''LO DICE LA SCIENZA'' OVVERO QUANDO LA SCIENZA DIVENTA RELIGIONE
Il caso Galileo insegna che il problema non fu la presunta arretratezza della Chiesa, ma la pretesa che le nuove scoperte dettassero legge anche in ambito di fede
di Enzo Pennetta
"Lo dice la scienza" è una frase diventata di uso comune da qualche anno ed è anche una delle espressioni più fideistiche del nostro tempo. Affermare "lo dice la scienza" proclama un dogma di fede in un'epoca senza trascendenza, in una società bisognosa di certezze che ha creato una pseudo-divinità personificando qualcosa che non esiste: la "scienza".
Quello che chiamiamo "scienza" è letteralmente ciò che si conosce su un determinato argomento e a parlare eventualmente è lo scienziato, per cui si dovrebbe correttamente dire: "Lo dicono gli scienziati".
Ma anche sostenere "lo dice lo scienziato" equivale a proclamare un dogma, un atto contrario al metodo scientifico che è nato per superare quell'ipse dixit ("l'ha detto lui") che fu dei pitagorici e poi degli aristotelici. Il vero spirito scientifico consiste nel mettere in dubbio, non nel trasformare le affermazioni in dogmi. Uno dei massimi fisici del XX secolo, Richard Feynman, ci ha lasciato il suo pensiero al riguardo: scienza è credere nell'ignoranza degli esperti. Un dogma è letteralmente un'affermazione posta a fondamento di una religione, è l'equivalente di un postulato matematico non dimostrabile, l'esatto contrario del metodo scientifico sperimentale che richiede proprio una conferma pratica delle sue ipotesi.
La scienza moderna nasce con Galileo Galilei nel XVII secolo e proprio la vicenda che lo vede coinvolto in uno scontro con la Chiesa cattolica costituisce un episodio fondamentale per capire perché non si debba far confusione tra affermazioni scientifiche e dogmi, tra scienza e fede.
La vicenda Galilei è inoltre uno di quei fatti storici generalmente insegnato male e distorto da rivisitazioni ideologiche che attingono più all'invenzione letteraria che alla ricostruzione storica. Un esempio di questo meccanismo si può trovare nella riduzione teatrale fatta da Bertolt Brecht in Vita di Galileo.
UNA FORZATURA
Galilei all'inizio del Seicento inviò delle lettere private al matematico Benedetto Castelli e alla granduchessa di Toscana, Cristina di Lorena, in cui scriveva che il passo della Bibbia in cui si racconta di Giosuè che ordinava al sole di fermarsi (Gs 10,12 ss.) andava rivisto alla luce della teoria copernicana, che, essendo eliocentrica, non ammetteva che il sole si muovesse.
Discutere su queste basi era veramente una forzatura: se Galilei venisse trasportato ai giorni nostri penserebbe che siamo tutti tolemaici poiché parliamo ancora di "solstizi" di estate e d'inverno, e solstizio letteralmente vuol dire il sole che si ferma. E diciamo ancora che il sole "sorge" e "tramonta" come se si muovesse nel cielo.
A parte la pretestuosità dell'argomento, va fatto notare che si trattava di lettere private, maliziosamente utilizzate dal predicatore Tommaso Caccini per denunciare Galilei al Sant'Uffizio: questo ci insegna che le questioni scientifiche possono essere influenzate da aspetti umani che con la scienza stessa hanno poco a che vedere, motivazioni che non sempre sono la ricerca della verità e che rappresentano interessi e conflitti personali.
Fatto sta che quella denuncia portò al primo processo a Galilei che si concluse con una sentenza dalla quale possiamo trarre un altro spunto importante: l'insegnamento della teoria copernicana, che fino a quel momento non aveva costituito alcun problema, venne sospeso nelle università pontificie finché la teoria non fosse stata dimostrata vera. In poche parole, la teoria copernicana non era un problema prima del caso Galilei ma lo diventò in seguito. Questo evidenzia che le questioni scientifiche si possono discutere liberamente ed è solo quando diventano problemi politici che la discussione viene negata: un argomento scientifico di cui non si può discutere è un argomento politico.
L'ELIOCENTRISMO NON ERA UN PROBLEMA
L'eliocentrismo non era un problema in sé: lo conferma il testo della lettera che il cardinale Roberto Bellarmino scrisse a Paolo A. Foscarini il 12 aprile 1615, affermando che «quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allora bisognerà andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie».
Bellarmino non era dunque contrario alla teoria copernicana in sé, che infatti, come detto in precedenza, era liberamente insegnata nelle università pontificie, ma era preoccupato dalla strumentalizzazione della teoria eliocentrica da parte di chi avesse voluto mettere in discussione l'autorità del pontefice che, è bene ricordarlo, era anche un sovrano.
La sentenza del Sant'Uffizio fu comunque mite. Nessuna restrizione fisica fu imposta a Galilei che, come ribadito nella lettera di Bellarmino, avrebbe dovuto solamente produrre una «vera demonstratione» dell'eliocentrismo: una posizione assolutamente scientifica.
Una delle affermazioni più comuni che si sentono ripetere riguardo al caso Galilei è che la teoria copernicana era contrastata dalla Chiesa perché toglieva l'uomo dal centro dell'universo e questo avrebbe costituito un problema. Questa affermazione nasce dall'ignoranza della vera concezione del mondo all'epoca, cioè quella della Divina Commedia, dove il geocentrismo ci mostra la terra come il punto più basso dell'universo, un luogo per nulla privilegiato dove, in accordo con una concezione più antica del cristianesimo stesso, regna la morte e il degrado del tempo: la terra è il luogo dell'imperfezione mentre i cieli sono perfetti e immutabili. Da questo si evince che adottare la teoria copernicana avrebbe abbassato il sole al centro dell'universo ed elevato la terra al terzo cielo, cioè ad una maggior perfezione. L'idea che una concezione antropocentrica potesse essere messa in dubbio dalla teoria copernicana è un errore di prospettiva in cui possono cadere gli uomini del XXI secolo, non quelli del XVII.
CARDINALI AMICI
Che la teoria copernicana non fosse un problema per la Chiesa Cattolica è confermato dal fatto che quando nel 1623 venne eletto Papa il cardinale Maffeo Barberini, con il nome di Urbano VIII, questi, essendo un amico di Galilei, lo invitò a riprendere il discorso sull'eliocentrismo e a scrivere al riguardo un libro con la sola raccomandazione di usare degli accorgimenti per non creare problemi di tipo politico.
La cosa qui ha dell'incredibile: Galilei andò contro tutte le raccomandazioni dell'amico pontefice e giunse persino ad umiliarlo mettendo in ridicolo, nel suo libro Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, delle frasi che questi gli aveva rivolto. Questo comportamento portò inevitabilmente alla rottura tra i due e alla decisione di procedere per via giudiziaria.
Per una maggior comprensione dei meccanismi che sottostanno alle vicende scientifiche va riportato anche il fatto che Galilei compì un'operazione scientificamente scorretta proprio a partire dalla scelta del titolo del suo libro che fa riferimento ai "due massimi sistemi" e cioè quello tolemaico e quello copernicano, mentre all'epoca esisteva una terza ipotesi che appariva robusta come quella copernicana. Il riferimento è alla teoria dell'astronomo danese Tycho Brahe che proponeva una terra ferma al centro dell'universo ma con i pianeti che giravano intorno al Sole, una teoria molto nota all'epoca che faceva propri i punti forti del geocentrismo e dell'eliocentrismo. Galilei correttamente avrebbe dovuto fare un confronto tra il sistema copernicano e quello ticonico, non quello tolemaico a cui ormai effettivamente non credevano più in molti.
GALILEI AVEVA TORTO DAL PUNTO DI VISTA SCIENTIFICO
Andando contro una narrazione diffusa, va detto anche che Galilei aveva torto dal punto di vista del suo stesso metodo scientifico sperimentale. Ritornando infatti alla frase di Bellarmino («...quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo»), Galilei cercò una dimostrazione del movimento della terra intorno al Sole e ritenne di averlo individuato nel fenomeno delle maree che secondo lui erano la conseguenza del nostro ruotare in un'orbita intorno al Sole. Al riguardo gli astronomi pontifici - i quali, contrariamente all'immagine grottesca che ne dà il già citato Brecht, erano di altissimo livello essendo gli stessi che avevano eseguito la difficilissima riforma del calendario nel 1582 - sostenevano correttamente che le maree non avessero nulla a che fare con il movimento della terra; del resto, il contemporaneo Giovanni Keplero aveva già proposto la teoria giusta e che cioè la causa delle maree doveva risiedere in una non compresa interazione con un altro corpo celeste come la Luna. In pratica, Keplero era giunto ad un passo dalla scoperta della teoria della gravitazione universale.
Il confronto su quale fosse il centro dell'universo sarebbe proseguito fino a quando, nel 1792, Giambattista Guglielmini fornì la prima prova della rotazione terrestre, poi confermata nel 1851 da Jean Bernard Léon Foucault con il celebre esperimento svoltosi con un pendolo nel Pantheon di Parigi.
Ma la storia avrebbe riservato altre sorprese e il sole avrebbe presto perso il suo posto appena conquistato nel centro dell'universo: la scoperta delle galassie sarebbe stata seguita presto da quella che non siamo neanche al centro della Via Lattea e che a quanto pare l'universo stesso non ha un centro: si è dibattuto per secoli su una cosa che a quanto pare non ha senso.
Il caso Galilei insegna che non devono esistere dogmi scientifici né vanno santificati gli scienziati.
Nella scienza le scomuniche non vanno fatte: sono segno di debolezza di argomentazioni e di sottomissione a qualche potere politico o economico.
Titolo originale: Il caso Galileo: quando la scienza diventa religione
Fonte: La Bussola Mensile, dicembre 2023 (n. 3)
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