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« Torna agli articoli di Mario Palmaro
Pare strano perché è la prima volta che accade, ma, dopo decenni di vulgata progressista sul Vaticano II e il suo spirito, l’effetto è innegabilmente benefico: saliti in cima alle 632 pagine del saggio che Roberto de Mattei ha opportunamente intitolato "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta", si può finalmente guardare negli occhi da pari a pari la decennale produzione sull’argomento messa in circolazione dalla scuola di Bologna. Nello studio dello storico romano ci sono documenti, metodo e criteri per misurarsi senza complessi di inferiorità con quella gioiosa macchina da guerra storiografica che, guidata prima da Giuseppe Alberigo e poi da Alberto Melloni, aveva prodotto fino ad oggi l’unica seria e organica ricostruzione del fenomeno conciliare. Ricostruzione tendenziosa, ideologica e persino eversiva, certo, ma fatta da gente che il mestiere di storico, innegabilmente, lo conosce bene.
Oltre quarant’anni dopo la chiusura del Concilio e davanti alle macerie fumanti della nuova Pentecoste, questo merito varrebbe da solo l’impegno di leggere il saggio di de Mattei. Ma non è il solo perché, man mano si scorrono pagine e capitoli, si fanno più chiari i termini di un dibattito ben lontano dall’essere concluso con la semplice recezione del concetto di “ermeneutica della continuità” che illude tante anime belle ma poco pratiche di mondo. Il discorso alla curia con cui, nel 2005, Benedetto XVI ha parlato della contrapposizione tra due ermeneutiche del Concilio, lungi dall’aver chiuso il discorso, ha di fatto aperto il confronto tra due visioni inconciliabili della Chiesa.
L’opera storica di de Mattei si pone autorevolmente in questo agone, accanto a quella filosofica di un Romano Amerio e a quella teologica di un Brunero Gherardini. E, dopo averla letta senza paraocchi, riesce difficile immaginare che, nello scontro dichiarato con la scuola progressista, possano rimanere in piedi quelle vie di mezzo lacerate tra la constatazione del disastro e l’ossessiva ripetizione del mantra secondo cui la ragione della crisi consisterebbe nella mancata applicazione integrale del Concilio.
Documenti alla mano, de Mattei mostra con perizia che i problemi di stesura e di lettura dei testi conciliari nascono ben prima dell’assise vaticana e sono frutto di un teologia e di una filosofia votate alla “rottura” con il passato. Ne scende naturalmente che l’applicazione integrale di quella filosofia e quella teologia poteva portare solo sull’orlo del baratro con la ferma intenzione di buttarcisi dentro. Alla luce dei fatti narrati in quest’opera, risulta troppo evidente che la “continuità” c’è o non c’è: per quanto in buona fede, non è certo il tentativo di imbrigliare la deriva eversiva nella categoria della conservazione che la ricostruisce. La realtà non ha sempre la faccia che si vorrebbe.
Con la pubblicazione del libro di de Mattei, finalmente, siamo davanti alla contesa tra chi sostiene che, se il Vaticano II ha un difetto, è quello di non essere addirittura un Vaticano III e chi sostiene che, se di difetto si tratta, è quello di averne poste le premesse. Piaccia o non piaccia, questo è il terreno della contesa e questa è la materia del contendere. Ma sbaglierebbe chi conferisse alle due posizioni una valutazione speculare del Concilio inteso come “rottura”, vista in senso positivo o in senso negativo a seconda delle lenti utilizzate. Lo è effettivamente e dichiaratamente nella lettura progressista, dove il Concilio viene inteso come “evento” fondante della “nuova Pentecoste”. Ma de Mattei, pur mettendo in evidenza pericolose spinte eversive dentro e fuori l’aula conciliare, non parla mai di un soggetto in qualche modo nuovo: togliendo dal suo orizzonte storiografico il concetto mitico di “evento conciliare”, elimina automaticamente quello di “nuova Chiesa”.
Le due valutazioni non sono speculari poiché non si tratta solo di sostituire un segno meno là dove altri messo avevano un segno più, in quanto i soggetti presi in sé sono diversi per natura: una Chiesa completamente nuova secondo la scuola di Bologna, quella di sempre secondo lo storico romano. Questo studio segna dunque una svolta storica: il passaggio dall’era mitologica alla stagione della critica razionale. Pertanto non teme di documentare l’esistenza di posizioni divergenti e di tensioni che hanno dilaniato i lavori conciliari, troppo a lungo occultate da mani pietose. Sotto la lente dello storico emerge così un paradosso curioso e drammatico: quella “nouvelle teologie” che aveva lavorato per demitizzare i testi sacri e per eliminare dalla filosofia la metafisica di Aristotele e Tommaso, negli anni Sessanta individuò nel Concilio Vaticano II l’unico evento metafisico nella storia della Chiesa.
In questa prospettiva, sarà molto più difficile continuare a conservare l’immagine idilliaca di un evento che fu, stando ai fatti descritti, il terreno di uno scontro terribile. Ovviamente, questa constatazione non toglie nulla al carattere autorevole della ventunesima assise ecumenico nella storia della Chiesa. Ma rimane l’evidenza dei fatti con cui bisogna fare i conti.
L’autore riporta le lettere allarmate a Paolo VI nelle quali il cardinale Siri denuncia la piega presa da alcune commissioni conciliari, mette a confronto i documenti con cui Pio XI e Pio XII vietano ai cattolici di partecipare a incontri di preghiera ecumenici con le nuove tendenze emergenti dal Concilio... E così via per pagine e pagine, in fondo alle quali sorge una legittima e onesta domanda: l’errata interpretazione dei testi del Concilio è sufficiente a spiegare la vastità e la profondità della crisi della Chiesa? Il professore non risponde, ma aggiunge una considerazione di logica elementare: «L’esistenza di una pluralità di ermeneutiche attesta peraltro una certa ambiguità o ambivalenza dei documenti». Il che non significa impallinare l’enunciazione dell’esigenza di un’ermeneutica della continuità. Tanto è vero che c’è chi, da tempo, la pensa autorevolmente così: «I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opporsi alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI (…) ci si aspettava un balzo in avanti, e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza (…). La Chiesa del dopo Concilio è un grande cantiere; ma è un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto». Firmato cardinale Joseph Ratzinger, 1985.
Testo integrale della recensione di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro sul libro "Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta" di Roberto de Mattei, apparso in versione ridotta su “Il Foglio” del 7 dicembre.
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