QUANDO GRAMSCI PROFETIZZÒ IL SUICIDIO DEI CATTOCOMUNISTI
di Antonio Gaspari
L'aspetto più paradossale della politica italiana ed anche di quella europea e statunitense è il caparbio impegno e la militanza di cattolici nelle file di formazioni post-comuniste. Nonostante l'evidente contrasto che certe formazioni politiche manifestano contro quelli che il Pontefice Benedetto XVI ha indicato come valori non negoziabili, cioè difesa della dignità delle persone dal concepimento alla morte naturale, sostegno e riconoscimento della famiglia naturale e libertà di educazione, i politici che si definiscono cattolici continuano a militare, sostenere e addirittura dirigere formazioni politiche come il Partito Democratico.
L'evidente contraddizione si era apertamente manifestata già in occasione delle primarie del Pd, quando suore, preti, dirigenti di associazioni cattoliche e addirittura un vescovo avevano in maniera pubblica sostenuto e appoggiato la nomina di Walter Veltroni. Quel Veltroni che, tra le altre cose, in un libro dal titolo Forse Dio è malato, pubblicato in prima edizione nel 2000, aveva chiesto che la Chiesa cattolica distribuisse contraccettivi abortivi e profilattici nei paesi poveri. Quel Veltroni che aveva speso milioni di euro per organizzare un concerto mondiale per ridurre il debito dei paesi poveri, ma che non aveva destinato neanche un euro per sostenere i progetti di aiuto concreto e mirato portato avanti da missionari e associazioni di volontariato. In occasione delle primarie del Pd, monsignor Giuseppe Betori, allora Segretario Generale della Conferenza Episcopale italiana (Cei) espresse il suo non gradimento per le suorine che erano andate a votare, e osservò di non «esaltare oltre misura l'affluenza alle primarie» perché «esiste ancora l'apparato dell'ex Pci, poi Pds e ora Ds e se i militanti sono chiamati, rispondono come un tempo» (Il Giornale, mercoledì 17 ottobre 2007).
La sensibilità utopistica dei cattolici che hanno militato e che sostengono i partiti postcomunisti è una contraddizione che la Chiesa conosce da tempo. Non è un caso che il 1° luglio del 1949 la Congregazione del Sant'Uffizio pubblicò un Decreto conosciuto come «scomunica ai comunisti», con cui la Chiesa cattolica prendeva esplicitamente le distanze dall'ideologia comunista. Da allora, secondo il diritto canonico, i cristiani che professano, difendono e propagano la dottrina comunista si trovano ipso facto in situazione di scomunica, perché aderendo ad una filosofia materialistica e anticristiana sono diventati apostati. In quella dichiarazione è scritto che «fa peccato mortale e non può essere assolto: chi è iscritto al Partito Comunista. Chi ne fa propaganda in qualsiasi modo. Chi vota per esso e per i suoi candidati. Chi scrive, legge e diffonde la stampa comunista. Chi rimane nelle organizzazioni comuniste: Camera del Lavoro, Federterra, Fronte della Gioventù, CGIL, UDI, API, ecc...». Il Decreto precisa che: «È scomunicato e apostata chi, iscritto al Partito Comunista, ne accetta la dottrina atea e anticristiana; chi la difende e chi la diffonde. Queste sanzioni sono estese anche a quei partiti che fanno causa comune con il comunismo». (Decreto del Sant'Uffizio - 28 giugno 1949).
La stessa Congregazione del Sant'Uffizio pubblicò dieci anni più tardi, il 4 aprile 1959, quando Pontefice era il beato Giovanni XXIII, il documento un Dubium, con lo scopo di chiarire il senso e la portata del precedente decreto, aggiornandolo alle mutate condizioni politiche. E' scritto nel documento in questione: «È stato chiesto a questa Suprema Sacra Congregazione se sia lecito ai cittadini cattolici dare il proprio voto durante le elezioni a quei partiti o candidati che, pur non professando princìpi contrari alla dottrina cattolica o anzi assumendo il nome cristiano, tuttavia nei fatti si associano ai comunisti e con il proprio comportamento li aiutano (25 marzo 1959)». I cardinali preposti alla tutela della fede e della morale risposero decretando: «Negativo, a norma del Decreto del Sant'Uffizio del 1/7/1949, numero 1». Cioè la scomunica era ancora in vigore. Il giorno 2 aprile dello stesso anno il Papa Giovanni XXIII, nell'udienza al Pro-Segretario del Santo Ufficio, «ha approvato la decisone dei Padri e ha ordinato di pubblicarla».
Ma non è stata solo la Congregazione del Sant'Ufficio a comprendere quanto deleteria sarebbe stata per i cattolici l'alleanza con i comunisti. Uno dei primi a comprendere l'utilità dei cattolici nelle file delle formazioni comuniste ed a decretarne il suicidio fu proprio uno dei fondatori del PCI: Antonio Gramsci. Già nel 1919 Gramsci scrisse: «Il cattolicesimo democratico fa quello che il socialismo non potrebbe fare: amalgama, ordina, vivifica e si suicida... Non vorranno più Pastori per autorità, ma comprenderanno di muoversi per impulso proprio: uomini che spezzano gli idoli, che decapitano Dio» (A. Gramsci: Ordine Nuovo 1919-20, Cap. 86 pag. 273). E' impressionante constatare come Gramsci avesse già descritto in maniera precisa il profilo dei «cattolici adulti» e come ne avesse profetizzato la fine. Alla luce di questi documenti, vuoi vedere che anche questa volta ha ragione Silvio Berlusconi quando dice che Dario Franceschini, nuovo segretario del Pd, è un cattocomunista?
Fonte: 17 marzo 2009
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