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Vi ricordate che cosa è stato l'anno accademico 2023-24 negli Usa? Le maggiori università del Paese, le più care, le più prestigiose fucine della futura élite statunitense, sono state occupate, chiuse, trasformate in accampamenti dei manifestanti pro-Pal. Organizzavano picchetti, aggredivano (non solo verbalmente) gli studenti ebrei, soprattutto se israeliani, e non lasciavano insegnare neppure i professori israeliani.
Delle università maggiormente interessate alla protesta, quella che spiccava di più, la capofila, era la Columbia University. Ebbene, all'indomani dell'insediamento della nuova amministrazione Trump sta perdendo finanziamenti pubblici pari a 400 milioni di dollari.
L'arresto di Khalil
Uno dei principali agitatori della protesta pro-Pal, Mahmoud Khalil, è stato arrestato ed è in attesa di un processo che potrebbe decretarne l'espulsione dal Paese. Immigrato siriano dotato di Green Card, leader del CUAD (Columbia University Apartheid Divest) un'organizzazione che dice di "combattere per la totale eradicazione della civiltà occidentale", Khalil non ha mai celato le sue simpatie per i terroristi.
Il CUAD ha apertamente sostenuto il pogrom di Hamas del 7 ottobre, definendolo come "una vittoria politica, militare e morale". Nella manifestazione ha inneggiato alle brigate Al Qassam (l'ala militare di Hamas). Il suo giornale si chiama Columbia Intifada. Secondo quanto ritrovato dall'inchiesta della ISGAP (Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy), ha preso lauti finanziamenti dal Qatar, non dichiarati.
Arrestato l'8 marzo, Khalil è attualmente in carcere. Il 10 marzo, un giudice federale di New York ha sospeso il decreto di espulsione in attesa di un'udienza. Secondo l'accusa, dovrebbe essere privato della Green Card (permesso di soggiorno permanente) per sostegno al terrorismo. Una Green Card comporta obblighi legali, tra cui la rinuncia al terrorismo.
TAGLIO DEI FONDI
Uno straniero è "inammissibile" se "approva o sostiene attività terroristiche o persuade altri ad approvare o sostenere attività terroristiche" o è "un rappresentante di (...) un gruppo politico, sociale o di altro tipo che approva o sostiene attività terroristiche". Per i suoi difensori, privare della Green Card un immigrato regolare "per motivi politici" è un precedente pericoloso. Tanto più che Khalil è sposato con una cittadina statunitense, tipico inizio di un percorso per la cittadinanza. Sua moglie è anche incinta di otto mesi.
Dalla conclusione della vicenda di Khalil si capirà che piega prenderanno gli eventi nelle università nei prossimi quattro anni accademici. E anche il destino di molti immigrati nelle sue stesse condizioni che hanno sposato la causa di Hamas nelle università americane.
Trump appare determinatissimo ad andare fino in fondo. "Questo è il primo arresto di molti altri a venire", ha pubblicato il presidente su Truth Social nel giorno dell'arresto dell'agitatore siriano. "Troveremo, arresteremo ed espelleremo questi simpatizzanti del terrorismo dal nostro Paese, per non farli più tornare", ha poi spiegato su X. Il segretario di Stato Marco Rubio scrive che il governo federale "revocherà i visti e/o le Green Card dei sostenitori di Hamas in America in modo che possano essere espulsi".
Ma quella degli arresti è solo una delle tante politiche volte a porre fine alla deriva filo-islamica delle università. L'amministrazione Trump sta infatti cancellando circa 400 milioni di dollari (sovvenzioni e contratti federali) alla Columbia University. Le sovvenzioni in questione provengono dal Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, dalla General Services Administration e dal Dipartimento dell'Istruzione.
"Le università devono rispettare tutte le leggi federali contro la discriminazione se vogliono ricevere finanziamenti federali", ha dichiarato Linda McMahon, la nuova segretaria all'istruzione. "La Columbia non ha rispettato questo obbligo nei confronti degli studenti ebrei che studiano nel suo campus".
E non sarà l'unica: il Dipartimento di Giustizia ha dichiarato che una task force visiterà dieci università in cui si sono registrati più casi di antisemitismo (professori cacciati, studenti aggrediti, ecc.) durante le manifestazioni pro-Palestina.
ADDIO AL DEI
Visto che ovunque vale il detto "colpirne uno per educarne cento", anche le altre università stanno ritirando i programmi che temono possano entrare in conflitto con le linee guida della nuova amministrazione e stanno apportando altre modifiche. La scorsa settimana l'Università della Virginia ha votato per sciogliere il suo dipartimento Diversity Equality Inclusion (DEI) entro il quale è allignato il peggior terzomondismo anti-occidentale e, nell'ultimo anno, anche l'esplosione di proteste anti-Israele. "Il DEI è finito all'Università della Virginia", ha dichiarato il governatore Glenn Youngkin.
L'Università della Carolina del Nord non obbligherà più gli studenti a seguire corsi DEI considerati fondamentali per completare il piano di studi. Il rischio di mettere a repentaglio i finanziamenti federali per la ricerca è ora "semplicemente troppo grande per rimandare l'azione" scrive Andrew Tripp, consulente legale generale. Lunedì, l'Università di Harvard ha annunciato il congelamento delle assunzioni di personale e docenti, citando "sostanziali incertezze finanziarie dovute ai rapidi cambiamenti delle politiche federali".
Un effetto domino, insomma, anticipato dalla Florida, dove il governatore Ron DeSantis sta già da tempo eliminando i programmi DEI dalle università e dalle scuole pubbliche che dipendono dal suo Stato.
I difensori del vecchio ordine si appellano ora al diritto di libertà di educazione e di espressione. Proprio quei due diritti che la cancel culture degli studenti e dei docenti di estrema sinistra hanno negato ai loro avversari nell'ultimo decennio. Ma in questo caso non c'è alcuna violazione dei diritti di libertà. Vuoi continuare a predicare "l'eradicazione della civiltà occidentale"? Almeno non farlo con i soldi dei contribuenti occidentali.
In Italia? Niente
Piccola, ma necessaria parentesi: in Italia, nonostante il governo sia di centrodestra da quasi tre anni, non si assiste a nulla di simile.
Le nostre università sono monopolizzate dai collettivi di estrema sinistra, così come i programmi. All'Università Statale di Milano ha appena tenuto lezione, da remoto, Francesca Albanese, Inviata speciale dell'Onu per i Territori Occupati. Il concetto più leggero che ha espresso nei confronti di Israele è che sta compiendo "una pulizia etnica per conquistare più territori possibili. Non lo dico io ma i fondatori dello Stato di Israele che parlavano di colonizzazione della Palestina".
E non ci sono molte alternative a relatori che rispondono a questa ideologia, come dimostra la cancellazione, il 7 maggio scorso, dell'evento "L'unica democrazia del Medioriente. Israele fra storia e diritto internazionale", dietro presunti suggerimenti delle forze dell'ordine per evitare disordini (e non c'erano né i suggerimenti né rischi di disordini).
Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "La rivoluzione woke arretra anche nelle università americane" parla di assunzioni sospese, corsi cancellati, eventi annullati. Nelle università americane spariscono tutti i programmi inclusivi per paura di incorrere nella cancellazione dei fondi federali da parte dell'amministrazione Trump.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 15 marzo 2025:
Memori dell’esperienza della prima amministrazione Trump, contrastata, sin dai primi giorni, da vaste e violente manifestazioni di dissenso, ci si sarebbe attesi uno scenario simile anche all’inizio della seconda. Soprattutto le università, epicentro della rivoluzione woke (l’antirazzismo del movimento Black Lives Matter più il femmismo radicale del movimento MeToo) sarebbero diventate le principali roccaforti della “resistenza”. Non sta accadendo nulla di simile, in ormai due mesi di amministrazione repubblicana, nonostante la frenetica attività di Trump. Anzi, le istituzioni più woke, cioè le cattedre, i corsi e i dipartimenti Dei (Diversità Equità Inclusione) stanno crollando rapidamente come castelli di carte.
Dopo aver negato 400 milioni di dollari federali alla Columbia University, per non aver difeso studenti e docenti ebrei durante le manifestazioni pro-Palestina dello scorso anno accademico, le altre università stanno mettendosi in regola da sole. Il timore è sempre quello di perdere fondi pubblici. Spariscono i quadri con i militanti e gli “eroi” del movimento Black Lives Matter. Iniziative “inclusive” vengono cancellate. Bandiere arcobaleno della causa Lgbt vengono ammainate. E anche il linguaggio sta cambiando molto rapidamente. Parole d’ordine come “intersezionale” e, appunto, “inclusivo”, stanno diventando sconvenienti.
La scorsa settimana l’Università della Virginia ha votato per sciogliere il suo dipartimento Dei entro il quale è allignato il peggior terzomondismo anti-occidentale. «Il Dei è finito all'Università della Virginia», ha dichiarato il governatore Glenn Youngkin.
L’Università della Carolina del Nord non obbligherà più gli studenti a seguire corsi Dei considerati fondamentali per completare il piano di studi. Il rischio di mettere a repentaglio i finanziamenti federali per la ricerca è ora «semplicemente troppo grande per rimandare l'azione» scrive Andrew Tripp, consulente legale generale. Cornell, Stanford e Harvard hanno annunciato il congelamento delle assunzioni di personale e docenti, citando «sostanziali incertezze finanziarie dovute ai rapidi cambiamenti delle politiche federali».
Un effetto domino, insomma, anticipato dalla Florida, dove il governatore DeSantis sta già da tempo eliminando i programmi Dei dalle università e dalle scuole pubbliche che dipendono dal suo Stato. Nell’Università della Florida si sta compiendo una vera e propria controrivoluzione, nei programmi, nei dipartimenti, nelle autorità. La disposizione del governatore è chiara: tornare a valorizzare la civiltà occidentale giudaico-cristiana e la storia americana, dopo quasi un ventennio di auto-demonizzazione.
C’è chi addirittura sta diventando più realista del re, come l’amministrazione dell’Università dell’Ohio che ha cancellato il raduno degli ex studenti neri laureati. Il giorno dopo la stessa università ha cancellato la sua giornata della celebrazione della donna, in cui si esaltavano i successi e i primati femminili. Fino a quest’anno erano considerati eventi non controversi, neppure particolarmente rivoluzionari, ma per timore di passare sotto la scure della cancellazione dei programmi Dei, le autorità accademiche hanno preferito comunque sbarazzarsene.
E se la reazione alla rivoluzione woke portasse di nuovo al razzismo? Non è da escludere, per il futuro. E qui si vedrà se la società americana avrà veramente sviluppato gli anticorpi contro il peggiore dei pregiudizi. Ma nel presente assistiamo semplicemente a una rivoluzione che sta cascando in pezzi, con una rapidità sorprendente. Dopo le Big Tech (Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg), Hollywood (si veda il flop delle produzioni più woke agli ultimi Oscar) e le grandi aziende, anche le università, dunque il luogo di nascita della rivoluzione woke, stanno dando il via al riflusso. E la velocità con cui tutto ciò sta avvenendo, oltre all’assenza di ogni resistenza visibile, non è tanto il segnale della nascita di un nuovo regime, stavolta conservatore. Semmai è il segno che la rivoluzione woke era sostenuta solo da fondi pubblici. Infatti non viene applicata alcuna censura, alcun divieto, è solo per la paura di perdere fondi pubblici federali (neanche statali) che le università fanno marcia indietro. Ed evidentemente, se basta così poco, è perché della rivoluzione woke non ne poteva più nessuno, nemmeno nelle università.
A nessuno piace essere epurato perché usa i pronomi sbagliati quando parla a un uomo o a una donna che non si sentono tali, per un gesto sbagliato, per una parola sbagliata, per un abbigliamento che dalle minoranze può essere considerato “appropriazione culturale”, per un costume di carnevale (magari indossato anni prima) ritenuto troppo politicamente scorretto. A nessuno piace veder bandire dai corsi e dalle biblioteche libri classici della letteratura o lo studio di intere culture, per rispettare il percorso di “decolonizzazione”. A nessuno piace veder vandalizzate o abbattute le statue di Cristoforo Colombo e persino di Jefferson e di Lincoln (che pure liberò gli schiavi) perché rappresentativi del “privilegio bianco”. A nessuno, soprattutto, piace vedersi negare la parola, o vietare l’ingresso in aula, solo per aver votato dalla parte sbagliata, o solo per aver tenuto conversazioni, anche private, considerate “offensive” nei confronti di gay, donne o minoranze. A nessuno piace veder promuovere, laureare o assumere studenti a seconda del loro sesso, genere o colore della pelle, a prescindere dal merito. Perché tutto questo, nella pratica è (o è stata) la rivoluzione woke.
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