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« Torna agli articoli di Paolo Becchi
In questi giorni ho visto un film, non in una sala cinematografica ma in una sala di un Circolo privato, alla presenza di un folto pubblico interessato. Il testimone, un dramma cinematografico, non un documentario sulla guerra in Ucraina. Diciamolo subito, per evitare fraintendimenti di ogni genere, lo scopo primario del film è evidente: rovesciare la narrazione ufficiale, quella diffusa da tutti gli organi di informazione sulla guerra. È dunque un film di parte. Come di parte è, del resto, l'informazione che sinora, per due anni, abbiamo avuto attraverso i nostri canali ufficiali d'informazione. Non si vede, però, perché abbia fatto così tanto scalpore l'idea che il film potesse essere proiettato. Offre un punto di vista diverso, colpisce, fa discutere.
In breve, la storia: un affermato violinista belga si trova a Kiev proprio quando inizia l'operazione militare dei russi. È accompagnato dalla sua assistente, che andrà incontro ad una brutta fine, mentre lui - pur dovendo sopportare umiliazioni e violenze di ogni genere -riesce a scamparla. Chi ha seguito le vicende reali, se le troverà raccontate da quello che, a tutti gli effetti, è "il testimone". Alla fine, il testimone di fronte ai mass media che vogliono convincerlo ad ammettere che è tutta colpa dei russi, non può far altro che testimoniare quello che ha visto. Lui, in fondo, è stato salvato alla fine proprio dai russi, e a commettere angherie verso di lui e i cittadini ucraini sono stati proprio i componenti del ben noto battaglione di Azov.
GLI ABITANTI DEL DONBASS
La cosa del film che più mi ha colpito è quando alcuni abitanti del Donbass continuano a parlare la loro lingua naturale, il russo, mentre le milizie del battaglione non ammettono l'uso di questa lingua, perché in Ucraina "esistono solo gli ucraini e i russi non devono parlare la loro lingua". Il film è girato in inglese, con il voice over in russo, sottotitolato in italiano. Le uniche parti che sono girate in russo o in ucraino sono quelle in cui parlano i militari ucraini. Non conosco il russo, ma ho avuto il piacere di vedere il film con una collega slavista che conosce russo e ucraino e la cosa che lei ha notato, seguendo il film ovviamente in russo, è che a tratti ai miliziani di Azov scappano intere frasi in russo, a testimoniare quanto questa lingua sia radicata in Ucraina, non solo in Donbass.
Ma come si fa negare ad una popolazione addirittura la possibilità di usare la propria lingua? Come si può usare violenza contro i propri cittadini solo perché parlano la lingua dei nonni e dei genitori? È come se noi in Italia, a Bolzano, vietatissimo l'uso della lingua tedesca. Ovviamente non è soltanto una questione di lingua, ma quello è il primo elemento con cui si identifica una popolazione. Se neghi quel diritto, neghi tutti gli altri, se non concedi autonomia, è evidente che prima o poi si arriva alla secessione. I russi vogliono stare con i russi e hanno diritto di stare con i russi. "Stare con chi si vuole e stare con chi ci vuole". In fondo si tratta del diritto dei popoli ad autodeterminarsi, ed è quel diritto che hanno rivendicato per anni gli abitanti del Donbass. Questo lo si dimentica spesso nella narrazione di questo conflitto e almeno questo risulta in maniera molto evidente dal film. Forse è il messaggio più "pericoloso" per cui hanno cercato di censurare quasi dovunque il film.
UN CONFLITTO TRA DUE VISIONI DEL MONDO
Certo, oggi quella guerra locale ha assunto una dimensione globale, che va molto al di là della narrazione del film. Ormai si tratta di un conflitto non più tra Russia e l'Ucraina per un territorio limitato abitato soprattutto da russi, ma di un conflitto tra due visioni del mondo, quella dell'anglosfera, dell'Occidente, che vuole ancora dominare il mondo e imporre tutto a tutti, e quella della Russia, che vorrebbe tentare la costruzione di un mondo multipolare, che rispetti le tradizioni e i diritti dei popoli. Lenin, di cui ricorre in questi giorni il centenario della morte, era riuscito a trasformare la guerra, la Prima guerra mondiale, in una rivoluzione, quella bolscevica, Putin sta ora cercando di trasformare la guerra attuale in un'altra rivoluzione, che porti a un mondo non più governato da un'unica potenza, ma in cui esistono più civiltà che possano convivere pacificamente.
Questa è la mia chiave interpretativa e ovviamente chi legge potrà contestare tutto quello che ho scritto. Su una cosa, tuttavia, mi dovrà dar ragione, vale a dire che non si vede proprio perché il film non dovrebbe essere proiettato. E invece il Sindaco di Firenze ha chiesto di annullare la proiezione perché il film "incita all'odio e al genocidio del popolo ucraino". Credo che il Sindaco dovrebbe vergognarsi per quello che ha scritto. Ho visto il film, è un film di parte, come ho scritto, e non è l'unico nella storia del cinema ad esserlo, ma non c'è traccia di odio nei confronti del popolo ucraino, che semmai viene considerato vittima esso stesso del regime che ora governa quel Paese. Non c'è, dunque, alcuna ragione per vietare la visione di questo film, al quale come a Genova seguirà un dibattito durante il quale il Sindaco potrà dire tutto quello che vuole. Questa è sana democrazia. Non si possono criticare presunti regimi autoritari e poi adoperare gli stessi metodi.
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