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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri

L'incauta vicepreside romana che ha detto qualcosa sulla minigonna in classe ha scatenato il prevedibile putiferio. Sì, perché le studentesse hanno subito inalberato a vista di telecamera un cartello manoscritto: «Non è colpa nostra se vi ci cade l'occhio». Allora ci sarebbe da chiedere, alle amanuensi, che se la mettono a fare, la minigonna. Ovviamente, il ministero ha subito avviato indagine conoscitiva, senza avvedersi dell'incongruenza: la ministra non è mai stata vista in aula con le cosce al vento, infatti ha rispetto dell'istituzione. Rispetto che, però, viene meno se a sbattersene sono proprio quelle a cui la scuola dovrebbe inculcarlo.
Non c'è da stupirsi: il politicamente corretto è talmente innaturale da cadere continuamente in contraddizioni e paradossi. La protesta delle Vip, anche politiche, è stata naturalmente bipartisan, perché nel New World auspicato le donne, minoranza oppressa secondo la narrazione femminista, hanno tutti i diritti e nessun dovere. E anche le genitrici intervistate sono compatte a difesa delle pargole. Come! Mancano i banchi e voi ve la prendete con le minigonne? Il fatto è che quelle vicepreside (donna, si noti) aveva argomentato proprio dalla mancanza di banchi. In diverse scuole, come abbiamo visto dalle foto sui giornali, gli studenti stanno inginocchiati davanti alle sedie usate come leggio o addirittura seduti sul pavimento opportunamente sanificato.
Ora, non ci vuole Overton per immaginare lo spettacolo offerto da una signorina in mini (o micro) gonna seduta per terra a gambe incrociate. «Abbiamo diritto di vestirci come ci pare» è lo slogan. Giustissimo. Anche se davanti a quel «vestirci» sarebbe più esatto metterci una «s». Di questo diritto logica vuole che discenda anche quello di venire a scuola non solo in mini ma anche, se mi aggrada, senza lingerie. E se a qualche professore (maschio, ma di questi tempi non è detto) «gli cade l'occhio», peggio per lui: se non se la sente, mandi certificato medico, aggiungendosi all'altro problema della scuola (i trentamila e rotti insegnanti che, causa Covid, hanno marcato visita).
Netflix è stata subissata di proteste per il film Cuties. Però i protestatari sono gli stessi che mandano le figlie a scuola succintamente abbigliate: ecco un altro paradosso del politicamente corretto. Se a qualche maniaco in astinenza «gli cade l'occhio» e passa ai fatti, ecco l'unanime grido di sdegno: impiccatelo! Come se l'inasprimento della pena rendesse più lieve il danno dello stupro subito.
O, statistica canta, riducesse l'incidenza del fenomeno, che, anzi, è in aumento. Il massimo che il pensiero politicamente corretto riesce a escogitare per arginare detto fenomeno è il corso di recupero per gli stupratori o di educazione per i maschi in genere. Ma l'antico buonsenso dice che la tua mancanza di pudore offende il mio, sei tu che devi smettere, e non costringere me a voltarmi da un'altra parte.
E' pur vero che oggi un genitore ha qualche difficoltà a farsi obbedire dalla figlia cutie, la quale oppone che «così fan tutte». Il risultato complessivo è una cacofonia di corpi adolescenziali solo alcuni dei quali, pochi, veramente atti a scatenare fantasie maschili. Dovrebbe, semmai, intervenire nel dibattito Sgarbi e ricordare quanto sia rara la bellezza. Intanto, la vicepreside romana è stata linciata per avere proferito una raccomandazione materna. Da oggi in poi si guarderà bene dall'aprire bocca e, come Marco Antonio sul cadavere di Cesare, mormorerà: «Malanno, tu sei scatenato, prendi il corso che vuoi».
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