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« Torna agli articoli di Giorgio Israel

Parliamo di muri nel mondo, con qualche dato cortesemente fornito dalla cortesia di Valérie Amram D’Onofrio. Non è superfluo dire che si tratta di dati incompleti. Cominciamo con il Marocco, attorno alla cui regione sahariana si estende per 2.720 chilometri una grande muraglia detta anche “cintura di sicurezza”. La sua funzione è quella di proteggere il paese dai tentativi di infiltrazione del Fronte Polisario. L’Arabia Saudita ha provveduto a sua volta: un muro la separa dallo Yemen, è di cemento armato ed è munito di sofisticati apparati di controllo elettronico, un’altra barriera ultramoderna lunga 900 chilometri è in costruzione sulla frontiera con l’Iraq. Un altro muro è in costruzione tra Oman e Emirati Arabi Uniti. Passando all’Asia si trovano muri spettacolari. L’India rivendica territori attualmente occupati dalla Cina o ceduti alla Cina dal Pakistan, il quale a sua volta rivendica territori occupati dall’India: i due paesi in perenne conflitto sono divisi da un muro di 3.300 chilometri. A sua volta, il Pakistan sta costruendo una barriera di 2.400 km per controllare la frontiera con l’Afghanistan. Anche i punti caldi della frontiera thailandese con la Malaysia sono separati da muri. Restando all’Asia è quasi superfluo ricordare che la Corea del Sud e la Corea del Nord sono divise da un muro. E potremmo continuare con la barriera edificata dall’Uzbekistan per separarsi dal Tagikistan.
Anche in Africa le barriere non mancano: per esempio, il Botswana ha costruito una barriera elettrificata per impedire l’ingresso di coloro che sfuggono ai massacri etnici nello Zimbabwe. Da tempo esiste una barriera edificata dalla Turchia per separare la parte turca di Cipro da quella greca. Se passiamo all’Occidente spicca la barriera elettrificata che la Spagna ha eretto a Ceuta e Melilla per impedire (anche a fucilate) l’ingresso degli immigrati marocchini o subsahariani. Non vanno poi dimenticati i muri che dividono protestanti e cattolici in Irlanda. E che dire del muro che divide gli Stati Uniti dal Messico per prevenire l’immigrazione clandestina?
Però nel mondo si parla con orrore e sdegno soltanto di un muro: quello che ha costruito lo Stato d’Israele per impedire agli attentatori suicidi di entrare nel suo territorio e compiere stragi tra i civili. Questo muro ha fatto precipitare il numero delle vittime del 98,5 per cento. Ma di questo non importa un accidente a nessuno. Tutti lo condannano come il “Muro della vergogna”. È l’emblema del razzismo, dell’apartheid, il simbolo dell’oppressione dei palestinesi, la macchia indelebile sulla democrazia israeliana.
Quale distorsione mentale può condurre a considerare normale che si costruiscano barriere elettrificate e muri per impedire l’immigrazione clandestina e considerare criminale la costruzione di un muro per difendere dei civili dal terrorismo? La risposta è: il razzismo antisemita. Perché solo chi nutre un simile sentimento può infischiarsi di un morto ebreo e versare lacrime sui disagi dei palestinesi ai checkpoint. E far finta di non sentire che solo pochi giorni fa alla televisione palestinese un rappresentante di Fatah ha dichiarato: «Non stiamo negoziando la pace, la pace non è stata mai un nostro obiettivo, tutte le forme di lotta armata sono sul tavolo, nessuna esclusa». Un estremista isolato? L’autorevole “moderato” Mohammed Dahlan ha ribadito: «Lo dirò per la millesima volta, a nome di Fatah: non chiediamo a Hamas di riconoscere Israele, anzi chiediamo che non lo faccia perché noi non lo faremo». Però il muro di Israele è l’unico che deve essere abbattuto.
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