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« Torna agli articoli di Mario Palmaro

Denunceremo per omicidio chiunque si prestera' a far morire Eluana.
C'è da restare sgomenti di fronte alle reiterate offerte da parte di pubbliche autorità o strutture sanitarie ad "accogliere" Eluana Englaro. Una ospitalità "mortale", se è vero che tali autorità e strutture si offrono di sospendere la nutrizione ed idratazione, applicando il decreto della Corte d'Appello di Milano che ha autorizzato il padre Beppino in tal senso.
Constatiamo però con soddisfazione che, almeno fino al momento in cui scriviamo, tutti i tentativi di segno eutanasico sono andati a vuoto.
Per quale ragione fin'ora la "compagnia della buona morte” ha fallito?
Certo, per il coraggio di alcuni uomini politici. Certo, per l'esplicito rifiuto di direttori sanitari e medici, che non hanno avuto il timore di affermare pubblicamente che compito della medicina non è uccidere, ma curare ed assistere e che nessun disabile può essere privato del suo diritto alla vita.
Ma c'è un'altra ragione che va affermata con forza, una ragione di natura giuridica che tutti devono sapere: chi dovesse far morire di fame e di sete Eluana rischia una incriminazione per omicidio.
Eluana Englaro è viva e non è una malata terminale: non sta, quindi, per morire in conseguenza di una malattia; semplicemente viene alimentata mediante un sondino nasogastrico e vi sono, fra l'altro, dei dubbi che ciò sia strettamente necessario.
L'interruzione della nutrizione ed idratazione ne cagionerebbe, quindi, la morte: la condotta di chi la ponesse in essere integrerebbe, quindi, la fattispecie descritta dalla norma del Codice Penale vigente sull'omicidio volontario: "chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno".
Come da più parti sottolineato, non è affatto scontato – e anzi, appare decisamente insostenibile – che il decreto della Corte d'Appello di Milano renda legittima sotto il profilo penale la condotta di uccisione di Eluana Englaro: si tratta, infatti, di un decreto reso da un Giudice civile in un procedimento che ha efficacia solo nei confronti delle parti (e quindi solo nei confronti di Beppino Englaro), provvedimento sempre revocabile e che mai passerà "in giudicato"; le novità sulla possibilità di nutrire in diverso modo la giovane donna già costituiscono un motivo di ripensamento al decreto emesso.
Soprattutto i Giudici civili non hanno affatto il potere di autorizzare la disapplicazione delle norme penali: il decreto non integra nessuna delle cause di giustificazione previste dal codice penale e, comunque, l'autorizzazione data a Beppino Englaro non si estende ad altre persone.
Sempre sotto il profilo penalistico, la finzione adottata dalla Corte d'Appello di Milano – che cioè il tutore costituirebbe la voce dell'interdetta nel chiedere l'interruzione del sostegno vitale – non permette nemmeno di considerare l'uccisione di Eluana un "omicidio del consenziente", perché la norma in questione non si applica – per espressa previsione – alle persone inferme di mente.
La responsabilità per omicidio volontario è, quindi, correttamente ipotizzabile nei confronti dello stesso Beppino Englaro e ancor più nei confronti di altri che lo aiutassero a cagionare la morte della disabile.
La responsabilità, poi, non sarà soltanto di coloro che attivamente contribuiranno alla inedia di Eluana Englaro, ma anche di tutti coloro che, avendo l'obbligo di impedire la morte della disabile, non impediranno tale evento (art. 40 codice penale): e l'obbligo sussiste per tutti i medici e gli infermieri.
Nessuna struttura sanitaria si renda, quindi, disponibile ad ospitare Eluana Englaro per farla morire: non ne deriverà soltanto una responsabilità di tipo amministrativo (ben compresa dai responsabili della struttura di Udine), ma anche il rischio di severissime pronunce penali a carico di tutti coloro che favorissero o non impedissero tale evento.
Il Comitato Verità e Vita ha già presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Lecco, quando l'esecuzione del decreto pareva imminente. Ci impegniamo fin da ora, pubblicamente e senza esitazioni, a denunciare alle autorità competenti le condotte di coloro che si rendessero responsabili di un così grave crimine.
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