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« Torna agli articoli di Ludovico Biglia
Dopo il caso dei soldi pubblici diretti a finanziare le orge gay denunciato dalle "Iene" lo scorso febbraio, che hanno portato alle dimissioni il suo direttore Francesco Spano, l'Ufficio Nazionale anti-discriminazioni razziali del Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio si trova nuovamente al centro di un'inchiesta giornalistica che fa luce sull'incredibile spreco di denaro pubblico che si perpetra all'interno di tale inutile ente a carico dei contribuenti italiani.
Dalle colonne del Il Fatto Quotidiano, Thomas Mackinson scrive infatti come: "Il numero verde contro le discriminazioni costa oltre 800 euro a chiamata. E poco importa se qualcuno ha sbagliato a digitarlo o se lo Stato già svolge lo stesso servizio. Possibile? Sì, perché in Italia discriminare sarebbe vietato e sprecare pure, ma spesso succedono entrambe le cose. Lo certifica il servizio di Contact Center istituito due anni fa dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità in seno alla Presidenza del Consiglio, proprio quello del direttore pizzicato dalle Iene a finanziare locali per prostituti che s'è poi dimesso".
COSTI ALTISSIMI
Il costo giornaliero di tale centralino è stato desunto da Mackinson dopo aver appreso i costi del servizio consultando il bando pubblicato in questi giorni per la gestione dei prossimi due anni del centralino antidiscriminazioni: "Il numero verde 800901010 è decollato nel 2015 a suon di spot governativi con la missione di raccogliere segnalazioni di potenziali vittime o testimoni di comportamenti discriminatori fondati su razza, orientamento sessuale e diritti Lgbt, disabilità, religione ed età. Attività benemerita in un Paese dove un vicepresidente del Senato paragona un ministro a un orango e gli episodi di intolleranza, bullismo e sessismo sono all'ordine del giorno. Benemerita, ma sorprendentemente costosa. Proprio in questi giorni è stato pubblicato il bando per la prossima gestione biennale del centralino che comprende ricezione, compilazione scheda, report finale e monitoraggio attività. Costo: 1,9 milioni di euro più Iva. (...)"
Mackinson fa poi notare i numeri irrisori registrati dal Contact Center dell'Unar nel 2015:
"Si legge, ad esempio, che nel 2015 il Contact Center dell'Unar ha gestito 2.235 chiamate delle quali 1.814 considerate poi "pertinenti", 421 no ed erano errori di chiamata o magari richieste di prenotazione di viaggi o di lettura della bolletta. In ogni caso chiamate "non pertinenti". Per un paese ad alto tasso d'insulti e intolleranza è un numero relativamente basso, segno che il "servizio" - forse - nel suo primo anno di vita e nonostante gli spot non ha ancora raggiunto l'auspicata diffusione e conoscenza tra la popolazione italiana. (...) Nel 2016 le segnalazioni sono state 2.939 e 290 sono state giudicate dalla stessa Unar "non pertinenti". Quelle effettivamente legate a episodi di discriminazione sono state grosso modo 2.600, il 64% relative a discriminazioni etnico-razziali, il 16,4% contro i disabili, l'8,5% di genere e quelle per età il 4,7.
UNO SPRECO INUTILE
Numeri in aumento ma pur sempre bassi e soprattutto "cari" in rapporto ai costi del servizio: una chiamata ricevuta nel 2016 è costata 788,70 euro, 891,5 se si contano solo quelle "pertinenti". Roba che il chiamante accorto potrebbe farsi lo scrupolo tra la tutela dalla discriminazione subita e dal costo che la denuncia ha genera per la collettività".
A fare lievitare i costi sono i servizi di hosting/manutenzione e soprattutto il nutrito e variegato gruppo di lavoro composto da ben 12 persone tra cui il coordinatore, 5 operatori esperti, rigorosamente uno per ciascuna categoria discriminata e cioè etnico-razziale, 1 rom Sinti e Caminanti, 1 Lgbt, uno per età e disabilità, 4 mediatori culturali, un esperto statistico e un informatico, due giuristi e, dulcis in fundo, un addetto stampa.
Per di più il servizio non è attivo 24 ore come verrebbe da pensare ma come precisa il capitolato tecnico: "il centralino multilingue gratuito (per chi chiama) "è attivo quotidianamente dalle 11 alle 14 con la presenza di un operatore" e, per la restante parte della giornata, dalle 8 alle 11 e dalle 14 alle 20, attraverso la segreteria telefonica".
Infine, il giornalista de "Il Fatto Quotidiano" fa notare come il servizio dell'Unar oltre ad essere un inutile e dispendioso servizio a carico dei contribuenti italiani è anche una fotocopia di un analogo servizio attivo dal 2010 presso il Ministero dell'Interno
"Si chiama Oscad che sta per Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori ed è un organismo interforze incardinato nella Direzione centrale della polizia criminale.
Il prefetto Antonino Cufalo che lo presiede fa sapere che dalla sua istituzione al 30 aprile 2017 sono pervenute 1.936 segnalazioni riferibili alle diverse tipologie di discriminazione, di cui 945 per reati veri e propri. I numeri sono bassi anche perché i canali per la segnalazione si limitano a mail e fax. (...) Di fatto il centralino Unar ne è una duplicazione imbellettata e aggiornata".
Ci auguriamo che questo nuovo scandalo sia la volta buona per chiudere, una volta per tutte, un ente inutile e oneroso per le casse pubbliche, voluto ed imposto dalle lobby gay per promuovere la "normalizzazione" dell'omosessualità e di ogni tendenza sessuale.
Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal gaio mondo gay (sempre meno gaio).
TRUMP: NIENTE TRANS NELL'ESERCITO
Sui "princìpi non negoziabili" il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump tiene egregiamente e a chi i "principi non negoziabili" stanno a cuore ciò basta al di là di quel che Trump è su altre questioni.
Lo ha scritto a chiare lettere Mark Bauerlein sull'autorevole mensile cattolico First Things in un articolo encomiabile che, fra coloro che negli Stati Uniti hanno a cuore i "princìpi non negoziabili", interpreta lucidamente il pensiero dei cattolici, riecheggiando le parole forti pronunciate da Trump a Varsavia il 6 luglio: «Noi vogliamo Dio». Ma il tallone di Achille di Trump è sempre stato il gender un po' per non spiacere alla figlia Ivanka, un po' per non deludere certi facoltosi suoi consiglieri. Trump però è fatto apposta per spaiare le carte e così anche sul fronte LGBT ha deciso di fare di testa propria sabotando uno dei fori all'occhiello dell'Amministrazione che lo ha preceduto. Nel 2016, infatti, l'allora ministro della Difesa, Ashton B. Carter, aveva abbattuto uno degli argini che ancora tenevano nella società americana, mettendo fine al divieto che impediva alle persone transgender di prestare servizio nelle forze armate degli Stati Uniti. Un disastro, ovviamente, per ragione morali; ma anche semplicemente sul piano della praticità e del buon senso la decisione fu una enormità. Basta solo immaginarsi cosa significherebbe avere un esercito con camerate promiscue senza più la possibilità d'intervenire, un'aviazione con omaccioni che al mattino s'infilano a forza dentro l'uniforme di un'ausiliaria, una marina con reclute donne che s'infilano nelle docce degli uomini perché si sentono più maschi che femmine, e così via. Motivo per cui il ministro Carter ha concesso un anno di tempo al Pentagono per cercare un modus vivendi prima della piena entrata in vigora della riforma. Solo che tra il dire di Carter il fare de Capi di Stato maggiore ci si è messo di mezzo un presidente inaspettato, appunto Trump, il quale, allo scadere del fatidico anno "di studio", ha deciso di cancellare tutto, riportando in auge il vecchio divieto.
Già circa un mese fa, l'attuale ministro della Difesa, John Mattis, aveva chiesto più tempo per attuare la decisione del predecessore; poi, mercoledì 26 luglio, Trump ha rotto gl'indugi e, attraverso il suo canale di comunicazione preferito, Twitter, ha chiuso la questione dicendo che non se ne fa più nulla. [...]
Ora, Trump non è un intellettuale. Non è uomo da ragionamenti sofisticatissimi. Sulla questione LGBT poteva già fare di più e non lo ha fatto per invertire la pericolosa tendenza imboccata da Obama. Ma nessuno può negare che abbia fiuto. Quel fiuto adesso gli dice che con la riforma Carter delle forze armate la gendercrazia che caratterizza la nostra epoca ha esagerato e che quindi va fermata. È inevitabile che avvengano gli scandali, guai all'uomo che provoca gli scandali, dice la Scrittura, ma è anche vero che gli scandali aiutano a galvanizzare la reazione. Se l'ideologia, oggi del gender, esagera, e se sul suo cammino puta caso ci sono uomini magari rozzi ma "sgamati", finisce che quella che doveva essere solo una passeggiata si trasforma in ritirata.
(Marco Respinti, La Nuova Bussola Quotidiana, 29-07-2017)
A TEATRO LUI DIVENTA LEI E VICEVERSA
La prossima stagione teatrale in Italia vedrà sempre più attori interpretare ruoli femminili e attrici quelli maschili. Ad esempio le due vecchiette del racconto La vecchia scorticata di Basile saranno impersonate da uomini; Medea sarà Franco Branciaroli; Riccardo II diventerà una regina e la Bisbetica domata sarà Tindaro Granata.
I motivi di queste inversioni teatral-sessuali sono molteplici: sperimentalismo (ormai superato dato che come è noto per volere della regina Elisabetta le donne al tempo di Shakespeare non potevano recitare in pubblico e quindi tutti i ruoli femminili dovevano essere interpretati da uomini), voglia di stupire (ma ormai il pubblico sbadiglia di fronte a queste "novità") ed anche studiata accondiscendenza verso lo spirito contemporaneo infiltrato da dosi massicce di gender fluid.
(Gender Watch News, 14/08/2017)
IL GENDER DIKTAT ZITTISCE LA LEGGENDA DEL TENNIS MARGARET COURT
Il "gender diktat" si abbatte sulla leggenda del tennis Margaret Smith Court, una delle sole 3 giocatrici (assieme a Maureen Connolly e Steffi Graf) capaci di aggiudicarsi il prestigioso Grande Slam. L'australiana, oggi 74enne, vincitrice di ben 64 prove dei 4 principali tornei mondiali di tennis, Australian Open, Open di Francia (Roland Garros), Wimbledon (The Championships) U.S. Open (Flushing Meadows), si trova infatti al centro di un'autentica bufera mediatica per essersi pubblicamente dichiarata contraria al matrimonio egualitario che tra pochi giorni sarà discusso al parlamento australiano.
Questa la dichiarazione incriminata della Court: "Dio ha fatto l'uomo per la donna e la donna per l'uomo per moltiplicarsi nella Terra. Ognuno ha le proprie opinioni. Non ho niente contro i gay, lo sapete che li accogliamo in chiesa e li aiutiamo. Questa è una Nazione Giudeo-Cristiana e credo che dovremmo proteggere il matrimonio".
Apriti cielo. La prima a reagire è stata Samantha Stosur, tennista australiana attualmente 22esima nella classifica ATP, che ha proposto di lasciare deserto il campo che porta il suo nome ai prossimi Australian Open di Melbourne: "Tutti possono avere la propria opinione, io non concordo con la sua. Il matrimonio tra omosessuali dovrebbe sicuramente esserci. Il campo (di Melbourne, Australian Open, ndr) si chiama Margaret Court Arena per ciò che ha fatto nel tennis, ma vedremo l'anno prossimo agli Australian Open chi vorrà giocare su quel campo e chi no. Io propongo di non giocare".
Alla Stosur dal Regno Unito ha fatto eco Andy Murray, numero uno al mondo, che ha così commentato sulle pagine del Sun le parole della Court: "Non vedo perché qualcuno debba avere problemi se due persone che si amano vogliono sposarsi. Che siano due uomini, due donne, è fantastico. Non capisco perché dovrebbe importare. Non sono affari loro. Tutti dovrebbero avere, a mio avviso, gli stessi diritti".
Le veementi e violente reazioni nei confronti della leggenda del tennis Margaret Smith Court dimostrano ancora una volta quello che è l'humus culturale nel quale siamo, ahinoi, immersi. Prendere o lasciare, questo l'ignobile ricatto nei confronti di chi osa proferire parola contro lo scellerato pensiero unico dominante in materia di sessualità.
(Ludovico Biglia, Osservatorio Gender, 3 giugno 2017)
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