UNPLANNED E' TUTTO VERO, PAROLA DI OSTETRICA
Ho visto il film e tutti piangevano, mentre io ero impassibile... perché durante il tirocinio mi avevano già fatto vedere tutto in modo che mi abituassi all'aborto (VIDEO MUSICALE: This could change everything)
di Giulia Fornasier
Penso che gli spettatori del film Unplanned si siano più volte chiesti, durante la proiezione, se fosse tutto vero. Un po' come quando si vede The Passion e si pensa che alla fine sia stato un po' tutto pompato da Gibson, perché non è moralmente accettabile, in fin dei conti. Che fosse cruento ce lo aveva annunciato all'anteprima il produttore, Federica Picchi, ma sono convinta che il 99% delle persone in sala non avesse la minima idea di quel che succede abitualmente nelle cliniche abortiste, e che sia stato pertanto scosso da quella che è la (cruda) realtà dei fatti. Me ne sono accorta perché, mentre il mio fidanzato alla mia destra e la mia migliore amica alla mia sinistra piangevano, io ero impassibile.
Non mi sono guardata indietro, ma penso che un paio di colleghe ostetriche sedute due file più in là non abbiano fatto una piega. La mia prima volta però non andò così, e penso neanche la loro.
"No, ma in Italia non ci sono le Planned Parenthood, da noi non succede". Obiezione respinta. Noi non abbiamo le cliniche abortiste forse, ma abbiamo gli ospedali, alcuni dei quali obbligati per legge a garantire l'interruzione volontaria di gravidanza. E fu proprio in uno di questi ospedali, al mio terzo anno di tirocinio, che vidi per la prima volta ciò che in quella sala è stato proiettato.
È TUTTO VERO
Tanta compostezza è frutto dell'esperienza. Perché sì: è tutto vero.
Avevo 22 anni, ero in turno in Sala Operatoria della Ginecologia. Dovevo imparare a strumentare isterectomie, annessiectomie, aborti spontanei e gli interventi di risoluzione di prolasso. Avendo esaurito la lista operatoria della giornata stavo per andarmene quando, dagli ambulatori di Diagnosi Prenatale, chiamarono per chiedere se ci fosse un'equipe non obiettrice per un'interruzione urgente: una donna e suo marito erano lì e avevano appena scoperto che il loro bambino era affetto da trisomia 13, una grave patologia cromosomica. A risposta affermativa si cominciò l'allestimento della sala. Rimasi, ma non strumentai: non era tra gli obiettivi del tirocinio crearmi sensi di colpa; l'obiezione di coscienza sarebbe stata una decisione da prendere qualora assunta, da dipendente pubblica. Per fortuna. Ciò che vidi mi bastò per sempre.
Quindi sì, ero preparata a vedere la freddezza del medico, a vedere pezzi di tessuti umani, a vedere sangue rosso vivo (perché l'aborto spontaneo, specie ad inizio gravidanza, è di color mestruazioni, rosso scuro e grumoso, molte volte indifferenziabile, e che ci sia questa grossa differenza non me lo avevano detto). Ero preparata a vedere la straziante reazione di difesa del feto e a vedere la camera gestazionale vuota: non ho pianto. Ho solo ricordato.
Anche la corsa verso il bagno di Abby, tra la nausea e le lacrime è vera: ho corso anche io quella volta. La reazione di un essere umano, credente o no, di fronte ad una cosa del genere non può che essere questa.
Dovrebbe essere la stessa anche quando si apprende che dietro una logica "onorevole", quella di voler difendere il diritto riproduttivo delle donne, come dice la protagonista, si cela una sconcertante - si fa per dire - grossa verità: la compravendita di morti.
I TRAUMI DA ABORTO PROCURATO
E sconcertata sono ancora io, che non ho mai dimenticato le lezioni di psicologia clinica sui traumi da aborto procurato, sull'altissima incidenza di depressione nelle donne cinesi per i milioni di aborti annui da quando ha preso il via la politica del figlio unico. Ciò che sorprende sempre è vedere come chi si batte per l'aborto a tutti i costi, sembri non sapere (ricordare?) che, al netto delle considerazioni etiche sull'embrione e sulla pratica (della serie: è un bambino o no? È un omicidio oppure no? Sentirà male oppure no?), l'attaccamento al feto è un processo non consapevole, che inizia a svilupparsi in tutte le donne subito dopo il concepimento, quando ancora non sanno della gravidanza, ad opera della cascata ormonale che lavora in senso progestativo. Un processo che c'è, esiste, cambia la donna per sempre, la rende madre anche contro la sua volontà. È innegabile. L'interruzione improvvisa di questo processo può scatenare gli effetti di un lutto non risolto e sfociare in disturbi psichiatrici.
Come è possibile far passare l'idea che si possa decidere della vita o della morte di un altro essere umano solo perché ancora quasi invisibile, e che questo non generi cicatrici nel corpo e nello spirito? E di fronte al fatto compiuto, come mai permettiamo che la donna venga lasciata a sé stessa a combattere con il suo improferibile lutto in un assordante silenzio? Per il politicamente corretto?
Mi riconosco in Abby Johnson perché ho capito, come lei, che il politicamente corretto è solo una colossale menzogna. L'aborto innocuo non esiste. Qualunque donna, sapendo cosa succede realmente, vedendo quanto ho visto io, considerando quali potrebbero essere gli esiti, ci penserebbe su molto bene.
In un tempo di estremismi politicamente corretti, in cui anche esprimere le proprie idee non è per nulla scontato, credo che i tempi siano maturi perché la gente veda e conosca.
Che vedano, che vedano tutti. È tutto vero. Parola di ostetrica.
Nota di BastaBugie: per vedere il video "This could change everything" di Francesca Battistelli (fa parte della colonna sonora di Unplanned), vai alla fine dell'articolo.
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I TRE MESSAGGI DI UNPLANNED
Luca Marcolivio nell'articolo seguente dal titolo "Il successo di Unplanned, il film che smaschera l'aborto" elenca i tre messaggi fondamentali del film sulla storia vera di Abby Johnson: le menzogne degli abortisti, il connubio tra aborto e potere, la misericordia sperimentata dall'ex manager di Planned Parenthood.
Ecco un estratto dell'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 luglio 2021:
Il film lanciato in Italia da Dominus Production ha il pregio di essere una storia di grande impatto emotivo ma estremamente lineare e chiara nella morale che esprime. I messaggi che Unplanned trasmette sono essenzialmente tre.
In primo luogo, viene smascherata la menzogna degli abortisti. Nel film viene raccontato come la giovane Abby Johnson sia stata letteralmente "adescata" e traviata da Planned Parenthood ad uno stand allestito dal colosso anti-natalista presso il suo liceo. Ad Abby, fortemente indecisa nelle sue convinzioni, viene fatto credere che lo scopo di Planned Parenthood sia quello di istruire le ragazze a un corretto uso della contraccezione e che, in fondo, l'aborto sia l'extrema ratio da consentire ma, al tempo stesso, da limitare. Entrata a far parte di Planned Parenthood, prima come volontaria, Abby diventa poi impiegata, per essere infine promossa a direttrice della clinica di Bryan (Texas). Anno dopo anno, tuttavia, scopre di essere ingannata: il reale obiettivo di Planned Parenthood è quello praticare il maggior numero di aborti possibili, per una mera questione di business. Abby stessa passa personalmente attraverso l'esperienza dell'aborto, ripetuta due volte. Il secondo episodio è il più drammatico: assunta la pillola abortiva, la giovane va incontro a copiose emorragie e teme di morire. Si adira, quindi, con i suoi stessi colleghi, che non l'avevano avvisata degli effetti collaterali ma questa esperienza non è ancora sufficiente a farle cambiare idea sul suo lavoro.
Il secondo messaggio forte del film è riferito al connubio luciferino tra aborto, denaro, potere e carriera. Abby Jonson ha bruciato le tappe e, dopo circa otto anni di servizio in Planned Parenthood, viene premiata come miglior dipendente della sua azienda. Un'obiezione posta in merito all'opportunità di limitare il numero degli aborti, la porta a scontrarsi con la sua superiore, che prima la accusa di ingratitudine, poi le svela la verità: l'aborto è il core business di Planned Parenthood e, grazie ad esso, Abby può concedersi qualche sfizio in più, dai viaggi alle ferie pagate. Le viene quindi svelata un'altra ipocrisia: per Planned Parenthood lo status di onlus è soltanto un "regime fiscale" nominale, il vero obiettivo è lucrare il più possibile sugli aborti, sottoponendo le sfortunate clienti a deplorevoli trattative, neanche si trattasse di una polizza assicurativa: più tardi effettui il tuo aborto e più dovrai pagare, ecc.
Il terzo e forse più importante messaggio è quello della misericordia: Abby Johnson ha avuto la grazia di vivere circondata da persone che, senza giudicarla, non le hanno mai nascosto il desiderio di una sua conversione. Sia i genitori che il marito sono cristiani e pro-life e attendono con incredibile e commovente pazienza il giorno in cui Abby annuncerà il suo licenziamento da Planned Parenthood. Altre due splendide figure nella vicenda sono Marilisa e Shawn, una coppia di giovani pro-life, che si reca a pregare quotidianamente davanti alla clinica. Superata l'inevitabile diffidenza iniziale, Abby diventa amica dei due e il giorno in cui "crollerà" definitivamente i primi che andrà a cercare saranno loro.
Titolo originale: Unplanned è tutto vero parola di ostetrica
Fonte: Sito del Timone, 2 agosto 2021
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