OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO A
Veglia Pasquale e Messa del giorno
di Giacomo Biffi
1) VEGLIA PASQUALE
Non abbiate paura!
È stata una notte di terremoto e di spavento, ci ha detto la pagina evangelica che ha appena dato l'annuncio della risurrezione del Signore; la pesante pietra del sepolcro viene rotolata via per opera di mani misteriose; le guardie tremano e cadono tramortite; esseri arcani si muovono nell'oscurità che va morendo nell'alba, avvolti di non umano splendore.
È stata una notte carica di emozione e di turbamento. Le parole però che si sono ascoltate sono rassicuranti: «Non abbiate paura, voi!», dice l'angelo alle donne.
Non abbiate paura, voi che cercate Gesù il crocifisso; voi che non vi compiacete nella soddisfatta ottusità della carne, ma sentite e secondate l'inquietudine del cuore; voi che non vi appagate di quanto vi è offerto dalla banalità di una prospettiva puramente terrestre, ma aspirate a porvi in cammino verso un destino più alto.
Non abbiate paura, voi che cercate, voi che siete punti dalla nostalgia degli ideali perduti, voi che avvertite il desiderio di un incontro risolutivo con qualcuno che possa davvero salvare. Non abbiate paura, voi che sul serio volete celebrare la Pasqua, cioè - come dice il significato tramandato di questa antica e magica parola - volete celebrare la festa del «passaggio».
Non abbiate paura, anzi allietatevi: questo è il «passaggio» del Dio potente, che finalmente si decide a dare la vittoria a chi si è affidato a lui. Questo è «il passaggio» del popolo di Dio dalla schiavitù dell'Egitto alla libertà della terra promessa. Questo è il «passaggio» dalle tenebre alla luce del mondo che, oscurato dall'errore e dalla colpa, è stato illuminato dalla verità e dalla grazia dell'Unigenito del Padre, così come è avvenuto, in funzione di simbolo, per la nostra chiesa all'inizio di questa lunga e suggestiva celebrazione.
Soprattutto questo è il «passaggio» del Signore Gesù, il crocifisso del Golgota, dalla morte alla risurrezione, dall'esistenza oppressa dalle fatiche e dalle tristezze (che dopo il peccato è propria dell'uomo sulla terra) alla vita di luce, di gioia, di gloria, che nel disegno misericordioso di Dio resta il nostro approdo e il nostro definitivo destino.
Gesù Signore è risorto: così con voce apostolica la Chiesa non si stanca di proclamare, così noi fermamente crediamo, e in questa persuasione riconosciamo il principio della nostra vita nuova e della vera rinnovazione del mondo.
Gesù Signore è risorto: noi nel battesimo «siamo stati sepolti insieme a lui nella morte», morendo alla vecchiezza colpevole della mondanità, e siamo rinati nella giovinezza della vita di grazia. Il nostro impegno pasquale è di attualizzare sempre più intimamente e sempre più estesamente questa mistica morte e questa soprannaturale rinascita.
Tra pochi istanti un nostro fratello sotto i nostri occhi farà la prima esperienza di questa straordinaria avventura dello spirito: la grazia della morte e della risurrezione del Signore irromperà con forza nella sua anima, ed egli rinascerà dall'acqua come nuova creatura.
Noi preghiamo per lui, per la sua fedeltà alle promesse e per la fecondità della sua nuova esistenza.
Egli, in quest'ora decisiva, deve sentire la nostra calda fraternità che lo avvolge e lo accoglie con gioia nella famiglia di Dio.
Al tempo stesso, partecipando con fervore al suo, noi rivivremo il nostro battesimo, riscoprendolo come la sorgente inesausta della nostra coerenza cristiana. Con lui, anche noi vogliamo vivere autenticamente questa Pasqua e ripercorrere con maggior slancio e maggior verità il «passaggio» dalla mediocrità e dall'egoismo a un comportamento più generoso, più consapevole, più aderente alla legge del Vangelo, più conforme a Cristo, supremo e unico modello di umanità.
Il modo sacramentale - cioè il modo più significativo ed efficace di rivivere il nostro battesimo, di operare un più radicale «passaggio», di festeggiare con piena verità la nostra Pasqua - ci è dato nel sacramento della riconciliazione e nella integrale partecipazione al sacrificio eucaristico.
La confessione e la comunione - che tutti i cristiani degni di questo nome compiono in questi giorni - non sono precetti imposti dalle leggi ecclesiastiche e subiti in formale ossequio a una meccanica e stanca tradizione; sono il grado minimo e l'avveramento iniziale di una risurrezione dello spirito, che è la stessa risurrezione di Cristo che diventa nostra e continuamente ci spinge a trasformarci.
Buona Pasqua: è l'augurio di questi giorni, è l'augurio che anche noi cordialmente ci scambiamo in questa notte. Di là da ogni convenzionalità inaridita e senza significanza, fare una buona Pasqua vuol dire abbandonarsi docilmente a quest'onda rinnovatrice, che nasce dal sepolcro scoperchiato di Cristo, per tentare seriamente ogni giorno di vivere in modo diverso e più alto.
Vorrei che questo augurio pasquale, di serenità e di pace, giungesse anche a un nostro fratello che da quasi cinquanta giorni vive nell'angoscia e nel disagio. Spero con tutto il cuore che l'ingegner Eugenio Gazzotti, rapito il 3 marzo scorso, possa venire a sapere, in questo giorno della risurrezione di Cristo, che i suoi familiari lo pensano ogni momento pieni di affetto e di fiducia, che c'è una comunità cristiana che prega per lui e lo affida a Dio capace di spezzare ogni catena, che tutti ci auguriamo di vederlo rientrare presto nel calore della sua casa.
Il Signore, che ci giudicherà tutti, ispiri ai suoi sequestratori in questa Pasqua sentimenti di comprensione, e li induca ad abbreviare questo lungo tormento.
2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUA
La festa della liberazione vera e sostanziale
Questa è l'autentica, la sola, l'eterna festa della liberazione. Non una delle provvisorie liberazioni, che ogni tanto esaltano e illudono gli uomini; che talvolta abbattono una tirannia per dare spazio a un'altra; che lasciano l'umanità sotto il giogo dei suoi oppressori più veri, cioè la menzogna, l'egoismo, la prepotenza, la colpa.
Qui, nella Pasqua di Cristo, ci sono le radici di ogni nostra reale libertà. Capirlo, è capire nella sua profondità il messaggio pasquale; goderne, significa cogliere e assaporare la sostanza di questo giorno centrale dell'anno cristiano; annunciarlo, vuol dire farsi portatori dell'unica notizia davvero buona che ha attraversato la terra.
«Dove c'è la fede, lì c'è la libertà»: questa frase sant'Ambrogio, che ho iscritto nella mia insegna episcopale, esprime bene questo fondamentale pensiero.
La fede - cioè l'accoglimento con tutto l'essere del Signore Gesù crocifisso e risorto, nel quale si compendia ogni iniziativa di Dio per la nostra salvezza - è la roccia sulla quale si può costruire un'esistenza certa e degna, sottratta al pericolo dell'asservimento alle molte violenze, alle molte astuzie, alle molte corruzioni interiori ed esteriori che cercano di dominarci.
La Pasqua è la rivelazione e la proclamazione che l'universo ha un Signore, un Signore vivo, anzi un Signore che era morto ed è tornato alla vita, sicché la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,9).
Perciò la Pasqua è insieme rivelazione e proclamazione di un'appartenenza; un'appartenenza che è il principio della novità, della gioia, addirittura della nostra sovranità sulle cose e sulla storia; il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro: tutto è nostro (cf. 1 Cor 3,22). Tutto è nostro perché noi siamo di Cristo, come Cristo è di Dio (cf. 1 Cor 3,23).
L'incontro con il Cristo crocifisso e risorto fa d noi un popolo a parte, che fa spicco sull'umanità, la quale troppo spesso appare un'accolta di creature smarrite, perpetuamente in cerca di qualche ipotesi abbastanza plausibile o di qualche pallida speranza che dia un senso un po' più convincente al loro esistere.
Nel giorno di Pasqua - con Maria di Magdala in lacrime e non rassegnata, con le donne che pensavano di dover solo onorare un cadavere, con gli apostoli che avevano perduto la fede - noi ritroviamo colui che solo è il Signore, e il nostro cuore rivive: «Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa». E in lui abbiamo ritrovato la sorgente stessa del nostro essere, della nostra capacità di pensare, della nostra libertà: abbiamo ritrovato noi stessi.
Gesù, Signore e Salvatore, domina e governa l'universo non come una volontà cieca, non come una forza arbitraria, non come una norma impersonale con la quale non si può né discutere né lamentarsi. Molti potranno pensare che siano appunto questi i padroni dei nostri giorni e gli dèi che presiedono alle nostre sorti: il caso, il destino impersonale, le misteriose energie cosmiche, le leggi di una natura inconsapevole. Non noi, però, che celebriamo la Pasqua.
Come ci dice l'apostolo Paolo, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra - e difatti ci sono molti dèi e molti signori - per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e c'è un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui (1 Cor 8,5-6).
Il Signore che abbiamo trovato ha volto e cuore di uomo: perciò lo possiamo conoscer e amare; perciò possiamo aprire a lui il nostro animo, tanto nei momenti del canto e della letizia quanto nelle ore della tristezza e del lamento; perciò noi ci rivolgiamo a lui con la confidenza dei fratelli e trattiamo con lui forti della nostra nobiltà di interlocutori di Dio.
Il Signore Gesù è la verità resa persona, la verità che sola può rinnovarci e renderci liberi (cf. Gv 8,32).
L'uomo nuovo, che nasce dalla risurrezione di Cristo, è un essere libero, che deve custodire la sua libertà contro tutte le insidie. Nella Pasqua Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. (Gal 5,1).
In particolare, dobbiamo rimanere immuni dalle false libertà, che ogni tanto compaiono nella storia e tutte conducono alla schiavitù e alla degradazione dell'uomo.
È il caso della sfrenatezza morale, che è vantata dalla cultura dominante come una conquista di autonomia e di benessere, e che invece ha sempre approdi di infelicità e di miseria: il sesso, esercitato come una ossessione, senza finalità e senza regola; la vita senza vincoli stabili e senza fecondità; in molti giovani, la disperazione della droga, intesa come un'evasione dall'assurdità dell'esistenza.
È il caso delle ideologie dai più diversi colori, che si presentano come liberatrici e illuminanti, e troppe volte finiscono col privare gli uomini della stessa capacità di giudicare gli avvenimenti e le situazioni in modo sensato.
È il caso dei vari maestri di trasgressione, dei quali la parola di Dio nitidamente dichiara: Promettono libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l'ha vinto (2 Pt 2,19).
A tutti noi, convenuti in preghiera nel giorno santo che conclude la commemorazione della grande settimana che ha redento il mondo, io dico nel nome del Dio che inspiegabilmente ci ha amati e non si stanca di amarci: guardiamo a colui che per noi è stato trafitto; guardiamo le cicatrici che segnano per sempre la carne di colui che è stato ucciso dall'odio ideologico ed è risorto, e ora vive presso il Padre, sempre vivo per intercedere a nostro favore (cf. Eb 7,25). Siete stai comprati a caro prezzo (1 Cor 6,20), ci dicono queste ferite: ci è stata donata una libertà che è costata il sangue del Figlio di Dio. Non lasciamoci dunque imporre di nuovo il giogo dell'una o dell'altra schiavitù (cf. Gal 5,1), che intristisce i giorni dell'uomo, ma - riconoscendo i nostri errori e le nostre colpe nel sacramento della penitenza - impegniamovi a vivere in coerenza e con ravvivato entusiasmo la nostra condizione di creature redente e ricreate dalla Pasqua del Signore.
Fonte: La rivincita del crocifisso
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