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«Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio dente per dente", ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra»; addirittura, «Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico"; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori»: così dice Gesù, realizzando una grandissima rivoluzione morale. Se infatti in Platone c'è un cenno, peraltro da interpretare, sul porgere l'altra guancia, il mondo greco-romano non ha mai concepito l'amore per il nemico. Ma che cosa significa il dovere di amare i propri nemici? In primo luogo vuol dire non odiarli. Ma vuol dire anche augurare loro ogni successo? E in guerra vuol dire abbracciare il pacifismo, rinunciare a combattere i nemici e lasciarsi sopraffare? Era questa una delle accuse mosse dai pagani ai cristiani, come riporta sant'Agostino nella Lettera 138. Ora, anzitutto, che cosa significa amare? Significa varie cose, ma, per quel che riguarda il nostro discorso, significa volere-desiderare del bene a qualcuno.
Dopodiché l'amore, di solito, si prodiga anche fattivamente per procurare il bene della persona amata, cerca concretamente di agire nel modo bene-volente che concretizza il desiderio di bene per qualcuno. Quindi, come si comprende anche dall'analisi dei termini usati per formulare questo dovere nel vangelo in greco e in latino (cfr. Giovanni Gobber, Ama il tuo nemico. Dilectio, «Vita e Pensiero», 30.12.2023, reperibile online), il dovere verso il nemico non è un obbligo di provare verso di lui slancio, trasporto, simpatia, eccetera.
LEGITTIMA DIFESA
Quanto al pacifismo, già sant'Agostino lo rigetta dicendo che «Se la dottrina cristiana condannasse ogni specie di guerre, ai soldati che nel Vangelo chiedono [a Gesù, n.d.a.] il consiglio per salvarsi, [egli, n.d.a.] prescriverebbe di gettar via le armi e di sottrarsi completamente agli obblighi del servizio militare. Invece [da Gesù, n.d.a.] è stato loro detto: "Non fate violenza a nessuno e non accusate falsamente nessuno; siate contenti della vostra paga" (Lc, 3,14)», perciò, conclude sant'Agostino, nel vangelo «evidentemente non si vieta di svolgere il servizio militare a coloro cui è comandato di accontentarsi della propria paga» (se essa è giusta). Il cristianesimo non è pacifista e giustifica l'uso della forza per legittima e proporzionata difesa. Del resto, anche Gesù ha usato la forza contro i mercanti del Tempio di Gerusalemme, per difendere i "diritti" di Dio e di coloro che al Tempio volevano esercitare il culto. Anche il Catechismo della Chiesa cattolica dice, al n. 2308, che, «una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa». E aggiunge al n. 2310 una serie di condizioni da rispettare per rendere lecito combattere una guerra, che deve avere solo una finalità difensiva. Una singola persona può sì anche decidere di non reagire a un'aggressione rivolta solo a lei, ma ha il dovere di reagire, anche con le armi, quando sono in pericolo coloro verso cui ha una responsabilità: è il dovere di un genitore verso i figli, di un soldato verso i cittadini, di un governante verso il suo popolo, eccetera. Così il Catechismo al n. 2265: «La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile».
BENE MORALE, ETERNO, CONCRETO
Quanto all'amore per i nemici, le interpretazioni in venti secoli di cristianesimo sono state moltissime.
Per san Tommaso (citiamo di seguito dalla Summa Theologiae e dal De caritate) i nemici vanno amati sempre con quell'espressione dell'amore che è la carità, cioè a motivo dell'amore verso Dio, e solo in certi frangenti particolari vanno amati anche con la sopra menzionata concretizzazione fattiva dell'amore. Precisiamo. La carità è un amore di amicizia tra l'uomo e Dio: Dio ne è l'oggetto principale, mentre il prossimo viene amato dalla carità per amore di Dio, nel senso che quando noi amiamo qualcuno dobbiamo cominciare ad amare, in un certo qual modo, anche i suoi famigliari, amici, in quanto sono congiunti a lui; pertanto, l'uomo deve amare Dio con la carità e, inoltre, siccome Dio ama ogni essere umano, l'uomo deve anche amare ogni altro essere umano «perché in lui c'è [la comunione con Dio, n.d.a.] o affinché in lui ci sia [la comunione con, n.d.a.] Dio». E ciò, prosegue Tommaso, vale anche nei confronti dei nemici: l'amicizia della carità «si estende anche ai nemici, i quali devono essere amati per carità in ordine a Dio», e dunque «è stretto dovere non escludere i nemici dalle preghiere generali che facciamo per gli altri» (riguardo alle preghiere particolari per loro torniamo alla fine). E (come spiega il sopra menzionato Gobber) la benevolenza verso il nemico è frutto di una scelta, «Non è [...] un atteggiamento [...] che rinuncia a giudicare i comportamenti» e «non è disarmo; è disponibilità a farci carico anche del destino di chi ci vuole annientare». Ciò detto, san Tommaso specifica che in generale ci è comandato di amare ogni altro essere umano «come noi stessi, non però quanto noi stessi. Non [...] allo stesso modo»: dobbiamo desiderare per il prossimo, nemico incluso, solo alcune delle "cose" che vogliamo per noi stessi, cioè «a tutti [nemici inclusi, n.d.a.] dobbiamo volere lo stesso bene, ossia la vita eterna», e inoltre ai nemici dobbiamo volere quel bene che è vivere in modo moralmente buono, ma non dobbiamo volere per loro queste "cose" quanto a noi stessi: «Se anche a tutti vogliamo [dobbiamo volere, n.d.a.] lo stesso bene, ossia la vita eterna, non amiamo [non dobbiamo amare, n.d.a.] però tutti allo stesso grado». Inoltre, provvedere fattivamente alle necessità del prossimo è sì a volte doveroso, ma non in ogni circostanza: tranne in certi speciali frangenti, compiere degli atti concreti di benevolenza verso il prossimo e verso i nemici, procurare loro fattivamente dei beni concreti, non è moralmente doveroso e piuttosto costituisce la perfezione della carità. Il raggiungimento di tale perfezione non è moralmente obbligatorio, è uno dei cosiddetti "consigli" evangelici, non un precetto morale da adempiere, tranne appunto in certi speciali frangenti, cioè in casi di grave necessità (per esempio l'imminente morte per fame di un'altra persona, se siamo in grado direttamente di scongiurarla).
Nelle parole di san Tommaso, «non siamo tenuti [...] a dare particolari segni e gesti di affetto a colui che non ci è congiunto da nessun altro legame, a meno che [...] egli, secondo il tempo e il luogo non si trovi in una necessità nella quale possa essere soccorso solo da noi». Nel dovere dell'amore al prossimo come se stessi il «come se stessi» non va inteso per san Tommaso in termini egualitari. Così, per chi ne ha la possibilità, c'è sì un dovere generale di fare beneficenza, ma non verso tutti gli indigenti e in ogni situazione. Per Tommaso è in questo modo che dobbiamo amare anche i nemici, cioè sempre volendo per loro la vita moralmente buona e la vita eterna con Dio (cosa molto ardua da volere, ma questo è un altro discorso) e in certe situazioni volendo e realizzando per loro anche dei beni concreti. E anche pregare Dio perché procuri loro certi altri beni «è di consiglio e non di precetto, salvo casi particolari», che riguardano condizioni gravi.
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