NIETZSCHE E NAZISMO, AMORE A PRIMA VISTA
La tesi innocentista non regge, l'influsso di Nietzsche sui seguaci di Hitler è evidente in tutti i campi
di Francesco Agnoli
Una delle polemiche più intense nel campo della filosofia del Novecento è quella che riguarda il legame, vero o presunto, tra l'ideologia nazionalsocialista e il filosofo tedesco.
La parentela tra il sostenitore della morale dei signori e il pensiero nazista è stata affermata, pressoché in modo unanime, sino alla fine della II guerra mondiale.
A Nietzsche si richiama anche, nel 1919, Benito Mussolini, secondo il quale "noi che detestiamo dal profondo tutti i cristianesimi, da quello di Gesù a quello di Marx, guardiamo con simpatia straordinaria a questo riprendere della vita moderna, nelle forme pagane del culto della forza e dell'audacia" (Mussolini, Opera omnia, Firenze 1951-1963, vol. XIV, p. 193).
Il nazismo ama riferirsi in più occasioni ad alcune idee del filosofo, soprattutto ad opera di Alfred Baeumler, cui il regime nazista affida presentazione e cura delle opere del filosofo. Negli anni Trenta-Quaranta che Nietzsche sia un pensatore utilizzabile dal nazismo sembra innegabile sia ai nazisti e ai nazionalisti in genere, sia a molti intellettuali di tendenza socialista, marxista o cattolica.
Un legame, più o meno forte con il nazismo, o quantomeno con un radicalismo aristocratico dispotico, violento e superomistico, anticipatore del delirio hitleriano, è stato sostenuto anche, prima dell'affermarsi di tesi "innocentiste", da personalità come Thomas Mann, Ernst Bertram, Vilfredo Pareto, Benedetto Croce, Karl Löwith ("ha preparato la strada che lui stesso non percorse"), Ernst Bloch, György Lukács...
Per tutti costoro la parentela tra il filosofo e l'ideologia nazista è evidente, anche se ciò non significa che si possa fare di Nietzsche un nazista tout court (dimenticando per esempio le sue parole di fuoco verso una pretesa superiorità tedesca: «Entusiasmarsi per principio Deutschland, Deutschland, über alles o per il Reich tedesco: non siamo abbastanza stupidi per questo» (Nietzsche, Frammenti postumi 1884, vol. VIII, tomo III, 25 [251]).
LA FINE DEL NAZISMO E LA DENAZIFICAZIONE DI NIETZSCHE
Dopo la fine del nazismo è subentrato, soprattutto a sinistra, il tentativo di denazificare il filosofo, sostenendo soprattutto una tesi: che l'interpretazione nazista sarebbe stata resa possibile dalle falsificazioni della sorella del filosofo, Elisabeth, che avrebbe pubblicato i frammenti de La volontà di potenza dopo opportune manipolazioni, e dall'aver trascurato le numerose prese di distanza del filosofo dall'antisemitismo tedesco a lui contemporaneo.
Così Gianni Vattimo ha potuto parlare di "favola di un Nietzsche 'profeta del nazismo'", di un'incomprensione di fondo del pensiero del filosofo basato anche su falsificazioni testuali, e persino su "autofraintendimenti" di Nietzsche stesso.
La tesi innocentista, volta a cancellare ogni legame tra il pensiero di Nietzsche e quello totalitario, si è potuta anche appoggiare su di un fatto: la speranza di Nietzsche, soprattutto alla fine della sua vita, di trovare un alleato per la trasvalutazione dei valori nella finanza ebraica, e la presenza tra i suoi principali traduttori, divulgatori ed estimatori, quando era ancora in vita, di molti ebrei, come Georg Brandes o Daniel Halévy.
In verità l'amore di intellettuali ebrei per Nietzsche potrebbe essere spiegato molto bene ricordando un precedente: quello di Voltaire, violento antisemita, eppure sponsorizzato anche da ambienti ebraici che avevano alcuni conti da regolare con l'odiato Antico Testamento, da tempo ripudiato, e con il Vangelo, frutto per loro malato di menti ebree (qualcuno parla di "odio ebraico verso se stessi"; qualcosa di analogo all'odio di molti occidentali di tradizione cristiana, per il cristianesimo).
LA TESI NON REGGE
La tesi innocentista, non molto in voga presso gli storici, propensi per lo più a sottolineare il contrario (da W. Shirer a Eric J. Hobswam, da Gerhard Ritter a Ernst Nolte e Arno Mayer ...), è tornata ad essere messa in discussione negli ultimi decenni anche presso i filosofi. Si deve in particolare a Domenico Losurdo, ordinario di storia della filosofia ad Urbino, ed autore del ponderoso volume Nietzsche, il ribelle aristocratico, una ricostruzione del pensiero di Nietzsche non più disancorata dal contesto storico appropriato: per Losurdo, per esempio, non si può fingere che quando il filosofo parla di "annientamento di milioni di malriusciti", di "popoli malriusciti", di "malaticci, infermicci, estenuati, da cui oggi l'Europa comincia ad essere ammorbata", di "menzogna dell'eguaglianza delle anime"... si tratti solo di metafore innocenti e fascinose, senza legame alcuno con la realtà dell'epoca, segnata dal diffondersi plateale della mentalità razzista e di quella eugenetica promossa anzitutto da Francis Galton (verso cui Nietzsche esprime in più occasioni, esplicitamente, la sua stima).
Analogamente, quando Nietzsche elogia la schiavitù degli inferiori, non si può dimenticare che lo fa in un'epoca in cui di schiavitù concreta e di abolizionismo si dibatte ogni giorno sui giornali da lui letti. Quando poi al superuomo, è possibile fingere che la furba traduzione "oltre-uomo" ripulisca il termine dal suo odore malvagio, dimenticando volutamente che il termine non rimane, in Nietzsche, senza precisi ed espliciti riferimenti storici, a Giulio Cesare, al crudele e senza scrupoli Cesare Borgia, al dittatore e sterminatore Napoleone?
Quanto alle presunte manipolazioni nazistificanti di Elisabeth, tante volte chiamata in causa come un "parafulmine" per scagionare il filosofo dai riconoscimenti attribuitigli dal nazismo, sono ormai in tanti a ricordare un fatto banale: La volontà di potenza viene pubblicato nel 1901, quando Hitler è solo un ragazzino ed Elisabeth, che non è un'indovina, non può aver alcuna ragione per presentare il fratello come un hitleriano ante litteram .
Per chi scrive il tentativo di "denazistificare" Nietzsche - tentativo, nota Maurizio Ferrraris nel suo Spettri di Nietzsche, che ha luogo, "non casualmente fuori della Germania"- ricorda l'analoga operazione fatta da quanti presentano tutte le realizzazioni del comunismo come pure incomprensioni del pensiero di Karl Marx.
CONTRO LA MORALE BIBLICO-CRISTIANA
E' vero, Nietzsche non è un pensatore sistematico, e dalla sua ricca produzione si possono trarre pensieri anche contrapposti e antitetici, ma alcuni nazisti avranno la possibilità di utilizzare, almeno in parte, le sue opere, e di rifarsi ad esse, per il semplice fatto che, come lui, rinnegano totalmente la morale biblico-cristiana, contenuta nel Vecchio e nel Nuovo Testamento; come lui denigrano la "compassione" (che per Nietzsche ci "carica della miseria altrui", "intralcia la legge dell'evoluzione, che è legge della selezione", favorendo "l'abbondanza di malriusciti") e negano l'esistenza di una morale oggettiva e trascendente, così come l'eguaglianza in dignità tra gli uomini; come lui ammirano Napoleone e i superuomini-dittatori, e vogliono annientare, con l'eugenetica, i malriusciti e i malaticci; come lui predicano le virtù guerriere, del corpo e della forza, contro le virtù dello spirito e identificano, come un unico male proteiforme, ebraismo, cristianesimo e socialismo...
Certo, come mai Nietzsche, malaticcio, debole di salute, infermo nella psiche, non proprio di successo, come spererebbe, con le donne... possa divenire l'esaltatore dell'uomo forte, sano, guerriero, appare a prima vista un mistero; ma un mistero perfettamente conciliabile con la sua mania di grandezza frustrata, con il suo orgoglio piegato dalla vita reale (nelle sue lettere scrive sempre di essere "un animale straordinariamente famoso", vanta schiere di ammiratori, soprattutto tra le "signore più affascinanti" del bel mondo..., senza che ciò sia vero); un mistero del tutto analogo a quello del suo ammiratore Adolf Hitler: piccolo, nero, sgraziato, fisicamente gracile, di sangue non del tutto "puro"... sarà il massimo teorico della superiorità degli ariani alti, biondi, fisicamente possenti!
Non è forse il risentimento, verso una realtà che non è interamente dominabile, a fargli dire che "Dio è morto"? Non è forse la rabbia per il non poter essere davvero Dio, a generare l'odio verso Dio? Non è forse, la follia di Nietzsche, null'altro che l'inevitabile sbocco del tentativo inesausto di cambiare la realtà dei fatti, quella per cui Dio è Dio, e l'uomo una fragile, eppur nobile, creatura?
GLI EBREI
Quanto all'antisemitismo, Nietzsche non è antisemita nel senso razziale del termine. Ma la sua polemica costante con il popolo ebreo, in quanto portatore di dogmi nefasti (esistenza di un Dio trascendente e personale, creazione del mondo, eguaglianza e fratellanza delle anime, esistenza della colpa e del peccato, dell'aldilà e di un giudizio finale, decalogo mosaico contenete anche il "non uccidere"...), è del tutto analoga a quella che effettueranno i nazisti, concordi con lui persino nel respingere il tempo lineare biblico, cui contrapporranno il simbolo ciclico della svastica e la reincarnazione hitleriana.
Così l'estraneità di Nietzsche, in vari passi, al razzismo, e il suo desiderio di fucilare, oltre al papa e alcuni altri avversari politici, gli antisemiti, va insieme con questa definizione: "un antisemita è un ebreo invidioso, vale a dire il più stupido tra di loro" (cit. in Nietzsche e gli ebrei, Giuntina, Firenze, 2011, p. 243); con la convinzione che il maledetto cristianesimo sia figlio dello "spirito sacerdotale ebraico"; con l'attacco mortale alla "morale ebraico-cristiana", agli ebrei come "popolo più infausto della storia", agli ebrei polacchi contemporanei che, come i primi cristiani, "non hanno un buon odore", all'esaltazione di Pilato che consegna l'ebreo Cristo alla morte -"un ebreo in più o in meno- che conta?" (L'Anticristo, cap. 24 e 46); e ancora: "Gli Ebrei - un popolo "nato per la schiavitù", come dice Tacito e con lui tutta l'antichità [...]: è con esso che comincia, nella morale, la rivolta degli schiavi" (Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adepphi, 1977, p. 94).
Titolo originale: Nietzsche e il nazismo un approdo obbligato
Fonte: Il Timone, maggio 2016 (n. 153)
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