosi islamici per giustificarne la legittimità. «Ci vestiamo come vogliamo», così rivendicano il diritto di esprimere la propria religione, o meglio un'ideologia politico-religiosa, anche a scuola, sebbene sia vietato dalla legge.
È vero che ci sono classi con il 95% di studenti musulmani?
È molto probabile. Anche se il dato non può essere confermato perché in Francia non possiamo chiedere la religione agli studenti. Ci sono classi, anche universitarie, in cui la maggioranza degli studenti sono immigrati o figli di immigrati, per lo più nordafricani. Osservazione deducibile facilmente a cominciare dai cognomi, per esempio. Da questo elemento c'è sicuramente un certo numero di insegnanti che può sostenere, «ho il 100% di studenti musulmani». Nel mio libro ho intervistato un insegnante che mi ha raccontato di una sua classe di liceo composta per due terzi da studenti che hanno scelto l'opzione araba e il resto composto esclusivamente da alunni di origine nordafricana.
Nella strategia di ascesa al potere dei Fratelli Musulmani, i giovani sono uno degli obiettivi principali. Partendo da rappresentazioni culturali diverse dalle nostre, coltivano il risentimento, riducono la storia dell'Occidente alla colonizzazione e rendono ogni musulmano una vittima, raccontando una storia di oppressione e umiliazione per coltivare l'odio e il rifiuto dei valori occidentali. Di fronte a tutto questo la politica francese ha provato ad intervenire, oggi si è comunque ad un punto di non ritorno?
Dell'influenza ideologica dei fratelli musulmani parlo diffusamente nel mio libro. A livello europeo, a Bruxelles, sia con l'Ue che con il Consiglio d'Europa, sono state proposte campagne di comunicazione che mettevano in risalto donne velate «in nome della libertà». La Francia, in diverse occasioni, è intervenuta perché venissero rimosse.
Eppure la presenza della Fratellanza è fortissima in Francia.
Qui i fratelli musulmani sono sodali dell'estrema sinistra. C'è un'alleanza tra due ideologie: da un lato l'islamismo, le cui origini sono in Medio Oriente, dall'altro il Wokismo, originario degli USA, e in particolare nelle università statunitensi. Apparentemente le ideologie sono molto diverse, eppure si riconoscono in una comune detestazione dei valori universali per ritrovarsi ad intessere rapporti sul piano politico, su base elettorale.
L'anno scolastico francese è iniziato con il divieto di abaya a scuola. L'abaya è un simbolo religioso o politico?
L'abaya è un abito proveniente dal Medio Oriente e che non ha alcun rapporto diretto con la fantomatica "tradizione" rivendicata dagli studenti. Basti pensare che l'abaya nei paesi del Maghreb non esiste. I Fratelli Musulmani hanno fatto uso politico di questo indumento.
Quali sono le prospettive per il futuro?
Penso che siamo in lotta contro l'islamismo: un'ideologia politica totalitaria che usa la religione come strumento per riuscire a separare i musulmani dalla popolazione del paese d'immigrazione e poi governare su questa comunità. Se non si prende coscienza di tale pericolo, e dei rischi mortali per la libertà, non si riuscirà a combattere con fermezza questa ideologia. Si tratta di una lotta a lungo termine, e la strategia più adatta mi sembra quella di dare priorità all'istruzione, vale a dire al rinnovamento delle giovani generazioni. Ciò mette la scuola in prima linea: formare gli insegnanti nella sfida all'islamismo. Quel che è più difficile è convincere i partner del Nord Europa, dalla tradizione protestante, che non sono capaci, di vedere i pericoli politici dietro la richiesta di libertà religiosa.
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