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« Torna agli articoli di Roberto
Nella nostra società, nella quale i valori cristiani sono sempre meno condivisi, sta emergendo un problema educativo che non è stato previsto. Come è possibile dare ai figli un'educazione fondata sui valori spirituali, sulla modestia, sulla castità in un mondo nel quale l'imperativo è il godimento, l'imbarbarimento la norma, la bruttezza, la sciatteria e la provocazione dei valori?
Quando il modello adolescenziale (con l'adolescenza protratta oltre i trent'anni) impone il tatuaggio, il piercing in luoghi più o meno visibili, i «party» più strani e trasgressivi, la musica più tribale e triviale, ha senso resistere, opporsi? Non si rischia di far sentire il proprio figlio «strano» una mosca bianca, un disadattato (mai parola indica più chiaramente il ribaltamento valoriale al quale stiamo assistendo)?
PARTIAMO DA ALCUNI PUNTI FERMI
Innanzitutto, il compito educativo spetta ai genitori. Non alla scuola, non allo Stato, non agli esperti: ai genitori. La responsabilità educativa dei figli spetta a loro. Sono quindi loro che devono scegliere il tipo di educazione da impartire ai bambini anche se il modello educativo che scelgono è discordante con (o in opposizione a) quello proposto dalla società.
Secondariamente, il tipo di educazione proposto dalla nostra società è assolutamente deprecabile sotto molti punti di vista. Non so se sia mai esistita una società che intenzionalmente abbia cresciuto i propri bambini nell'ignoranza della metafisica, del fatto che esista qualcosa oltre la materia. L'unico imperativo che la nostra società impone a bambini, ragazzi e ragazze è «Godi!». Questo è ciò che insegna MTV. Questo è ciò che chiedono alcuni padri e madri ai loro figli: divertiti, riempi la tua vita di piaceri di ogni tipo, dimentica le responsabilità, il sacrificio, le conseguenze del tuo godimento perpetuo. Ogni privazione, ogni frustrazione, ogni limite è un'ingiustizia intollerabile che alcune mamme e nonne indignate si impegnano ogni giorno a spazzare dalla strada dei loro figli e nipoti, non solo da bambini, ma anche quando si fanno più grandicelli.
Non è una novità, non è una rivoluzione: è semplicemente l'esito di un processo. Date alcune premesse, le conseguenze saranno necessariamente quelle. Se i genitori propongono ai loro bambini un mondo in due dimensioni è perché essi stessi vivono in un mondo piatto, senza profondità metafisica. Non c'è motivo per cui dovrebbero proporre ai loro figli qualcosa che essi stessi non conoscono. E non conoscono altro perché a loro volta sono stati educati così.
L'Italia del secondo dopoguerra, che noi credevamo cattolica, tradizionalista e valoriale, è stata l'Italia che ha creato questa situazione. L'Italia che al posto dello smartphone aveva come status symbol l'autoradio, che viveva tutto l'anno in funzione della vacanza (non in Egitto, dai nonni in Calabria), l'Italia dei divani incellophanati e del servizio di cristallo di dote perennemente chiuso nella vetrinetta in sala (anch'essa rigorosamente chiusa a chiave). L'Italia in cui l'importante era «la roba», era mangiare bene, avere il figlio dottore. Ecco: i selvaggi che si aggirano per le nostre città, con la biancheria in bella mostra, l'esibizione di una pelle marchiata e borchiata, e un linguaggio che farebbe vergognare il proverbiale scaricatore di porto sono il frutto di almeno due generazioni di educazione senza metafisica, senza l'idea che esistano un bene o un male in sé, e non solo per le conseguenze piacevoli o spiacevoli che hanno per me.
LA CRESCITA PERSONALE COSTA
Terzo: la crescita personale, la vocazione, in termini religiosi, costa. Diventare se stessi, realizzare il progetto che ci è stato affidato alla nascita è faticoso, è duro, non è né piacevole né gratuito. Diventare la persona che dovremmo essere, esprimere la nostra personalità, mettere a frutto i nostri talenti implica la solitudine, il pagamento di un prezzo, l'incomprensione o addirittura lo scherno. Essere veramente liberi, essere coerenti con i propri valori, puntare alla realizzazione della propria vocazione esige che ci si senta un «disadattato», una mosca bianca. Tanto più in una società come la nostra, nella quale il conformismo è dittatoriale, e l'espressione di sé non significa esprimere la propria personalità quanto la mancanza di essa.
Bisogna però considerare una cosa importante, almeno dal punto di vista clinico (lo scrivente è, appunto, uno psicologo clinico). Durante la crescita abbiamo bisogno di essere rassicurati, di sapere che «andiamo bene», che siamo adeguati. Questo è un bisogno fondamentale che, se soddisfatto, costituisce la premessa per la costruzione di quella vera personalità, conforme al proprio progetto, di cui dicevamo sopra. La nostra adeguatezza deve però trovare conforto nel mondo dei pari. Non ci sentiamo adeguati confrontandoci con chi è completamente diverso da noi (con gli adulti, nel nostro caso), ma con chi è - o dovrebbe essere - simile a noi: il gruppo dei pari. Per questo gli amici sono così importanti per gli adolescenti: sono i coetanei che possono fare da specchio, non più i genitori. Sentirsi adeguati per gli adulti (genitori, nonni...) ma non per i coetanei non dà quella sicurezza della quale i ragazzi hanno bisogno (a meno di trovarci di fronte a ragazzi particolarmente strutturati, forti e sicuri; cosa sempre più rara anche tra gli adulti, al giorno d'oggi).
DILEMMA INSOLUBILE?
Siamo dunque di fronte ad un dilemma insolubile? Veleggiamo tra Scilla (la massificazione edonistica) e Cariddi (il disadattamento)? Una soluzione, forse di difficile applicazione, c'è. Si tratterebbe di costruire attorno ai nostri ragazzi un ambiente di coetanei educati in modo cristiano, metafisico, valoriale; in questo modo la loro domanda di adeguatezza sarebbe soddisfatta, e crescerebbero con punti di riferimento diversi da quelli - deprecabili - proposti dalla nostra società.
Gli oratori si svuotano, gli scout si uniformano al modello sociale, il mondo dello sport veicola messaggi ambigui sul gender e sulla sessualità? Forse è giunto il momento che i genitori si attrezzino per creare ambienti educativi in sintonia con i loro valori. Lo stanno facendo per la scuola: stanno sorgendo sempre più e sempre più belle scuole parentali; perché non creare degli ambienti educativi e ricreativi con gli stessi criteri? Non è facile, ma forse è più facile che istituire una scuola...
Un'ultima riflessione. Tutto questo ci fa capire quanto sia importante, per la salvezza delle persone,una società a misura d'uomo, che permetta o favorisca il raggiungimento dei propri obiettivi vocazionali. Per questo motivo la Chiesa ha una Dottrina Sociale: perché non siamo isole. Se vogliamo che i nostri figli abbiamo meno difficoltà nella nostra società, torniamo ad occuparci della società. Torniamo ad essere il sale della terra, e la lucerna nel lucernaio.
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