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Non sospendi gli utenti che ti ordino di sospendere? Allora blocco tutto il social network nel mio paese. Questo è quanto è appena successo in Brasile: la Corte Suprema, venerdì 30 agosto, ha ordinato la sospensione di X, l'ex Twitter, dopo una battaglia legale durata mesi tra il proprietario del gigante dei social media, Elon Musk, e le autorità brasiliane, soprattutto il giudice supremo Alexandre de Moraes. Da domenica 1 settembre, circa 24 milioni di utenti non potranno più accedere al grande social network americano.
Venerdì, la maggioranza di un collegio di cinque giudici ha votato a favore del divieto dopo che Alexandre de Moraes ha chiesto alla Corte di rivedere la sua decisione. Elon Musk ha definito de Moraes un "dittatore". Il motivo ufficiale è che l'azienda americana non ha rispettato la scadenza fissata dal giudice de Moraes per nominare un nuovo rappresentante legale nel Paese. Perché però, non è stato nominato un rappresentante legale, in tempo? La settimana scorsa, Musk aveva chiuso gli uffici brasiliani della piattaforma, dopo che i membri del suo staff erano stati minacciati di arresto. Se avesse nominato un rappresentante legale, responsabile in Brasile di eventuali violazioni della legge, questi avrebbe rischiato l'arresto, molto probabilmente.
Una volta ordinata la sospensione completa di X nel paese, il giudice de Moraes ha anche stabilito una multa di 50mila reais (circa 8mila euro) per chiunque abbia usato "sotterfugi tecnologici" per aggirare il blocco, come una VPN, una rete privata virtuale.
LA LIBERTÀ DI PAROLA
Il contenzioso è iniziato ad aprile, quando ad X era stato ordinato di bandire oltre 140 account, tra cui alcuni dei più importanti opinionisti di destra brasiliani e membri eletti del Congresso nelle file dell'opposizione di centrodestra. X si è rifiutata di obbedire, affermando che questi ordini di rimozione sono di per sé illegali e incostituzionali. In risposta alla minaccia di sospensione, Elon Musk aveva dichiarato: «La libertà di parola è il fondamento della democrazia e uno pseudo-giudice non eletto in Brasile la sta distruggendo per scopi politici».
Mike Benz (Foundation for Freedom Online) osserva come la notizia della chiusura di X in territorio brasiliano non abbia suscitato alcuna protesta da parte delle autorità americane, sebbene vengano direttamente colpite da questo provvedimento. « Il governo brasiliano ha appena vietato X, il che significa che l'account dell'ambasciata statunitense in Brasile, @USAmbBR, è ora vietato in Brasile - scrive Benz - I brasiliani non possono nemmeno vedere l'account X dell'ambasciata, che non ha rilasciato una dichiarazione di condanna di quanto accaduto, non ha minacciato sanzioni, non ha minacciato di ridurre gli interessi commerciali degli Stati Uniti, non ha minacciato di eliminare i 200 milioni di dollari di assistenza governativa straniera al Brasile, niente di niente».
Oltre che il silenzio, Benz accusa l'amministrazione Biden di complicità: «Il governo degli Stati Uniti ha finanziato le Ong brasiliane, i think tank brasiliani, che hanno collaborato ad elaborare questi decreti di censura e che hanno fatto pressioni sul governo brasiliano affinché non facesse eccezione per i parlamentari eletti in Congresso, perché ciò sarebbe equivalso ad un lasciapassare per i parlamentari che diffondono disinformazione».
I PRECEDENTI ERANO DELLE DITTATURE
Altri paesi che hanno bloccato X (e precedentemente Twitter) entro i loro confini, sono: Cina, Russia, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Turkmenistan e Uzbekistan. Il Brasile si unisce a questa breve lista, con la particolarità di essere l'unica democrazia. È l'ennesima prova della deriva autoritaria del Brasile di Lula, il presidente del Partito dei Lavoratori che, dopo la sua scarcerazione e vittoria elettorale, ora gode anche dell'appoggio di una magistratura politicizzata e schierata dalla sua parte. Un ribaltamento dei rapporti di forza rispetto al 2018, quando il presidente di destra Jair Bolsonaro aveva vinto grazie a un'inchiesta della magistratura che aveva distrutto il Partito dei Lavoratori. E anche grazie ai social, che in quegli anni, avevano contribuito a dare un'alternativa all'egemonia culturale della sinistra. Lula, insomma, si sta vendicando con gli interessi.
Fraser Myers, editorialista di Spiked!, nota come la tendenza a normalizzare il controllo sui social media e anche la censura propriamente detta stia infatti dilagando anche nelle democrazie. «La messa al bando di X in Brasile questa settimana e l'arresto del fondatore di Telegram Pavel Durov in Francia la scorsa settimana suggeriscono che la guerra globale alla libertà di parola online ha fatto un passo avanti. Mentre nuove leggi come l'Online Safety Act del Regno Unito e il Digital Services Act dell'UE minacciano le aziende tecnologiche con pesanti multe se non si piegano alla censura governativa, il divieto di X in Brasile suggerisce che potremmo iniziare a vedere un approccio ancora più aggressivo alle piattaforme di dissenso nei prossimi anni».
Anche la prossima amministrazione americana non promette bene, se dovesse vincere Kamala Harris a novembre. Il suo candidato vicepresidente, Tim Walz, ha dichiarato apertamente, in un'intervista alla Msnbc: «Non c'è alcuna garanzia di libertà di parola per quanto riguarda la disinformazione o i discorsi di odio, soprattutto per quanto riguarda la nostra democrazia». Lo diceva in mezzo a considerazioni sulla libertà di voto, sulla necessità di proteggere gli elettori dall'intimidazione online. Apparentemente è inoppugnabile. Ma il concetto, se allargato, porta a scenari brasiliani.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Stefano Magni, nell'articolo seguente dal titolo "Brasile, la protesta della destra per ripristinare la libertà di parola" spiega che la partita in Brasile non è finita con la sospensione di X. Decine di migliaia di sostenitori di Musk e Bolsonaro in piazza a San Paolo lo dimostrano.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 settembre 2024:
La partita in Brasile non è finita con la sospensione di X, il social network di Elon Musk (ex Twitter). La battaglia politica è appena iniziata, a giudicare dalla protesta che questa sentenza della Corte Suprema sta suscitando nel paese. Con una manifestazione tanto partecipata quanto ignorata dai media internazionali, decine di migliaia di brasiliani, sabato 6 settembre, nel giorno dell'Indipendenza, sono scesi in piazza a San Paolo, guidati dall'ex presidente Jair Bolsonaro, per protestare contro questo nuovo grave atto di censura.
La mobilitazione è motivata, politicamente, dall'avvicinarsi delle prossime elezioni locali, in cui si voterà per il rinnovo dei sindaci di migliaia di città. Ma le voci dei manifestanti, raccolte dal Wall Street Journal rivelano idee abbastanza chiare sulla drammaticità della situazione: «La nostra libertà è in gioco... prima bruciavano i libri per mettere a tacere le persone, ora vietano i social media», dice un imprenditore, ad esempio. I manifestanti, più ancora che contro Lula, sono indignati contro il giudice supremo Alexandre de Moraes protagonista delle inchieste contro Bolsonaro e Musk.
De Moraes ha infatti guidato le ultime indagini penali su Bolsonaro, che è stato incriminato due volte: per aver tentato di importare diamanti senza dichiararne il valore e per aver presumibilmente falsificato il suo certificato di vaccinazione Covid-19. Secondo l'opposizione di centrodestra si tratta di accuse pretestuose, di una persecuzione politica dopo la sconfitta elettorale del 2022, quando Lula (appena uscito dal carcere) è tornato ad essere presidente del Brasile.
Ma de Moraes si è distinto soprattutto per la "caccia" agli anti-democratici o presunti tali su Internet. Ritiene che la sorveglianza su Internet sia diventata sempre più necessaria dopo che i sostenitori di Bolsonaro hanno preso d'assalto il Congresso, il palazzo presidenziale e il tribunale nel gennaio 2023, per protestare contro presunti brogli, nel giorno in cui si insediava Lula, imitando i fatti del 6 gennaio negli Usa. Come negli Usa e come nel Regno Unito, anche in Brasile la sinistra è convinta che sia soprattutto il "linguaggio di odio" a fomentare la violenza politica, la creazione di un "ecosistema violento" su Internet a tradursi in sommossa. Quindi Internet non viene monitorata solo perché è uno strumento di organizzazione delle proteste violente, ma anche perché è vista come la causa della violenza. E la soluzione è: sopprimere le voci che vengono identificate come quelle più pericolose, come sta accadendo in queste settimane nel Regno Unito, all'indomani degli scontri etnici di agosto.
Solo negli ultimi due anni, de Moraes ha ordinato l'arresto di oltre mille persone in nome della salvaguardia della democrazia, soprattutto rivoltosi antigovernativi o persone che, a suo dire, avevano diffuso online menzogne sul tribunale. Ha rimosso un governatore di uno Stato e ha chiuso temporaneamente l'app di messaggistica WhatsApp. Ha ordinato il blocco di centinaia di account di social media, compresi quelli di membri del Congresso e di uomini d'affari, spesso senza spiegarne il motivo.
Se un giudice supremo agisce con metodi così drastici, da dittatura, è perché la stessa Costituzione del Brasile democratico non è sufficientemente chiara nella difesa della libertà di espressione. L'articolo 5 garantisce "la libertà di pensiero e di espressione", ma la libertà di parola non è assoluta nel Paese, che ha anche leggi che limitano ciò che può essere detto pubblicamente. È un crimine, ad esempio, fare dichiarazioni diffamatorie contro funzionari governativi mentre esercitano funzioni pubbliche.
Ci sono opposizioni anche nello stesso ambiente giudiziario. Il 30 agosto, cinque giudici della Corte Suprema hanno votato all'unanimità per sostenere il divieto di accesso a X, ma il giudice conservatore Nunes Marques ha detto che avrebbe chiamato tutti gli 11 membri della Corte a rivedere il caso in una prossima votazione. Aílton Soares de Oliveira, un avvocato costituzionalista di San Paolo che ha detto di considerare de Moraes un amico, ha dichiarato che la giustizia ha commesso un "errore categorico" nel congelare non solo i beni di X ma anche quelli di Starlink, la società di Musk che si occupa di Internet via satellite - una decisione che «ha violato il principio di proporzionalità e ragionevolezza».
In Congresso, almeno un terzo dei deputati e dei senatori è contrario al divieto e vorrebbe una procedura di impeachment per de Moraes. «Quando un tribunale abbandona il principio di imparzialità e sceglie chi indagare, giudicandolo prima di ascoltarlo... stiamo violando i diritti fondamentali dei cittadini e mettendo a rischio il nostro sistema giudiziario», ha dichiarato Marcos Rogério, senatore del Partito Liberale (lo stesso di Bolsonaro).
L'ex presidente, in un video postato su Instagram per il Giorno dell'Indipendenza del Brasile ha detto che "indipendenza" è una parola vuota se i cittadini non sono liberi di esprimersi: «Un Paese senza libertà non ha nulla da festeggiare in questa data... abbiamo a che fare con un governo che si schiera con i dittatori e si oppone a ciò che abbiamo di più caro: la nostra libertà».
La questione è universale, non riguarda solo il Brasile. Negli Usa si vota fra due mesi: la libertà di espressione sarà ancora garantita a tutti o verrà eliminato il diritto di parola ai sostenitori di Trump, in quanto "anti-democratici"? E in Ue, dove si vuole arginare l'avanzata delle "destre", quanta libertà ci verrà ancora concessa? Il Brasile potrebbe essere solo un banco di prova per le future politiche europee e nordamericane.
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