DEMOCRAZIA E FEDE RELIGIOSA
Ecco i motivi per cui in Cina finisci in prigione
di Bernardo Cervellera
Liu Xiaobo è uno degli intellettuali e dissidenti più brillanti della Cina di oggi. Il suo arresto è stato ora motivato con l’accusa di «sovversione contro lo Stato». In realtà Liu, 53 anni, non ha mai svolto alcuna attività violenta, essendosi concentrato a scrivere riflessioni e proposte sui diritti umani e la democrazia, pubblicandoli su riviste internazionali e siti Internet. Ma aprire gli occhi e la mente della gente è forse l’attività più sovversiva per un governo che pretende di aver dato il benessere ai cittadini, anche se toglie loro la libertà di pensare in modo autonomo. La cattura di Liu è segno di quanto la Cina non sia molto cambiata dai tempi del massacro di Tienanmen. Nell’ 89 Liu Xiaobo fu uno dei docenti che partecipò agli scioperi della fame decisi dagli studenti per spingere la leadership al dialogo. Fino all’ultimo, cercò di convincere i manifestanti ad abbandonare la piazza e l’esercito a non attaccare.
Ma fu testimone del fallimento della sua mediazione e del bagno di sangue che ne seguì. Per questo ha passato un paio d’anni in prigione. A due decenni da Tiananmen, Liu è di nuovo privato della libertà. Il suo 'sequestro', in dicembre, è avvenuto poco prima della pubblicazione di 'Carta 08', documento sottoscritto da 303 intellettuali, attivisti e gente comune, di cui Liu sembra essere l’estensore. Il testo è una delle analisi più acute sulla situazione della Cina contemporanea. I firmatari apprezzano i cambiamenti avvenuti negli ultimi 20 anni, con l’uscita del Paese dalla povertà e dal totalitarismo maoista, ma puntano il dito sulla «modernizzazione folle» e senza riforme politiche, che ha prodotto la «corruzione governativa, la mancanza di uno stato di diritto, deboli diritti umani, corruzione dell’etica pubblica, crasso capitalismo, crescente diseguaglianza fra ricchi e poveri, sfruttamento sfrenato dell’ambiente naturale, umano e storico, l’acuirsi di una lunga lista di conflitti sociali». I firmatari di 'Carta 08' chiedono al governo riforme perché temono che i conflitti sociali diventino sempre più violenti, mettendo in crisi anche lo sviluppo economico. Per tutta risposta – proprio come ai tempi di Tienanmen – il governo si prepara a condannare Liu, e ha messo agli arresti domiciliari decine di altri promotori, controllando e interrogando membri del Partito simpatizzanti del documento. Forse per la prima volta in un testo della dissidenza, in 'Carta 08' si cita la necessità della libertà religiosa come elemento importante per la società cinese. Si chiede perfino che sia eliminato il controllo statale sulle attività religiose e che non vi sia frattura fra attività ufficiali 'legali' e attività sotterranee 'illegali'. Ciò è dovuto al fatto che molti dissidenti, fra cui lo stesso Liu Xiaobo, da rivendicazioni basate solo sulla Dichiarazione dell’Onu, sono giunti alla conclusione che i diritti umani nascono da una concezione della dignità umana come valore assoluto, garantita soltanto da una visione religiosa, in cui la persona è considerata creatura di Dio e lo Stato servitore della dignità umana.
Tale collegamento fra democrazia e fede religiosa è quanto di più 'sovversivo' si possa immaginare a Pechino, ma è forse l’unica strada per evitare l’implosione del gigante cinese. L’occidente tanto interessato al commercio – e poco ai diritti umani e alla fede – dovrebbe pensare ad aprire con il Paese asiatico non solo dispute sul protezionismo, ma anche sulla libertà religiosa. Se non altro per difendere il futuro dei propri investimenti.
Fonte: 25 giugno 2009
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