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l 28 agosto si celebra la festa liturgica di sant'Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa.
La voce di sant'Agostino parla ai nostri tempi per la sua capacità di andare a fondo nei problemi filosofici e morali anche più difficili, con una semplicità di stile e una immediatezza di linguaggio che ne fanno un autore più che moderno contemporaneo. La modernità, infatti, invecchia, la contemporaneità è sempre viva.
La vita di Aurelio Agostino, era questo il suo nome, si situa tra il 354 e il 430 dopo Cristo. Nasce a Tagaste un grosso borgo della Numidia, dunque in Africa del nord, una terra che allora era cristiana.
È un giovane di estrema intelligenza, ma conduce una vita sregolata, provocando le lacrime della madre Monica, fervente cristiana, che un giorno, come lui, sarà canonizzata dalla Chiesa.
Ha per oltre dieci anni una relazione con una donna, da cui ha un figlio, Adeodato. Aderisce alla setta dei manichei. Intanto insegna e dall'Africa si trasferisce a Milano, dove ottiene una cattedra di professore, senza avere peraltro molto successo, anche a causa dell'indisciplina dei suoi allievi. A Milano è vescovo il grande sant'Ambrogio di cui Monica, sua madre, è discepola, Grazie ad Ambrogio, Agostino si converte e riceve dalle sue mani il battesimo, il 24 aprile dell'anno 387. Ci racconta egli stesso la sua conversione: un giorno mentre era nel giardino... sentì la voce di un bambino che gli ripeteva: "Tolle, lege, tolle, lege". Prendi il libro e leggi. Aprì San Paolo dove dice: "Comportiamoci onestamente... non nelle ubriachezze e nell'impurità... Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo" (Rm, 13, 13)
Agostino venne come folgorato da quella Parola, come San Paolo sulla via di Damasco. Iniziò una nuova vita come cristiano. Tornò in Africa, fu ordinato sacerdote e poi consacrato vescovo di Ippona. Rimase tale fino alla morte, avvenuta il 28 agosto 430, mentre la città era assediata da Genserico, re dei Vandali.
Tra le tante opere di sant'Agostino ce ne sono due fondamentali: le Confessioni e la Città di Dio. [...]
1) LE CONFESSIONI
Le Confessioni di sant'Agostino sono la storia di una conversione, di un itinerario verso l'assoluto
Oggi viviamo in un'epoca di smarrimento di certezze, di perdita di valori, di assenza di verità. Nessuno certo può dire di possedere la verità. Anche perché la verità non può essere posseduta da nessuno, casomai è la verità stessa ad impossessarsi di noi. Ma non possedere la verità non significa rinunciare a cercarla. E' proprio questa ricerca che caratterizza l'uomo, che lo distingue dall'animale, privo di intelligenza e di libertà. Ma dove è la verità?
Ebbene, ci dice sant'Agostino, la verità non va cercata all'esterno, quasi che sia un'entità di cui ci si possa disinteressare. La verità può essere scoperta solo se si guarda dentro di noi. "Non uscire da te - scrive - torna in te stesso, nell'interno dell'uomo abita la verità. E se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso" (cfr. De vera religione, 39).
Bisogna dunque raggiungere il più intimo nucleo dell'io per trovare la verità, che è Dio, e finché l'uomo non l'ha trovata non sarà mai felice. "Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te" (Confessioni, 1,1), scrive sant'Agostino nella celebre apertura delle Confessioni.
Agostino sperimenta però la sua incapacità a raggiungere questo Dio creatore dell'universo, da cui tutte le cose derivano (cfr. Conf. VII, 11, 17), con le sue sole forze: "Scorsi quanto in Te è invisibile, comprendendolo attraverso il creato, ma non fui capace di fissarvi lo sguardo" (Conf. VII, 17, 23). A Dio si arriva attraverso la Grazia di Cristo, perché, egli scrive, "la Verità spuntata dalla terra è Cristo, nato da donna... Cos'è infatti la Verità? Il Figlio di Dio" (Comm. al Salmo 84, 13). Cristo solo dice: " ‘Io sono la via, la verità e la Vita' [Gv 14, 6]. Se cerchi la verità, segui la via; perché la via è lo stesso che la verità. La meta cui tendi e la via che devi percorrere, sono la stesso cosa" (Comm. Vangelo Giovanni, 13, 4).
Le Confessioni non sono un'autobiografia, né un libro di ricordi: sono, come dice il titolo, una confessione pubblica, rivolta però non a Dio, ma agli uomini. Agostino parla con Dio, ma si rivolge a tutti gli uomini. Non vuole nascondere nulla, nulla vuole tacere dei suoi errori, dei suoi peccati, dei suoi dubbi, delle sue esitazioni. Mette a nudo il suo cuore, nelle pieghe più segrete, e in questo ci è vicino.
La sua storia individuale è la storia di tutti gli uomini, potremmo dire dell'anima umana. Le Confessioni è un libro che merita di essere letto e meditato. [...]
2) LA CITTÀ DI DIO
Le Confessioni sono un libro individuale, è la storia di un'anima. La Città di Dio è un libro collettivo: rivela l'azione di Dio nella storia del mondo, così come le Confessioni mostrano l'influenza di Dio sull'anima umana. Agostino ci guida all'interiorità, ci aiuta a scoprire i tesori nascosti del nostro cuore, attraverso tutte le nostre facoltà, a cominciare dalla memoria. Nella Città di Dio la prospettiva si allarga.
La Città di Dio non è un'opera astratta, ma una riflessione teologica su un'epoca drammatica, che presenta impressionanti analogie con quella attuale.
All'inizio del V secolo, i barbari, che hanno varcato le frontiere dell'Impero romano, dilagano sulle vie un tempo percorse dalle legioni di Roma. I Vandali attraversano la Gallia e raggiungono la Spagna e poi l'Africa. Un altro popolo, i Visigoti, guidati dal loro re Alarico, irrompono in Italia e arrivano alle porte di Roma. Il 24 agosto del 410, attraverso la Porta Salaria, i barbari di Alarico invadono la Città eterna, inviolata da ottocento anni, mettendola a sacco per tre giorni.
Nel 410 sant'Agostino è vescovo di Ippona, in Africa. Egli è ormai anziano e la sua salute è malferma, quando, nel mese di settembre, gli giungono le notizie terribili del saccheggio di Roma. La riflessione su questi drammatici eventi è alle origini della Città di Dio, il suo capolavoro alla cui composizione egli avrebbe dedicato tredici anni della sua vita.
Roma era il simbolo dell'ordine e della sicurezza del mondo civile. L'Impero romano riassumeva la storia della civiltà, così come oggi la riassume l'Europa. Sant'Agostino si chiede perché è caduta la città di Roma e rovesciando le accuse dei pagani verso i cristiani, ne individua la causa nella corruzione intellettuale e morale dell'Impero. Sulle rovine dell'Impero romano vede sorgere la Chiesa fondata da Cristo, la Città di Dio, e contro di essa schierarsi una città nemica, che egli chiama Città del demonio. Queste due città sono destinate a combattersi implacabilmente nella storia, che è il campo di battaglia della libertà dell'uomo. Tutta l'attività umana, per sant'Agostino si riduce all'amore: "due amori hanno generato due città: quella terrena, l'amore di sé fino al disprezzo di Dio; quella celeste, l'amore di Dio fino al disprezzo di sé" (Città di Dio, Libro XIV, cap. 28). La scelta radicale è tra Dio, a cui ci unisce intimamente l'umiltà, e il demonio a cui ci vincola irrevocabilmente l'orgoglio e l'amore di sé.
Sant'Agostino non attribuisce alla Città del demonio il dominio del mondo e a quella divina, il regno dell'al di là. Queste due città si combattono sulla terra. In mezzo a queste due città - quella infera e quella celeste - sta la città degli uomini, ossia l'umanità che vive sulla terra, passando il proprio periodo di prova. L'alternativa presente nella vita di ogni uomo - per o contro Dio - è ugualmente presente nella storia dell'umanità. Destino della città degli uomini è quello di tendere verso la città celeste o verso quella infera, di essere governata dall'una o dall'altra. Tertium non datur: non le è possibile restare indifferente o neutrale. Sant'Agostino in fondo ci propone non solo una filosofia della storia, ma una concezione militante della storia.
Il maggior insegnamento che la Città di Dio può dare, o almeno la ricchezza che io trovo nelle sue pagine, è l'idea che esiste un senso e un profondo significato della storia umana. Agostino è un filosofo e un teologo della storia: è convinto cioè che Dio agisca nella storia, come agisce nella vita degli uomini, anche se la sua azione è discreta e invisibile ai più. Tutto quello che nel mondo esiste e avviene ha una causa e un significato. "Niente - dice sant'Agostino - accade a caso nel mondo". Tutto è Provvidenza. La Provvidenza è l'azione di Dio nella storia. Nulla accade che Dio non voglia o non permetta. Tutto quel che accade nel mondo avviene solo per il bene delle anime soggette alla volontà di Dio.
La grandezza della Divina Provvidenza non si manifesta tanto nella elargizione di grazie destinate a sollevare le miserie materiali e morali degli uomini, quanto soprattutto nella capacità che Dio ha di trarre il bene dal male fisico e morale che si produce nell'universo. Dio, che non è causa del male, perché è sommo bene, pur non causando in alcun modo il male, dà a qualsiasi male una ragione e un significato, trasformandolo in bene per la creatura che lo subisce. Dio non causa, ma permette, il male perché, nella sua infinita sapienza, sa, vuole e può ricavare il bene dal male, l'ordine dal disordine. Dio permette il male non nel senso che lo subisca ma perché vuole permetterlo. Egli infatti, secondo sant'Agostino, ha giudicato meglio permettere l'esistenza del male per trarne il bene piuttosto che evitare l'esistenza di qualsiasi male. Trarre il bene dal male significa saper realizzare il bene mediante quel male che avviene senza che esso sia voluto come tale. L'universo di Agostino ci appare dunque come una misteriosa trama in cui anche il male, entrando nella storia con il peccato, ha il suo posto. Spesso il male, il dolore, la sofferenza è per noi incomprensibile. Sant'Agostino ci dice che il dolore è entrato nell'ordine universale del creato come conseguenza del peccato; da quel momento è divenuto la legge dell'umanità e nessun uomo vi si può sottrarre.
Il dolore umano non ci priva della vera felicità, che si ha solo quando si possiede il vero bene, ma ci sottrae beni esterni e contingenti. L'infelicità nasce invece nell'uomo proprio dal fatto che i beni apparenti non soddisfano i veri bisogni spirituali e morali della nostra natura. L'unica causa di infelicità e dunque l'unico male possibile è quello morale, prodotto dalla creatura razionale con il peccato.
La Città di Dio non offre solo una grande teologia della storia, ma propone una concezione militante della vita. Afferma l'esistenza del bene e del male che si affrontano nella storia e la necessità per ogni uomo di scegliere tra i due poli.
Questo insegnamento a me sembra particolarmente attuale in un'epoca come la nostra in cui, in tutti i campi, si tende a diluire l'esistenza di scontri e di conflitti tra religioni, civiltà, uomini e società. Questi conflitti sono convergenza del male che è nella storia. Nessuno come sant'Agostino ha approfondito il mistero del male, che egli ha visto innanzitutto come una paurosa carenza di bene e di verità. Il male è privazione di bene e in questo senso, propriamente non è, ma purtroppo esiste, sia pure solo come assenza di bene.
La necessità della scelta caratterizza la vita degli uomini e dei popoli. Tra il bene e il male, tra la Città di Dio e la Città del demonio, non esiste compromesso o modus vivendi possibile. La vita cristiana esige la militanza.
È questa la grande lezione della Città di Dio.
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