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« Torna agli articoli di Maurizio Ceriani
Si diffonde anche nei nostri paesi una pratica che pur consentita - a certe condizioni - dalla Chiesa spesso sottintende comunque un rifiuto della morte, che i cristiani non possono avallare.
Il tema è uno di quelli delicati dove, al di là delle norme e degli orientamenti pastorali, resta sempre un “margine” personale e familiare che sfugge a qualsiasi tentativo di codificazione. Stiamo parlando della cremazione dei cadaveri che si sta sempre più affermando anche in Italia. L’ufficio liturgico della Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato, lo scorso autunno, un sussidio dal titolo “Proclamiamo la tua risurrezione”. Si tratta di uno strumento che vuole essere “sensibilmente attento alle nuove situazioni di morte” e utile “in quelle situazioni non contemplate dal libro liturgico del Rito delle esequie”. Un capitolo intero, il sesto per la precisione, è dedicato al tema della cremazione; vi sono riportate le preghiere sul luogo della cremazione, gli orientamenti pastorali per la celebrazione esequiale dopo la cremazione in presenza dell’urna cineraria e le preghiere per la deposizione dell’urna. Qualche tempo fa il comune di Torino aveva addirittura sponsorizzato una campagna di promozione della cremazione. Era stata affidata ad un annuncio pubblicitario sul quale campeggiava un angelo tutto d’oro, con un’urna cineraria nella destra, e la scritta: “Da oggi a Torino, la cremazione è un servizio a spese del Comune. La cremazione non cancella il ricordo. Non brucia l’anima. Non è peccato. E non prende spazio”. Affermazioni certo non false; resta però il fatto che cremazione e sepoltura non possono stare sullo stesso piano per il credente.
LA NORMATIVA CANONICA E CIVILE
La cremazione dei cadaveri di fatto è un’usanza antichissima che iniziò a decadere proprio con l’avvento del cristianesimo, che preferì l’inumazione ad imitazione della sepoltura di Cristo. Fu reintrodotta in Italia in epoca napoleonica per presunte ragioni igieniche, ma divenne immediatamente uno dei simboli dell’anticlericalismo giacobino e massonico, un segno di avversione nei confronti della Chiesa e di affermazione di una forma di materialismo neoepicureo contro la dottrina cristiana della risurrezione. Fu questo atteggiamento che costrinse la Chiesa a negare le esequie cristiane a quanti avessero scelto la cremazione (codice di diritto canonico del 1917, can. 1240, 5). In seguito, prendendo atto delle mutate circostanze, nel 1963 l’allora Sant’Uffizio concesse il funerale cristiano anche a chi sceglieva di far cremare il proprio cadavere purché fosse chiaro che tale scelta non era fatta contro la fede cristiana. Di conseguenza il codice di diritto canonico del 1983 recepì questo orientamento e lo codificò nella norma che sancisce la negazione delle esequie ecclesiastiche a coloro “che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana” (n. 1184). Nel 2001 il Parlamento italiano ha promulgato la legge 130 con la quale permette ai familiari di custodire in casa le ceneri dei loro congiunti defunti e ne autorizza anche l’eventuale dispersione negli spazi cimiteriali come in altri spazi legalmente stabiliti.
LA CENSURA DELLA MORTE
Considerata in sé stessa, la cremazione non è contraria a nessuna verità né di ordine naturale né di ordine soprannaturale, e nella fattispecie - a meno che non sia accompagnata da motivazioni ideologiche materialistiche - non contiene l’oggettiva negazione dei dogmi relativi alla risurrezione della carne. Tuttavia va detto con forza che lo scenario culturale entro cui oggi si colloca è quello della “censura” della morte e del morire. La morte è diventata “oscena”, di lei non si deve neppure parlare tra gente per bene, perché rientra nella categoria dell’infamia. E quando ineluttabilmente la morte giunge, va occultata e rimossa, insieme ai suoi simboli millenari. Così abbiamo assistito al progressivo “sbiadimento” dei colori funebri che dal nero, tradizionale tinta del lutto nella cultura cristiana occidentale, sono progressivamente giunti ad un grigino chiaro chiaro, a un fucsia, a un verdolino velato; purtroppo questo fenomeno ha coinvolto anche i colori della liturgia. Si è evoluta e amorfizzata la forma dei carri funebri; il traffico delle nostre città ha messo fine ai cortei e tutto si è chiuso nella sfera del privato, se non addirittura del nascosto. Ora c’è il rischio che questo processo di censura del morire travolga anche le tombe, sostituendole con urnette cinerarie da tenere in casa come soprammobili, passando quindi da una dimensione sociale della morte, che ancora sopravvive attraverso i cimiteri, ad una “gestione” sempre più privatistica e nascosta di questo grande mistero.
LO SPARGIMENTO DELLE CENERI
In questa prospettiva lo spargimento delle ceneri è una scelta che, non solo potrebbe sottintendere motivazioni o mentalità panteistiche o naturalistiche, ma si presenta come l’ultimo atto della diffusa tendenza ad occultare la morte fino ad abolirne anche la memoria. È lampante che il cristiano, per il quale deve essere familiare e sereno il pensiero della morte e la memoria dei defunti, non deve aderire interiormente a tali fenomeni. Anche se non è un testo normativo, il già citato sussidio della Cei precisa che “Avvalersi della facoltà di spargere le ceneri, di conservare l’urna cineraria in un luogo diverso dal cimitero o prassi simili, è comunemente considerato segno di una scelta compiuta per ragioni contrarie alla fede cristiana e pertanto comporta la privazione delle esequie ecclesiastiche”. Emerge da queste parole soprattutto la preoccupazione di non perdere il luogo comune della memoria dei defunti che è la tomba, la sepoltura gravida di affetti intramontabili, di speranze ultraterrene, di atti di fede nella resurrezione. Basterebbe ripercorrere alcune espressioni di quel capolavoro poetico che sono “I Sepolcri” di Foscolo per recuperare tutto il valore umano e cristiano della sepoltura. C’è una “Celeste corrispondenza d’amorosi sensi” – dice il Poeta – per cui “spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi” a patto che “serbi un sasso il nome”.
ALTRI FATTORI DA CONSIDERARE
Non bisogna nascondere che la scelta della cremazione spesso è accompagnata anche da considerazioni di carattere economico. Infatti il costo della cremazione - e dell’eventuale dispersione delle ceneri - è nettamente inferiore ai “salassi” che tutti ben conoscono, legati al giro d’affari costruitosi in questi anni sul “caro estinto”. Inoltre molti comuni agevolano questa prassi, accollandosi parte dei costi dell’incenerimento. Anche su questo punto andrebbe operata un’ampia riflessione, accompagnata da coraggiose decisioni, capaci di stroncare il lucro esagerato che circonda funerali, sepolture, tombe e arredi cimiteriali. Basterebbe la scelta antica e cristianissima della sepoltura “in terra”, con tombe segnate soltanto da una croce sobria col nome del defunto.
CONCLUSIONI
Il fatto che la Chiesa permetta la cremazioni, purché non avvengano per motivi contrari alla fede e non siano accompagnati da riti neopagani come lo spargimento o la conservazione a domicilio delle ceneri, non significa un’equiparazione della cremazione alla sepoltura. Va preferita senz’altro la sepoltura, perché in essa riecheggia la genuina tradizione della fede cristiana, ma anche della civiltà e della cultura che da essa sono gemmate. La tradizione cristiana ha sempre attribuito alla sepoltura tutte quelle connotazioni dettate dalla fede per cui la morte non è un dissolvimento totale dell’esistenza. Pur nello sfacelo biologico del corpo nel grembo della terra, la morte è il momento di compimento e di sintesi di tutta la vita, che trova il suo significato più profondo nel mistero dischiuso dal Crocifisso risorto. È in lui che il corpo cadavere assume la sua dignità. Ed è proprio a partire dal rispettoso trattamento riservato alla salma di Gesù e al momento della sua sepoltura che, nel corso della storia, i Cristiani hanno sviluppato un pietoso trattamento dei morti. Forse l’attrazione che il nostro tempo patisce nei confronti della cremazione è uno dei tanti segni di decadenza della nostra civiltà. Lo aveva intravisto quel grande scrittore cristiano che fu Tolkien. In un passaggio drammatico del suo “Signore degli Anelli”, mette sulle labbra di un personaggio, davanti alla morte, queste parole inquietanti: “Io mi avvio al mio rogo. Al mio rogo! Niente tombe per Denethor e Faramir. Niente tombe! Niente lungo e lento sonno di morte imbalsamati. Noi arderemo come facevano i Re barbari. L’Occidente soccombe!”.
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