JESSICA, RAGAZZA TRANS SUICIDA PER IL CAMBIO DI SESSO (IL 40% DI COLORO CHE CAMBIANO SESSO MUOIONO SUICIDI)
Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): il gene dei gay non esiste, Bolsonaro dichiara guerra al gender nelle scuole del Brasile, Siena e la rete Ready
di Chiara Chiessi
Una tragedia che arriva dall'Inghilterra, in un paese vicino Cambridge di 1700 abitanti.
Jessica Lowe era una ragazza che dall'età di sette anni diceva di aver capito di essere nata nel corpo sbagliato. Quando aveva quindici anni, con i genitori si recò all'istituto specializzato in "disforia di genere" per i minori, il Tavistock Centre di Londra.
"Abbiamo comprato un biglietto per Londra per recarci al Tavistock and Portman Centre, l'istituto fiore all'occhiello della sanità britannica nel campo della disforia di genere", spiegano i genitori. "Qualcosa in quel viaggio andò storto. Jessica, che ai tempi della prima visita aveva poco più di 15 anni, non era stata ritenuta idonea a iniziare un trattamento. Era stata inserita in una lista di attesa. A causare il ritardo era l'altissima richiesta di trattamenti in clinica, con la triptorelina". Già nel 2017 il Tavistock Centre annunciava di non poter più sopportare la mole di richieste di cambio sesso su minori. Nel 2018 la situazione era divenuta così insostenibile da costringere il direttore del reparto a sospendere l'accettazione di nuovi pazienti tra i 5 e i 17 anni. "Nel caso di Jessica, l'attesa era di circa due anni", spiegano ancora i genitori, "ma i mesi sembravano non passare mai". La crisi esplode a due anni esatti dalla visita. Jessica già diciassettenne, era diventata ufficialmente "Jayden". Non era più possibile inserirla nella lista dei bambini, era stata quindi trasferita nell'elenco degli adolescenti. Tempo di attesa: 6 anni. "Continuava a ripetere di non farcela, di non poterci costringere a vivere con una figlia transgender, di non poterci dare questo dolore", raccontano i genitori.
Dopo molte ricerche sul web, Jessica viene a conoscenza di una clinica online, la Gender GP, gestita da Helen e Mike Webberley.
Le cure prevedevano cocktail di ormoni insieme a triptorelina (bloccante della pubertà) e calmanti. Le visite avvenivano via Skype e le ricette per e-mail. Il costo della cura era di 90 sterline al mese, i colloqui (erano consigliati tre a settimana) 30 sterline al giorno.
Dopo pochi mesi, i cambiamenti iniziarono ad essere già visibili: oltre ai tratti somatici, scomparve il ciclo mestruale. Oltre a questi, iniziarono però a comparire alcuni effetti collaterali: mal di testa, nausea e coliche.
"La dottoressa Webberley e il marito continuavano a rassicurarci raccontandoci che andava tutto bene", spiega la madre. "Come potevano saperlo guardando Jayden solo attraverso uno schermo?"
I genitori portarono la giovane in ospedale e da lì la scoperta: quel mix di ormoni aveva compromesso alcuni dei suoi organi interni.
"Se avesse continuato con quei cocktail di triptorelina e ormoni, sarebbe morta da lì a poco", spiega Rosamund Rhodes-Kemp che ha effettuato l'autopsia sul corpo di Jessica. "La sua morte è stato un atto spontaneo dettato dalla disperazione e dalla consapevolezza di essersi rovinata la vita"
Jessica infatti poco dopo si suicidò buttandosi sotto un treno.
La clinica online continua però la sua attività in Spagna, nonostante i due medici, che dicevano di avere a cuore le persone LGBT, siano stati sospesi dal servizio sanitario britannico.
Tragedie del genere ci fanno capire l'illusione del "cambio di sesso" e la crudeltà del mondo LGBT che inganna soprattutto i giovani più fragili nel far loro credere di poter essere ciò che non sono.
Quante altre vite dovranno essere spezzate prima di capire che l'ideologia LGBT è fondata solo che sulla menzogna?
Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal "gaio" mondo gay (sempre meno gaio).
IL GENE DEI GAY NON ESISTE
Il «gene dei gay» non esiste. Qualcuno ci aveva provato in passato a formulare questa ipotesi, ma ora un gigantesco studio genetico taglia la testa al toro: non ci sono «segni particolari» nel Dna che possano predire un'eventuale omosessualità. Lo studio ha analizzato il patrimonio genetico di oltre 470 mila persone alla ricerca di specifiche alterazioni che potessero prevedere l' attitudine a instaurare rapporti sessuali con persone dello stesso sesso. Ma non ne ha trovate.
Il che significa, precisano i ricercatori, che l'attrazione per persone dello stesso sesso ha a che fare più che con un singolo gene, con un mix di fattori genetici (sì, perché esistono migliaia di varianti genetiche, ma non significative, secondo quanto ci dice questo studio) e ambientali, così come accade per decine di altri comportamenti umani. I ricercatori, guidati da Andrea Ganna che lavora al Center for Genomic Medicine del Massachusetts General Hospital di Boston e al Broad Institute del Mit (Massachusetts Institute of Technology) sempre a Boston, hanno voluto rispondere a una serie di quesiti finora non risolti.
Intanto una premessa. [...] I fattori biologici che contribuiscono alle preferenze sessuali sono pressoché sconosciuti, ma è stata ipotizzata un'influenza genetica dal momento che certi comportamenti omosessuali si ripresentano nei membri di una stessa famiglia e anche fra fratelli gemelli sia omozigoti che eterozigoti. Da queste osservazioni preliminari sono emerse alcune domande.
La prima: quali geni sarebbero coinvolti e quali processi biologici influenzerebbero? In passato sono stati condotti alcuni studi alla ricerca di varianti genetiche legate all'orientamento sessuale, ma erano molto piccoli e non guidati dagli attuali criteri di analisi genetica. L'idea era quella di trovare anomalie ormonali correlate a questi comportamenti. Seconda domanda: eventuali modificazioni genetiche come potrebbero agire diversamente su persone di sesso maschile e di sesso femminile? E su cosa influirebbero: sul comportamento, sull'attrattività, sull'identità? E che ruolo avrebbero, invece, per eterosessuali ed eventualmente bisessuali?
A queste domande, dunque, ha voluto rispondere lo studio pubblicato su Science (condotto con la collaborazione di numerosi gruppi americani, europei e australiani) che ha sfruttato l'approccio «genome-wide association» (in pratica si tratta di un'analisi di tutti, o quasi tutti, i geni di diversi individui di una particolare specie per determinare le variazioni genetiche tra gli individui in esame) su omosessuali. I ricercatori hanno sfruttato i dati genetici raccolti nella Uk Biobank del Regno Unito e quelli dei partecipanti al progetto 23andMe americano, per un totale, appunto di 470 mila persone. [...]
(Adriana Bazzi, Corriere della Sera, 29 agosto 2019)
BOLSONARO DICHIARA GUERRA AL GENDER NELLE SCUOLE DEL BRASILE
Jair Bolsonaro fa sul serio e riporta al centro la libertà d'educazione in Brasile. È stato lo stesso presidente ad annunciare in un tweet di aver «ordinato al Ministero della Pubblica Istruzione, tenendo conto del principio di protezione globale dei minori, previsto dalla Costituzione, di preparare un progetto di legge che proibisce l'ideologia del genere nella scuola primaria». In questo modo, il presidente brasiliano ha ribadito la centralità del governo nazionale nella gestione delle politiche educative.
L'impegno di Bolsonaro per la libertà educativa nasce sulla scia di un sondaggio nazionale condotto nell'ottobre 2017, che certificava come nove brasiliani su dieci fossero contrari all'indottrinamento gender a scuola. Il ripristino della libertà educativa, del resto, è uno dei punti più espliciti nel programma di governo di Bolsonaro, il quale, lo scorso 1 gennaio, durante il suo discorso di insediamento, aveva promesso di liberare il Paese dalle «zavorre ideologiche» e di «combattere l'ideologia gender» e la «decostruzione della famiglia».
Per le sue nette prese di posizione, il presidente brasiliano è ormai da tempo sotto il tiro dei gruppi lgbt oltre che dei media mainstream, come Rede Globo, alla quale, secondo quanto riferisce Il Giornale, l'amministrazione Bolsonaro potrebbe presto tagliare i fondi pubblici.
L'opposizione di Bolsonaro all'ideologia gender non si limita al campo educativo. Lo scorso aprile, infatti, aveva affermato che «il Brasile non può essere un paese per il mondo gay» e, in particolare, «per il turismo gay». Già nel 2013, alcuni anni prima di essere eletto presidente, dichiarò che «nessun genitore è orgoglioso di avere un figlio gay» e che «ai brasiliani non piacciono gli omosessuali». Frasi che avevano contribuito a diffondere la nomea di «omofobo» e «razzista» per Bolsonaro.
Le politiche del presidente brasiliano sono la dimostrazione di come l'impalcatura ideologica dei sistemi educativi non sia affatto irreversibile. «Per molto tempo le nostre istituzioni educative sono state formate su ideologie dannose che rovesciano i nostri valori e da persone che odiano la nostra bandiera e lo stesso inno nazionale», aveva twittato poco dopo la sua elezione, invitando anche gli studenti a filmare e denunciare qualunque lezione scolastica avente come scopo l'«indottrinamento» e la «sessualizzazione» dei bambini.
(Luca Marcolivio, Provita e Famiglia, 9 settembre 2019)
SIENA E LA RETE READY
Siena fa parte della Rete Ready, network che collega diverse amministrazioni locali per supportare le rivendicazioni del mondo LGBT. A Siena fa parte di Ready anche l'Arcigay. Quest'ultima si è mostrata favorevole alla pratica dell'utero in affitto.
La lista civica Sena Civitas ha chiesto allora all'amministrazione comunale di uscire da Ready. Questa rete appare poi del tutto inutile. Infatti gli ultimi dati dell'Unar - Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - ci informano che nel 2017, su tutto il territorio nazionale, gli atti di denuncia di discriminazioni relative all'orientamento sessuale sono stati solo 324 (il 9% di tutti gli atti di discriminazione). E non tutte le denunce, c'è da ricordare, si rivelano poi fondate. [Per l'articolo completo clicca qui!]
(Gender Watch News, 8 settembre 2019)
DOSSIER "CAMBIO DI SESSO"
I danni irreversibili della transizione
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Titolo originale: Jessica: ragazza trans suicida per il cambio di sesso
Fonte: Osservatorio Gender, 13/07/2019
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