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OMELIA PER LA XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 10,25-37)
da Il settimanale di Padre Pio
 

Chi da Gerusalemme scende a Gerico si accorge subito di una cosa: che vi è un grande dislivello tra le due città. Gerusalemme è in montagna, mentre Gerico è in una depressione al di sotto del livello del mare. Questo non è un particolare di poca importanza. Gerusalemme è come il simbolo del Paradiso e della felicità di lassù; Gerico è il simbolo del male, del peccato. Gesù, raccontando questa parabola, voleva far comprendere che l’uomo che scendeva da Gerusalemme verso Gerico e che incappò nei briganti che lo depredarono, è l’umanità che cadde in peccato con Adamo ed Eva e che divenne preda del diavolo. Gesù è il Buon Samaritano che venne per salvare l’uomo decaduto e per ridonargli la dignità perduta.
Questo è il primo e il più importante degli insegnamenti che ricaviamo dalla lettura di questa parabola. Se non fosse stato per Gesù e per la sua immensa carità, noi tutti giaceremmo ancora nel peccato. Con il peccato originale, l’uomo ha perso tutto o quasi. Ha perso l’amicizia con Dio, la sua grazia. Anche la natura è rimasta ferita: con il peccato originale è subentrata la sofferenza e la morte. Solo Gesù, il Buon Samaritano, poteva redimerci dal peccato e ridarci la vita. Gesù ha avuto compassione di noi (cf Lc 10,37) ed è disceso fino a noi per portarci di nuovo alla Gerusalemme di lassù. Egli ha fasciato le nostre ferite e si è preso cura di noi (cf Lc 10,34).
Gesù continua a prendersi cura di noi. Egli si prende cura di noi per mezzo dei suoi sacerdoti e grazie ai Sacramenti da loro amministrati. Il sacerdote quando celebra la Messa e quando ci assolve dai nostri peccati è Gesù stesso che fascia le nostre ferite e ci ridona la salute dell’anima. Da parte nostra dobbiamo accostarci con fede al Sacramento della confessione e alla Comunione Eucaristica.
Anche noi, però, dobbiamo prenderci cura dei nostri fratelli ed essere per loro dei “buoni samaritani”. Il brano del Vangelo di oggi ci insegna anche a praticare la virtù della carità, che è la regina delle virtù. C’è un particolare che deve farci molto riflettere. Passò un sacerdote e non si fermò; passo un levita e andò via diritto; solo un samaritano ebbe compassione del malcapitato incappato nei briganti e si prese cura di lui. I samaritani erano considerati come degli stranieri con i quali non bisognava aver a che fare. Questo ci insegna che la carità, a volte, la troveremo non tanto dai vicini, ma dai più lontani, da quelli con i quali non volevamo aver nulla da spartire. Dio permette questo per piegare il nostro orgoglio e la nostra presunzione.
Facciamo dunque un esame di coscienza e vediamo se siamo stati anche noi come quel sacerdote o come quel levita e domandiamone perdono. È molto facile accorgersi di tanti altri peccati, ma dei peccati contro la carità, chissà perché, è sempre difficile rendersene conto. Tante volte “andiamo oltre” anche noi come quel sacerdote e quel levita e non ci accorgiamo di chi è nel bisogno. Si manca di carità in tanti modi: nel pensare, nel giudicare, nel parlare che tante volte è uno sparlare; si manca di carità anche senza dire parole, basta solo un atteggiamento del volto per dimostrare il nostro disprezzo per il fratello che ci è davanti; si manca di carità chiudendo il nostro cuore di fronte alle sventure del prossimo, non volendoci pensare e non volendo quindi fare ciò di cui abbiamo la possibilità. Questi ultimi sono tutti peccati di omissione. I peccati di omissione sono molti, ma la cosa più brutta è che, il più delle volte, nemmeno ce ne accorgiamo.
Chiediamo alla Madonna che ci ottenga dal Signore la grazia di aprire bene i nostri occhi per renderci conto finalmente della nostra durezza di cuore. Chiediamo la grazia di diventare anche noi dei “buoni samaritani”, sempre pronti a soccorrere il nostro prossimo e a prenderci cura di lui.

 
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'11 luglio 2010)