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« Torna agli articoli di Francesco Ognibene

Siamo tutti d’accordo: ci vuole un bel coraggio per essere anticonformisti, ma attenzione alle apparenze. Quest’affermazione oggi vive infatti un singolare rovesciamento concettuale, del quale è bene prendere coscienza. Il conformismo che si va stendendo come una glassa dolciastra sulla cultura diffusa non è certamente costituito da verità inossidabili – semmai dipinte come zavorra di un passato 'ideologico' – ma sembra piuttosto una miscela di opinioni impalpabili e fluttuanti fatte passare ormai come unica moneta spendibile nel confronto pubblico.
Il pulviscolo delle idee tutte equivalenti, nessuna delle quali può permettersi una qualsiasi pretesa di verità, oscura la vista come una nebbia e consiglia sottilmente di attestarsi attorno a un pensiero minimo, magari banale e ovvio ma difficilmente soggetto a smentite plateali, su cui si può star certi che non si avranno noie. Tutti d’accordo su una ragionevolezza apparente, e guai a chi stona. Eccola, allora, la vera impresa per intelletti coraggiosi: risalire la torrenziale cascata dei luoghi comuni, che erode ogni punto fermo ed esalta l’uniformità del pensiero medio. Sfidare la caduta libera dell’intelligenza, per mettere in sicurezza l’umano.
Al noioso conformismo dei nostri tempi, più paralizzante delle sabbie mobili, deve aver pensato Benedetto XVI quando domenica sera, nell’omelia con la quale ha chiuso l’Anno Paolino, ha tratteggiato con parole memorabili la figura del cristiano animato da una «fede adulta»: definizione logora e stanca, che il Papa ha bonificato una volta per tutte del suo retrogusto contestativo restituendola alla lettura vigorosamente evangelica impressa da san Paolo in persona quando – scrivendo agli Efesini – mise in guardia dal restare come «fanciulli in balia delle onde, trasportati di qua e di là da qualsiasi vento di dottrina». Niente di più attuale. Lo «slogan diffuso» – sono parole del Papa – dipinge oggi come «matura» la fede del cattolico che «non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi pastori ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere», e che ha il «'coraggio' di esprimersi contro il magistero della Chiesa». Bel coraggio davvero, questa «fede 'fai da te'»: uno zapping religioso e morale che odora di consumismo adolescenziale più che di 'maturità' cosciente di sé. Con sottile ironia, Benedetto annota che a contestare la Chiesa «in realtà non ci vuole del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso». Battuta impagabile, che da sola fa giustizia delle sfibranti ovvietà di chi alla vigilia dell’enciclica sociale dà per rottamata la 'questione antropologica': come se un pronunciamento pensionasse tutti gli altri. Il Papa rimette al suo posto ciò che fa 'grande' un credente enumerando che «fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento» e «riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore». Lo spieghiamo anche ai nostri figli: adulto è – o diventa tale – chi sa dire qualche no che gli costa, chi «non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente», chi «s’oppone ai venti della moda». Questi tratti inconfondibili di una personalità formata – e nessun pedagogista oserebbe smentirlo – sono gli stessi che nelle parole papali svelano una fede matura, consapevole che «questi venti – come ci ricorda ancora Benedetto – non sono il soffio dello Spirito Santo» ma altre brezze che spingono su una rotta diversa da quella di Cristo. Che occorra ardimento nel percorrerla tra gli applausi generali è davvero comico sostenerlo, eppure – fateci caso – è quello che ogni giorno ci viene ripetuto.
Per fortuna, di anticonformisti veri almeno uno siamo sicuri di averlo incontrato. Ed è là, al timone che fu di Pietro.
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