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« Torna agli articoli di Mario Palmaro
Verità e Vita stimmatizza come gravissimo ulteriore attentato alla vita umana innocente il tentativo di introdurre in Italia l'uso della pillola abortiva nota come RU 486. Si tratta di un prodotto tristemente noto da anni, perché provoca la morte intenzionale del concepito mediante aborto chimico. Verità e Vita si oppone pertanto con tutte le sue forze all'uso di questo autentico pesticida, studiato allo scopo di trattare l'essere umano non ancora nato come un parassita da espellere dal corpo della donna.
Nel dibattito di questi giorni è stato fra l'altro ricordato – e giustamente – che la RU486 implica rischi rilevanti per la salute della donna. Un dato oggettivo che dimostra l'intento ideologico che anima i sostenitori dell'aborto chimico.
Tuttavia, tali considerazioni non devono farci dimenticare che il no alla RU 486 va motivato innanzitutto con la necessità di rifiutare ogni forma di aborto come ingiusta e ingiustificabile uccisione intenzionale del concepito. In questo senso, l'aborto chirurgico attuato ogni giorno negli ospedali italiani con il beneplacito della legge 194 del 1978, e con il ricorso ai soldi pubblici, non costituisce in alcun modo una pratica "migliore" o "più accettabile" rispetto all'aborto chimico. Altrimenti, si corre il rischio di considerare un valore positivo il fatto che una certa forma di aborto sia "buona" perché più facile e sicura. Ma la società non ha, mai, il compito di rendere più facile e sicuro un determinato tipo di delitto, come ha preteso di fare la 194 per eliminare l'aborto clandestino.
Il mezzo utilizzato per uccidere non modifica la sostanza dell'atto che si compie. Si può ad esempio erogare una sentenza di morte con un'iniezione letale, oppure con l'uso della sedie elettrica, e si può aprire un dibattito su quale dei due sistemi sia il meno disumano. Ma se qualcuno ritiene la pena di morte un atto intrinsecamente ingiusto, non sarà certo il tipo di esecuzione a modificare il giudizio negativo nei confronti del boia. Allo stesso modo, l'aborto procurato esprime la medesima sostanziale ingiustizia, sia esso consumato con i ferri del medico aborzionista, o per via orale con la somministrazione di un principio attivo.
La RU 486 è in questo senso solo il segno di una ulteriore involuzione, un imbarbarimento della nostra civiltà giuridica che ha le sue premesse nella legalizzazione dell'aborto. Sarà difficile, anzi impossibile, "fermare" questa deriva se si accetta come un dato ineluttabile il diritto all'autodeterminazione della donna nel decidere la vita o la morte di suo figlio.
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