OMELIA XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO A - (Mt 22,1-14)
Il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio
da Il settimanale di Padre Pio
Nella parabola del Vangelo di oggi, il regno dei cieli è paragonato ad un banchetto di nozze. Già nella prima lettura il profeta Isaia annunciava la salvezza di Dio adoperando la stessa immagine del convito, al quale tutti i popoli sono invitati. Questo banchetto è simbolo della redenzione offerta da Dio a tutte le nazioni. Allora il Signore «eliminerà la morte per sempre e asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8).
La parabola del Vangelo è molto simile a quella della domenica scorsa. Essa parla di «un re che fece una festa di nozze per suo figlio» (Mt 22,2). Il re è Dio che offre al suo popolo la salvezza. I servi mandati a chiamare gli invitati alle nozze sono i profeti che dovevano preparare gli Ebrei alla venuta del Messia. Gli invitati, che rifiutano l'invito e maltrattano e uccidono i servi, sono proprio i Giudei, come pure tutti quelli che rifiutano Gesù.
Allora il re rivolge il suo invito a tutti, e manda i suoi servi a chiamare chiunque essi avessero trovato. Questo particolare simboleggia la predicazione della Chiesa, la quale annuncia la salvezza al mondo intero. Così «la sala delle nozze si riempì di commensali» (Mt 22,10). Questa sala simboleggia proprio la Chiesa dove non tutti sono santi, e vi è una compresenza di buon grano e di zizzania.
Per prendere parte alla festa di nozze del Figlio di Dio, ovvero per conseguire la salvezza, bisogna indossare l'abito nuziale. L'abito nuziale rappresenta la grazia di Dio di cui deve essere rivestita l'anima. Chi manca di questo abito è cacciato fuori della sala, nelle tenebre, ove «sarà pianto e stridore di denti» (Mt 22,13). Queste parole indicano chiaramente l'inferno, dove finiscono eternamente tutti quelli che muoiono in peccato mortale. La verità dell'inferno e della sua eternità è stata ripetutamente insegnata dalla Chiesa: è una verità scomoda, certamente, di cui però non possiamo tacere senza renderci gravemente responsabili.
La Chiesa deve richiamare l'attenzione di tutti i fedeli su questa tremenda possibilità di perdere eternamente l'amicizia con Dio. L'inferno testimonia in qualche modo l'infinito amore di Dio per l'uomo. Dio, infatti, ci ha donato la libertà e la possibilità di scegliere il destino eterno che noi vogliamo. Ciascuno raccoglierà ciò che avrà seminato.
Quando moriremo entreremo nell'eternità e così si fisserà irrevocabilmente la condizione della nostra anima: se sarà in grazia di Dio, essa sarà eternamente salva; se, al contrario, sarà in peccato mortale, l'anima rimarrà eternamente in questo rifiuto di Dio e della sua salvezza.
A commento di questa parabola, Gesù dice: «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (Mt 22,14). Questa frase di Gesù ci fa comprendere tutto il rispetto che Dio ha per la nostra libertà: Egli chiama tutti, ma spetta a noi decidere se accogliere il dono di Dio e conseguire così la nostra eterna felicità.
Noi perdiamo la candida veste della Grazia divina con il peccato mortale. I peccati mortali più diffusi, per fare solo alcuni esempi, sono le bestemmie, i peccati contro la purezza e contro la vita, e il peccato di non andare alla Messa la domenica. Pensiamo poi ai furti e alle maldicenze con le quali roviniamo gravemente la buona fama del nostro prossimo. Con il sacramento della Confessione, se ci confessiamo con vivo pentimento e sincero proposito, noi recuperiamo la splendente veste dell'innocenza e possiamo assiderci degnamente al banchetto dell'Eucaristia.
Tante volte si sente dire che non è bene parlare dell'inferno, che ciò spaventa i fedeli, e che bisogna parlare solo della Misericordia di Dio. Riflettiamo bene che un tale modo di agire è pericoloso. Un fedele deve conoscere tutta la verità e deve sapere bene a cosa porta il cattivo uso della sua libertà, e quelle che sono le conseguenze eterne dei nostri pensieri, delle nostre parole, opere e omissioni.
Ai giorni d'oggi si pensa molto poco all'eternità e si trascura la salutare meditazione sui "Novissimi", ovvero sulle realtà ultime che ci attendono alla fine della nostra vita: morte, Giudizio, inferno e Paradiso. Non si pensa a questo preferendo dormire tranquilli, mettendo a tacere la nostra coscienza. Un Santo diceva: penso all'inferno per non andarci dopo morte. Pensiamo anche noi a queste ultime realtà, le uniche veramente certe nella nostra vita.
A Fatima, la Madonna fece vedere l'inferno a tre piccoli bambini, invitandoli a pregare e a offrire sacrifici affinché i peccatori si convertano e tornino nell'amicizia con Dio. Di fronte ad un appello così accorato rivolto non solo ai tre bambini, ma a tutti i cristiani di buona volontà, non possiamo rimanere indifferenti. Preghiamo e offriamo sacrifici anche noi e così eserciteremo la più grande carità fraterna.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 09/10/2011)
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