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« Torna alla edizione
Tutto ci si sarebbe aspettato dal primo viaggio in Africa di Benedetto XVI, ma non che alla fine i viaggi sarebbero stati addirittura due. Quello vero e quello raccontato da gran parte dei media occidentali. Si comincia ancor prima di toccare il suolo africano. A bordo dell’aereo, il Papa parla della fede gioiosa degli africani, dei problemi economici mondiali che rischiano di affondare ancor più il continente già duramente provato dalla povertà. Ma tutto si concentra su una frase: «L’Aids non si combatte distribuendo preservativi, che anzi aggravano il problema». Niente di nuovo sul piano del magistero della Chiesa, ma le reazioni dei soliti ambienti radical chic sono durissime. «Il Papa condanna a morte milioni di africani» è più o meno la vulgata del suo discorso, volto in realtà a ricordare come il profilattico non serva, se a monte non c’è un’autentica educazione sessuale e non si concentrano le risorse sulla cura dei malati. Anzi, all’arrivo a Yaoundé Benedetto XVI chiede espressamente medicinali gratis per tutti. Ma su questo, naturalmente, i mass media del primo mondo tacciono.
Così come è quasi impossibile trovare traccia della trionfale accoglienza che gli africani (gli stessi che lui vorrebbe «condannare a morte») gli tributano in tutte le fasi della visita. I giornali di Yaoundé, il giorno dopo l’arrivo, hanno titoli del tipo 'In trionfo', ma nella Ue scendono in campo perfino diverse cancellerie e si scatena la solita canea dei sostenitori del business del preservativo. «Il Papa è un irresponsabile», è il commento più benevolo, e alcuni interventi sono davvero al limite dell’offesa personale. Tuttavia gli autori di tali dichiarazioni appartengono al gruppo di quei Paesi ricchi che nel Round di Doha hanno promesso di devolvere lo 0,7 per cento del Pil agli aiuti allo sviluppo e non l’hanno mai fatto; che attuano una colonizzazione economica che fa rimpiangere persino quella politica di qualche decennio fa; e che dimenticano sistematicamente guerre, carestie e malattie (leggi Darfur e malaria, ad esempio), a causa delle quali, invece, la gente muore davvero.
Il Papa no. Non dimentica. Parla dei problemi dell’Africa, chiede il rispetto degli impegni presi a Doha, denuncia corruzione politica, guerre fratricide, violenze sulle donne e sui bambini, visita malati e rifiuta i conflitti in nome di Dio. Ma torna a far notizia solo quando stigmatizza che sotto il concetto di 'salute riproduttiva delle donne' si voglia far passare l’aborto come mezzo di regolazione delle nascite. E di nuovo fioccano le polemiche, con il fondo toccato da chi interpreta le parole del Pontefice come un appoggio al vescovo di Recife e alla sua frettolosa scomunica nei confronti della bambina brasiliana costretta ad abortire dopo la violenza subita dal patrigno. Incredibile ma vero. È successo anche questo nel viaggio mediatico di Benedetto XVI.
Quello vero è un’altra cosa. È la risposta di chi sa che la vera speranza non viene da quanti vogliono vendere quantità industriali di preservativi per i propri interessi economici, ma da uomini e donne come i tanti sacerdoti religiosi e laici che ogni giorno stanno a fianco dei poveri. Questo fa la Chiesa, questo è venuto a testimoniare il Papa. E gli africani lo hanno compreso. A differenza di tanti commentatori occidentali.
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