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BastaBugie n.921 del 16 aprile 2025

COVID, PASSERELLA DI REGIME CHE SI AUTOCELEBRA E PREMIA BURIONI

Mattarella elargisce medaglie al merito, ma dimentica Giuseppe De Donno e le storie di Camilla Canepa (morta per il vaccino) e Fabio Milani (medico processato ingiustamente)

di Paolo Gulisano

 

Provate a pensare a un medico che offende pesantemente i colleghi, che deride i pazienti, che passa più tempo sui social che in corsia, ambulatorio o laboratorio. Un medico di tal genere dovrebbe essere severamente richiamato all'osservanza del codice deontologico, a un'etica fondata sul rispetto. Invece accade che tale medico riceva un importante riconoscimento pubblico da parte del Capo di uno Stato. Sembra inverosimile, mentre purtroppo è quello che accade in Italia.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha consegnato, al Quirinale, le medaglie al "Merito della salute pubblica" e ai "Benemeriti della salute pubblica" a una lista di personaggi, che viene aperta proprio da Roberto Burioni, il virologo del san Raffaele che attraverso i microfoni sempre generosamente offertigli da Fabio Fazio, divenne la prima virostar dell'epidemia, caratterizzandosi per uno stile aggressivo, irridente, arrogante, che doveva anche purtroppo fare scuola, risultando uno stile di comportamento che venne adottato da tanti medici e infermieri che si sentivano in diritto di insultare i pazienti e i colleghi con un pensiero diverso sulla narrazione pandemica cui veniva rifiutato ogni tipo di dialogo e di confronto.
Il divulgatore di Stato Burioni non è stato certo l'unico a ricevere l'onorificenza da Mattarella, ma certamente questa scelta ha un forte significato. E' il "metodo Burioni" che viene premiato, il metodo dell'offesa, del turpiloquio, della chiusura al dibattito scientifico.
Oltre al pesarese, sono stati una sessantina coloro che hanno ricevuto un riconoscimento, professionisti di vari ambiti della sanità, ma circa un terzo di essi hanno avuto a che fare col Covid, e non tanto per le cure, ma per il sostegno pubblico dato alla campagna vaccinale e alla divulgazione della narrazione ufficiale.
Un riconoscimento hanno ricevuto coloro che erano addetti alla "logistica" della gestione pandemica: la medaglia d'oro "al merito della sanità pubblica" è stata ad esempio conferita al professor Ciro Aprea, un ingegnere che è stato il responsabile del mantenimento della "catena del freddo dei vaccini" anti virus. Una "catena del freddo" che sembrava inizialmente una delle principali caratteristiche dei salvifici supersieri, anche se ben presto i vaccini vennero fatti anche sulle spiagge assolate.
E dal momento che nella narrazione di Stato la pandemia era vista come una guerra (prove tecniche di militarizzazione del pensiero), non potevano mancare i riconoscimenti ai portatori di divisa. Al generale Francesco Figliuolo è stata riconosciuta la medaglia d'oro "ai benemeriti della salute pubblica" per come ha lavorato "al fine di fronteggiare la complessa fase emergenziale dovuta alla pandemia, nonché per aver portato l'Italia ai primi posti a livello mondiale per la risposta vaccinale all'emergenza pandemica". Così il generale si è ritrovato una nuova mostrina da aggiungere alla collezione, sempre ostentata sui media, da far invidia al Maresciallo Montgomery.
Stesso riconoscimento al generale di divisone Girolamo Petrachi e al maggiore generale Tommaso Petroni, che facevano parte della Struttura commissariale per l'emergenza pandemica. Il maggiore generale Michele Tirico ha avuto lo stesso riconoscimento per aver diretto la task force militare che ha dato manforte ai colleghi del servizio sanitario nazionale "impegnati nelle aree più duramente colpite dalla pandemia".
Queste scelte, e relative motivazioni, fatte da Mattarella, sembrano una volta di più ribadire agli occhi dell'opinione pubblica che il Covid era un nemico contro il quale si è combattuto e vinto, anche se con danni collaterali non trascurabili, grazie ad un'arma formidabile, il vaccino. Con tanto di medaglie finali agli "eroici" combattenti.
Questa è la versione ufficiale che deve passare alla storia, ma è una versione falsa, e non potrà esserci in futuro una autentica e auspicabile riconciliazione nazionale, e doverosa soprattutto verso le vittime e i familiari dei morti e danneggiati a causa  dei vari protocolli e delle scelte strategiche operate, se non emergerà tutta la verità.
La commissione di inchiesta non dovrà farsi condizionare dalla passerella svolta al Quirinale, e anche i medagliati dovranno rispondere del loro operato.  Infine, c'è un mancato riconoscimento alla memoria che dà molta amarezza e tristezza: quello al professor De Donno, eroe autentico e dimenticato.

Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Il vaccino ha ucciso, ma nessuno ha "sparato": tutti assolti" parla racconta la storia di Camilla Canepa, morta per il vaccino, come ha riconosciuto il processo, ma incredibilmente lo stesso processo si è concluso con l'assoluzione perché i medici "non sono responsabili". Nessun colpevole, nemmeno il governo, gli enti di controllo e le case farmaceutiche. E vissero tutti felici e contenti, tranne chi è morto e i suoi familiari.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 aprile 2025:

Non c'era da illudersi che il processo per la morte di Camilla Canepa avvenuta il 10 giugno 2021 a seguito della vaccinazione anti covid con Astrazeneca, potesse scrivere una nuova pagina di giustizia applicata al dramma dei danneggiati da vaccino. Col proscioglimento da parte del Gip di Genova, perché «il fatto non sussiste», i cinque medici che erano stati indagati vengono assolti, ma non perché non sia stato il vaccino ad uccidere la giovane 18enne inoculatasi nel corso di un open day nella sua città, Sestri Levante, il 25 maggio. Semplicemente non è da imputare a quei medici, che si trovarono ad affrontare le conseguenze della Vitt (la trombocitopenia da vaccino) la morte della giovane. Che è da imputare unicamente al vaccino.
Lo si comprenderà meglio con le motivazioni della sentenza che usciranno tra 90 giorni, ma è praticamente certo che il giudice confermerà che ad uccidere la giovane sia stato il vaccino, come del resto la stessa Procura di Genova aveva appurato, ma non è colpa dei medici che l'hanno poi curata, se non è stata riconosciuta in tempo la Vitt. «All'epoca non si sapeva», si dirà facilmente.
Che è un altro modo per dire che anche questa volta non è colpa di nessuno. E fa pensare che neppure su questo caso, che pure è stato il più eclatante e mediatizzato, non sia stato concesso dal giudice alcuno spazio di dibattito nell'aula di giustizia.
I medici hanno avuto gioco facile, effettivamente, nel difendersi dicendo che all'epoca non c'era nessun protocollo di intervento per una conseguenza simile dopo la vaccinazione. E questo nonostante già dal 9 aprile precedente fosse nota, perché pubblicata sul prestigioso New England Journal of Medicine, la conseguenza post vaccino della trombocitopenia.
La Vitt, infatti, era stata scoperta solo pochi mesi prima dall'equipe del professor Andreas Greinacher dell'Università tedesca di Grefswald con uno studio pubblicato il 9 aprile 2021 sul The New England journal of medicine: lo studio dimostrò che la vaccinazione con i vaccini a vettore virale come quello della casa di Oxford poteva provocare rari casi di trombocitopenia trombotica.
Ma quasi nessuno ne parlò. Della conferenza stampa del professor Greinacher si parlò a mala pena anche in Italia (uno dei pochi giornali che vi partecipò fu il Fatto Quotidiano) mentre l'approccio degli altri giornali fu di sostanziale rassicurazione. «Il 22 aprile, ad esempio - così scrivevamo nel 2024 -, il Corriere Salute fece un servizio molto documentato per parlare delle trombosi, ma sempre con il noto approccio "da pompiere" che caratterizzava la produzione giornalistica dell'epoca. Si dava conto della ricerca di Greiswald con dovizia di particolari, ma con il controbilanciamento di posizioni come quella del professor Giuseppe Remuzzi volte a rassicurare: studiare e capire, ma le probabilità sono basse, la campagna vaccinale non deve fermarsi».
Con queste premesse, a cui si aggiunge la totale assenza di circolari ministeriali o di Asl su quello che la scienza stava scoprendo, è stato inevitabile che i medici non siano stati riconosciuti colpevoli, del resto l'approccio dei medici a seguito delle reazioni avverse gravi da vaccino è sempre stato di sostanziale disinteresse e ostilità: quanti danneggiati hanno raccontato di accessi al pronto soccorso a vuoto, con il ritorno a casa solo con prescrizioni di ansiolitici?
A parlare di quegli studi, che evidenziavano criticità, erano pochi e coraggiosi medici e giornalisti, però tenuti confinati nella ridotta ignominiosa del complottismo no vax, mai considerati dai media e dalle istituzioni. Inutile stupirsi adesso che nessuno sapesse, perché è proprio così: nessuno sapeva, ma tutti erano immersi nel rumore di fondo di una narrazione che doveva dire che andava tutto bene e che il vaccino non creava nessun tipo di problema. Chi oggi prova a negarlo mente ed è moralmente responsabile di queste morti, perché anche il silenzio uccide.  
Ecco perché la tragica vicenda processuale di Camilla, non poteva che avere questo esito più che scontato, che certifica che il vaccino ha ucciso, ma pazienza: nessuno dovrà pagare perché nessuno è responsabile.
Del resto, la vicenda Canepa si è conclusa esattamente come la vicenda di Stefano Paternò, il militare di Marina che morì a seguito dello stesso vaccino: il Tribunale di Catania mise nero su bianco in sentenza che la sua morte fu da ricondurre ad una sindrome da distress respiratorio acuto a seguito del vaccino anti covid, ma nessuno per quella morte ha pagato e il caso è stato archiviato.
Quella di considerare la morte causa vaccino, ma senza responsabili diretti, infatti, è stata sempre una costante della giurisprudenza italiana, costruita sapientemente con le procedure suggerite dal Massimario della Cassazione, che hanno scoraggiato tutti i giudici dal prendere decisioni coraggiose: ad oggi, infatti, nessun medico vaccinatore ha pagato per una reazione avversa da vaccino causata ad esempio da un'anamnesi insufficiente o errata per il semplice motivo che le anamnesi dei fattori di rischio pre-vaccinazione erano sconosciute e ritenute inutili. Per il semplice motivo che stare a considerare tutti i possibili rischi connessi all'inoculo a seconda dei fattori di rischio di ognuno, avrebbe reso vana la mastodontica campagna vaccinale coatta di massa portata avanti da un apparato militare, che proprio in settimana, è stato premiato da Mattarella con la medaglia d'oro.
Come abbiamo scritto nel libro Vaccinocrazia a proposito del caso Paternò, «tutto questo non è stato sufficiente per arrivare alla condanna di un responsabile. E questo era ampiamente previsto. Non lo poteva essere la casa produttrice, che ha potuto dimostrare di aver ottenuto una salvaguardia, da contratto, sulla quale lo Stato si è assunto ogni tipo di responsabilità e non lo possono essere i sanitari vaccinatori perché blindati da uno scudo penale che rappresenta una cornice invalicabile per la ricerca della responsabilità. Quindi non può averla nemmeno lo Stato che scaricando la responsabilità sui poveri cittadini, di fatto ha lasciato a loro l'onere della prova, la vita sul campo e il peso di doverlo dimostrare. Ne consegue che i danneggiati da vaccino – e Camilla era tra questi ndr – firmando la liberatoria all'inoculo estorta attraverso la perversa minaccia della perdita del lavoro e la vita sociale, è stata di fatto la loro condanna a morte (Vaccinocrazia, Cap X "Cercando giustizia", p. 108)».
E non potevano esserlo nemmeno i vertici istituzionali, come ad esempio i sindaci e i governatori che organizzavano giulivi le trappole degli open day o come l'allora ministro della Salute Roberto Speranza, vista e considerata la velocità con cui il Tribunale dei ministri ha archiviato la denuncia sul suo conto presentata dal Comitato Ascoltami che riunisce i danneggiati. D'altra parte, come dissero i giudici archiviando la sua posizione, Speranza di fatto eseguiva soltanto gli ordini di Ema, in uno scaricabarile di Stato indegno di un paese civile come dovrebbe essere il nostro.
E non poteva esserlo neppure l'Aifa, il cui direttore generale Nicola Magrini è ancora formalmente indagato per la stessa vicenda dalla procura di Roma, ma il fascicolo giace stranamente da più di un anno e mezzo sulla scrivania del procuratore capo.
Così come non potevano esserlo Ema e le istituzioni europee, perché in fondo, se nemmeno la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen non ha avuto particolari conseguenze negative dalla vicenda dei contratti siglati via sms con Big Pharma, è impossibile andare a individuare un colpevole.
Tutti assolti, dunque, i medici, le istituzioni, gli organi di controllo e farmacovigilanza, le case produttrici dei vaccini. Ecco servito il primo caso in cui la Giustizia italiana individua le cause della morte, ma rinuncia a scoprire chi l'ha favorita. Tutti assolti, anche se l'assassino è chiaramente indicato nella stanza: è il vaccino, che in questa vicenda assume sempre più le fattezze di una pistola. Solo che, a differenza dei romanzi gialli, nessun giudice ha avuto il coraggio di voler scoprire chi ha premuto il grilletto.

CURÒ IL COVID, ASSOLTO DOPO LA DELAZIONE DEL COLLEGA
Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Curò il Covid, assolto dopo la delazione del collega" racconta l'assurda storia di Fabio Milani, medico bolognese che curò una famiglia con polmonite da Covid abbandonata dal curante a Tachipirina e vigile attesa: segnalato dal collega all'Ordine per non essersi vaccinato ha subito un processo per esercizio abusivo della professione. Oggi è stato assolto e alla Bussola dice: «Cinque anni durissimi».
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 marzo 2025:

Ha subito un processo per esercizio abusivo della professione medica perché un collega delatore lo aveva segnalato all'Ordine in quanto non vaccinato. Ora, dopo tre anni, il dottor Fabio Milani può finalmente cantare vittoria. Il 20 gennaio scorso il giudice della seconda sezione penale di Bologna Stefano Levoni lo ha assolto dall'accusa di esercizio abusivo della professione medica (articolo 348 cp) ristabilendo così la sua onorabilità professionale, che in tempo di Covid sopperiva alle assenze degli altri colleghi medici.
Come quella del collega di Bologna, che lo fece denunciare per esercizio abusivo della professione mentre Milani stava visitando proprio i pazienti che quello non voleva andare a curare.
«Una vicenda drammatica ed emblematica della situazione, che molti medici hanno vissuto», commenta oggi il suo legale alla Bussola, l'avvocato Riccardo Luzi di Cesena che lo ha seguito in questa vicenda kafkiana. E paradigmatica, perché in un colpo solo condensa tutte le storture subite in pandemia: l'abbandono terapeutico a base di Tachipirina & vigile attesa, la sospensione dei medici non vaccinati e la delazione dei colleghi.
Una storia che merita di essere raccontata fin dall'inizio.
Il dottor Fabio Milani è uno stimato medico del bolognese che durante il Covid ha curato non solo i suoi pazienti, ma anche quelli degli altri medici che si rifiutavano di andare a casa a visitarli, forti della raccomandazione Tachipirina & vigile attesa delle circolari ministeriali, che oggi si cerca di nascondere o negare.
Con l'introduzione del Dl 44/2021, Milani decide di non sottoporsi alla vaccinazione e per questo nel luglio 2021 riceve una segnalazione dalla sua Asl che lo sospende da tutte quelle attività inerenti il rischio di diffusione del Sars-Cov 2. Una definizione piuttosto generica e non vincolante sulla quale torneremo nell'analisi del suo caso in tribunale.
Il 16 dicembre di quello stesso anno, Milani viene contattato da una donna di Bologna che sta male. Anche il marito e la figlia hanno gli stessi sintomi da Covid e necessitano di un medico. Il loro curante, però, per ben due volte si rifiuta di andare a casa a visitarli.
«Io a casa loro non ci metterò mai piede», avrebbe detto il medico di medicina generale secondo il verbale di accertamento dei Nas, mentre il dispositivo del giudice così recita: «Per tale ragione aveva contattato il proprio medico curante, il quale le aveva detto di prendere della Tachipirina e di vedere l'evolversi della malattia, nonostante gli fosse stata rappresentata la gravità della condizione clinica della stessa e del marito».
A quel punto entra in campo Milani, contattato grazie ai suggerimenti di alcuni conoscenti tramite il passaparola. Ricordate? In quei giorni si cercavano disperatamente medici disponibili a curare mentre i titolari di quei pazienti si facevano di nebbia e su questa vergogna sanitaria non si indagherà mai abbastanza da parte della Commissione bicamerale Covid.
Milani si reca a casa della famiglia riscontrando in tutti i tre componenti una polmonite in atto. Prescrive farmaci, tra cui il Rocefin (un antibiotico) e il Medrol (un cortisonico). È il 16 dicembre, padre, madre e figlia ringraziano e iniziano le cure. Dopo qualche giorno, terminata la prima scatola di antibiotici, la donna richiama il medico di medicina generale, lo aggiorna sulle loro condizioni e gli chiede una nuova ricetta per quei farmaci necessari per proseguire le cure.
Ma a quel punto accade l'inverosimile: il curante, saputo della visita di Milani a casa dei suoi assistiti indaga su di lui e scopre che il medico è destinatario di una segnalazione dell'Asl che lo sospende (anche se tecnicamente è un termine improprio) dalle attività di cura. In realtà, Milani non era stato ancora sospeso dall'Ordine dei medici di appartenenza, pertanto, non aveva alcuna limitazione prescrittiva e di cura. Ma il collega pensa di segnalarlo comunque all'Ordine.
Parte così il procedimento penale per esercizio abusivo della professione medica, che vedrà Milani imputato per diversi anni in un processo che non sarebbe dovuto nemmeno iniziare: «Anzi, invece di indagare quel medico per omissione di soccorso e omissione d'atti d'ufficio, sono venuti da me che sono stato l'unico che ha curato quelle persone», ha detto Milani alla Bussola aggiungendo che durante le udienze, anche la famiglia curata da lui, si è precipitata in tribunale per testimoniare a suo favore.
Una volta iniziato il processo, anche il Pm si convince dell'estraneità dei fatti di Milani e aderendo alla memoria del legale ne chiede l'assoluzione, che arriva il 20 gennaio scorso: «P.Q.M - così recitano le formule - assolve Milani Fabio dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste», come si può leggere nel dispositivo reso noto in questi giorni.
«In punta di diritto, la mossa vincente - spiega l'avvocato Luzi - è stato aver eccepito che il 16 dicembre 2021, il mio assistito non era affatto sospeso dall'esercizio della professione medica. Fino al 31 dicembre 2021, infatti, per l'applicazione della legge 44/2021 (quella che regolamentava l'obbligo vaccinale dei sanitari ndr.) era in vigore un regime di sospensione comminato dalle Asl, ma che non inibiva l'esercizio della professione. Successivamente, col Dl 172/2022 si è dato un giro di vite, chiamando in causa direttamente gli ordini professionali anche per altre professioni. Quindi Milani a quella data non era sospeso, cosa che invece accadde solo successivamente».
Il giudice gli ha dato ragione. E oggi il dottore può tirare un sospiro di sollievo: «Ha fatto bene il suo lavoro e invece di sentirsi dire "grazie" si è trovato in questa situazione drammatica», ha concluso Luzi. Mentre Milani così ha aggiunto: «È stato pesante, sono stati cinque anni di lotta, ma rifarei tutto perché ho testimoniato che il nostro dovere di medici è quello di curare, cosa che durante la pandemia purtroppo non è sempre avvenuta».

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Titolo originale: Covid, passerella di regime che si autocelebra e premia Burioni

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 9 aprile 2025

Pubblicato su BASTABUGIE n.921
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