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« Torna agli articoli di Lorenza Formico
Domenica gli svizzeri hanno votato a maggioranza ristretta a favore del divieto di nascondere il volto. Un segnale forte contro l'islam e l'islamizzazione d'Europa, per chi lo ha proposto; iniziativa xenofoba e sessista per gli altri.
Votando contro l'uso del velo integrale nella sfera pubblica, la Svizzera si unisce a Francia, Austria, Bulgaria, Belgio e Danimarca, dopo anni di dibattiti. Le Courrier si domanda se la Svizzera abbia "paura del burqa o dell'islam", Liberation sul confine della xenofobia e islamofobia.
Il testo, proposto dal partito di destra Udc, ha ottenuto il 51,21% dei voti e la maggioranza dei cantoni, come raccontano i risultati ufficiali pubblicati dal governo federale. Il referendum non faceva riferimento a burqa o niqab esplicitamente, motivo per cui da oggi in Svizzera sarà vietato coprirsi integralmente il viso in pubblico in qualsiasi occasione. Il che vale anche per i manifestanti incappucciati, ma sono previste eccezioni per i luoghi di culto. Dalle urne elvetiche sono usciti, domenica 7 marzo 2021, così, contemporaneamente un ‘sì' all'iniziativa popolare per il divieto di velarsi e un ‘no' alla legge sull'identità elettronica, che prevedeva un sistema misto, pubblico-privato, per la gestione dell'identità digitale per gli acquisti online.
SCONFITTE IPOCRISIA E RETORICA
Per entrambi i quesiti identitari, il Comitato di Egerkingen, animato dall'Udc, destra moderata e primo partito svizzero, ottiene una vittoria. Il quesito sull'identità digitale era stato promosso da ecologisti e socialisti. E in questo caso la vittoria del fronte referendario è andata addirittura al di là dei sondaggi, oltrepassando ampiamente il 60% dei no. In 18 Cantoni su 23 hanno sostenuto, e quindi approvato, l'iniziativa referendaria. In testa il Giura (60,7% di sì), seguito dal Ticino e da Svitto. Interessanti i risultati del Vallese (58,3% di sì) e di Friburgo (55,9% di sì). "Significativo che i cinque cantoni citati siano rispettivamente francofono, italofono, tedescofono e gli ultimi due bilingui francese-tedesco", scrive Giuseppe Rusconi sul sito Rossoporpora.org.
Alla vigilia della festa della donna, la Svizzera mette così di fatto al bando il burqa nei luoghi pubblici. E stende un velo su ipocrisia e retorica. Anche se già quando si annunciò il referendum si parlava di "razzismo". Oggi la querelle è solo più esasperata. In Italia, nel 2009, fu Souad Sbai a proporre l'abolizione del velo islamico con una proposta di legge presentata in Parlamento. Inutile scrivere che quella legge non vide mai la luce. Nel commentare il risultato del referendum la Sbai dichiara, "È una bellissima notizia. La mia proposta di legge del 2009 fu fermata da una richiesta mandata all'allora Presidente della Repubblica, Ciampi. Tra i firmatari di questa petizione c'erano alcuni personaggi che, a distanza di qualche anno, si recarono in Siria per combattere con l'Isis. In ogni caso, è un bell' 8 marzo. Spero che l'Occidente apra gli occhi su questo, perché non è vero che danneggia la libertà della donna. Sì, qualcuna non uscirà di casa, ma tante avranno la libertà e non saranno sottomesse, come forse vorrebbero alcune donne di sinistra. Oggi saranno arrabbiati radicali e estremisti che vedono la donna come loro proprietà". E aggiunge, "forse questa legge darà fastidio anche agli esponenti di una certa sinistra. A questo punto, speriamo che in tanti prendano esempio e abbiano il coraggio di dire ‘no' all'estremismo islamista che avanza, e rallentarne il processo. Questa legge - conclude Souad Sbai - è più che altro rivolta alla sicurezza. Quante persone possono nascondersi dietro a quel burqa e niqab e passare inosservate, magari per compiere un atto terroristico?".
IL VELO RAPPRESENTA LA CHIUSURA CONTRO LA CULTURA EUROPEA
Certamente il tema della sicurezza è al centro delle istanze che hanno spinto anche gli altri Paesi europei a muoversi nella stessa direzione. Ma la verità è che il dibattito ossessionato dal razzismo denuncia un'ignoranza di fondo sul velo e sul suo significato per giornalisti, analisti e politici. È piuttosto insignificante l'idea per cui, presi singolarmente gli elementi dell'islam, possano risultare innocui. Compongono l'ampiezza del sistema politico che è l'islam.
Lo hijab, il burqa e il niqab non hanno mai rappresentato un dogma della religione islamica, e non sono un simbolo religioso. Il primo ad utilizzare la parola "velo" fu il giurista Ibn Taymiyya nel XIV Secolo. E lo fece prendendo spunto dal versetto 31 della sura 24 del Corano. Dal velarsi al velo. Da azione ad oggetto, fu questo il passaggio. Nasce per creare un confine che separi, che respinga gli sguardi. Nel mondo islamico, infatti, è ovunque sottolineato come la donna non debba guardare e soprattutto non debba farsi guardare. Per l'islam la femminilità è associata alla concupiscenza e il sesso femminile è associato al disordine. Il velo è allora lo strumento per conseguire l'obiettivo della purezza.
Ma non solo. Nel mutamento linguistico s'inserisce anche quello di carattere sociale. Il credente si trova costretto a scontrarsi con l'essere musulmani in una società a maggioranza non musulmana, l'Occidente. E allora il velo rappresenta la chiusura contro la cultura europea. Nega la libertà come fattore di "occidentalizzazione", e inventa regole giuridiche per tenere sotto controllo la propria gente e l'islam stesso.
Oggi più che mai il velo non è un look islamico, ma la differenza che corre tra un donna di Allah e tutte le altre donne. È, quello sì, razzismo puro.
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