LO STATO VEGETATIVO? MAI È POSSIBILE DEFINIRLO IRREVERSIBILE
di Viviana Daloiso
Il luminare, che opera a Crotone, sollecita nuovi accertamenti su Eluana: «Perché non si è tenuto conto dei lavori più recenti sullo stato di coscienza di pazienti vegetativi da anni? Qui è in gioco il grado di civiltà del nostro Paese»
C’è confusione, su Eluana. Tanta da far sbottare an¬che uno come Giuliano Dol¬ce, luminare di livello inter¬nazionale, tra i massimi e¬sperti nel campo della neu¬roriabilitazione. Per lui – che dal 1996 dirige l’Unità di ri¬sveglio dell’Istituto Sant’An¬na di Crotone – 'irreversibilità' degli stati vegetativi e 'sospensione' sono termini insulsi, fuorvianti. Da chia¬rire una volta per tutte.
Professore, si è tornati a parlare di Eluana negli ultimi giorni, e col solito argomento: quello dell’irreversibi¬lità del suo stato vegetativo. Proviamo a fare chiarez¬za su questo punto: quando uno stato vegetativo può essere definito irreversibile?
Mai. Almeno secondo quanto è stato stabilito dalla con¬ferenza di Londra del 1996, quando neurologi e ricer¬catori di tutto il mondo si confrontarono sullo stato ve¬getativo arrivando a cancellare termini come 'irrever¬sibile' o 'permanente'. Infatti oggi sappiamo che oltre il 50% di pazienti in stato vegetativo post-traumatico riacquistano, anche dopo anni, un margine, seppur mi¬nimo, di coscienza e diventano pazienti in stato di mi¬nima coscienza. Badi bene, cito questa conferenza in modo provocatorio, però…
In che senso?
Il professor Defanti, neurologo che da sempre segue la situazione di Eluana, per dare consistenza alla 'certez¬za' che la ragazza non si sveglierà più – e che quindi an¬drebbe 'lasciata morire' – qualche giorno fa ha tirato in ballo i criteri della 'prognosi di irreversibilità' stabi¬liti da una Task Force statunitense nel 1994, cui lui si sa¬rebbe attenuto rigorosamente. Mi domando, dunque, perché andando indietro di anni ci si debba proprio soffermare su quella Task Force, dimenticando gli esiti dell’incontro di Londra avvenuto due anni dopo, e mol¬to diversi.
È anche vero che da allora molte cose sembrano esse¬re cambiate nell’approccio scientifico ai pazienti in stato vegetativo.
E qui sta il punto. È chiaro che non possiamo rifarci sol¬tanto a ricerche condotte dieci anni fa per esprimere giu¬dizi sulle condizioni di un paziente in stato vegetativo og¬gi.
Questo è proprio il problema a¬vanzato nel ricorso della Procura di Milano: possibile che nel caso di Eluana non si sia tenuto conto de¬gli almeno 15 lavori usciti recen¬temente a proposito dello stato di coscienza verificato anche in pa¬zienti vegetativi da anni?
Si riferisce alla ricerca del bri¬tannico Owen, che utilizzando la risonanza magnetica funzionale ha evidenziato che i pazienti in stato vegetativo sono coscienti?
Non solo. Anche qui a Crotone abbiamo condotto e pubblicato diverse ricerche sui contenuti di coscienza sommersa di pazienti in stato vegetativo. Per esempio abbiamo studiato il cosiddetto 'Effetto mamma', pubblicato nel Journal of Psychophysiology nel 2008.
Il risultato?
In queste ricerche si dimostra che nei pazienti in stato vegetativo è possibile registrare i correlati fisi¬ci delle emozioni indotte con sti¬molazione verbale e musicale.
Che significa...
Che significa che ascoltando la «Patetica» di Tchaikovsky, o rice¬vendo le carezze della madre, il loro ritmo cardiaco si altera pro¬prio come nei soggetti sani.
Professore, Eluana è mai stata sottoposta a questi test?
Mai. Anche perché, e questo va detto, all’epoca del suo incidente le unità di risveglio ancora non esistevano.
Tornando a Owen, la cui ricerca è stata citata proprio nel ricorso della procura di Milano, il suo test è mai stato condotto in Italia?
Ma certo. La macchina per quel tipo di risonanza c’è in molti ospedali. Per esempio a Bologna.
Perché queste prove non vengono condotte anche su Eluana?
Non lo so. Anche perché la Cassazione, pur in un sentenza a mio avviso scorretta, si era espressa chiaramente: per autorizzare l’interruzione dell’alimentazione di Eluana la condizione di stato vegetativo della paziente avrebbe dovuto essere apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità di recupero della coscienza. Per Eluana questa minima possibilità non si è cercata. Voglio dire una cosa, però.
Poniamo anche che Eluana sia destinata a non risvegliarsi, a non migliorare. Poniamo che tutte le prove effettuate diano risultati negativi, che il suo cervello sia del tutto compromesso, che la sua attività cognitiva sia pari a zero. E poniamo anche che le sue volontà siano accertate, che esista una legge per questo e lei abbia lasciato addirittura per iscritto che vuole non essere curata.
Prego.
Ebbene?
A quel punto le toglieremmo le cure: cioè, le toglieremmo le medicine (se ne prende) e i trattamenti per le malattie (se ne presenta). Morirebbe? No. E non morirebbe perché Eluana è sana! È affetta da una gravissima disabilità certo, un difetto di coscienza. Ma morirebbe solo se smettessimo di nutrirla. Eccolo il cortocircuito, ecco la balla – me lo lasci dire – che ci viene raccontata. Questi signori ci dicono che Eluana non presenta 'segnali' di reversibilità cognitiva e che quindi deve morire: ma Eluana vive, vive una sua vita emotiva e una vegetativa. L’uomo non è tale solo perché ha una coscienza cognitiva. Se no che faremmo dei malati di Alzheimer, dei Parkinsoniani, delle arteriosclerosi cerebrali? Questi son tutti malati che, in fase avanzata, vengono nutriti con sondino naso- gastrico! Che faremmo dei bambini abbandonati nei cassonetti, non gli daremmo il latte? Qui non è in gioco il parametro clinico di una diagnosi.
E cosa?
Qui, con il caso di Eluana, è in gioco il grado di civiltà del nostro Paese.
Fonte: fonte non disponibile, 4 settembre 2008
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