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« Torna agli articoli di Vittorio messori
Ha scritto Vittorio Feltri in un articolo su Il Giornale di settembre, a proposito di papa Francesco e del suo rapporto con l'antica tradizione della Chiesa: "Che dire della sedia gestatoria, in voga sino a qualche anno fa? Il Capo della cristianità si faceva portare in giro su un cadreghino con le stanghe, rette da poveracci, sostituti di cavalli o asini." Feltri ribadisce all'inizio dell'articolo di non essere credente, meno che mai cattolico, e, dunque, di sapere ben poco di "cose di Chiesa". Ci permettiamo allora - ad uso suo e dei lettori - di chiarire come, storicamente, stiano le cose. Il tema è solo apparentemente secondario, visto che sin dal Settecento è un luogo comune della polemica anticlericale (vi accenna persino Voltaire) come esempio della violenza sull'uomo da parte di coloro che osano dirsi rappresentanti del Cristo in terra. L'uso della sedia gestatoria da parte dei papi non era il residuo di crudeltà schiavistiche da faraone egizio o da imperatore del Basso Impero romano. Era, al contrario, un "servizio" prezioso reso ai devoti che si accalcavano alle cerimonie pontificie e si lagnavano di non poter vedere il papa che passava benedicendo. Non a caso l'impiego della sedia era limitato all'interno delle grandi basiliche, a cominciare da San Pietro e dal Laterano, o a liturgie solenni all'aperto che attiravano le folle. Insomma, qualcosa di equivalente ai maxischermi sulle piazze attuali. Non dimentichiamo che colonne di pellegrini giungevano di continuo a Roma dai luoghi più lontani, ut videre Petrum, per vedere Pietro; e grande sarebbe stata la loro delusione se, stretti nella calca, non avessero potuto contemplare il suo volto e la sua mano benedicente. Paolo VI disse all'amico Jean Guitton che stare su quella sedia era "assai incomodo", visti gli ondeggiamenti, ma di sopportare volentieri il disagio per una questione di equità: tutti coloro che lo desideravano - e non solo coloro che godevano di privilegi e di precedenze - potevano vedere il Santo Padre ed essere visti da lui. Anche per questo Giovanni XXIII ne fece grande uso. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI non vollero tornare alla sedia gestatoria (soprattutto per evitare equivoci come quello di cui testimonia ora Vittorio Feltri) ma la pedana mobile di cui si servirono non aveva solo funzioni "ortopediche", ma anche di migliore visibilità da parte dei fedeli. In ogni caso, portare sulle spalle il Santo Padre era un grande onore che si disputavano le grandi famiglie dell'Urbe. Ancora oggi, del resto, c'è viva competizione in antiche e nobili città come Viterbo e Gubbio per far parte del gruppo di eletti che hanno il privilegio di portare ogni anno la pesantissima "macchina di santa Rosa" e i "ceri", essi pure di peso non lieve. Per stare al Vaticano, abbiamo, tra l'altro, l'ordinanza con cui Pio IV, alla metà del Cinquecento, regolamenta il servizio alla sedia, riservandolo soltanto ai "cavalieri romani". Col tempo, l'impiego si fece più professionale e i Sediari Pontifici (questo il nome ufficiale) si unirono ad un'altra categoria ambita ed onorata, quella dei Palafrenieri del papa e dei cardinali, e crearono una confraternita che ebbe l'onore di una chiesa in Vaticano, accanto alla porta di Sant'Anna. Solo una minima parte del lavoro dei Sediari consisteva nel trasporto a spalle del pontefice: come dicevo, si ricorreva a quel seggio elevato solo in certe occasioni. Vestiti di una elegante livrea, con sul petto lo stemma papale ricamato, facevano parte della "Famiglia del Santo Padre" ed erano dunque tra quelli in maggiore intimità con lui. Accudivano e intrattenevano gli ospiti nelle anticamere e uno di loro aveva l'onore di dormire nella camera adiacente a quella papale, alla quale era collegato con un campanello, pronto ad accorrere a una sua chiamata. Quanto al trasporto a spalle del tronetto pontificale, gli addetti erano 12, dunque 3 per ciascuna delle quattro stanghe. In genere, si trattava di percorrere poche centinaia - se non poche decine - di metri: nulla di arduo per gente robusta e giovane, visto che a una certa età erano addetti solo ai servizi sedentari, di camera. La fatica di moltissimi operai o di muratori odierni è ben più pesante e prolungata, sopportata per giunta sino all'età della pensione. Non dimenticando il soddisfacente e sicuro stipendio (cosa rara e preziosa, un tempo ancor più che oggi) e, soprattutto, la gratificazione personale: come si diceva, quell'impegno a servizio diretto del Vicario di Cristo e, soprattutto, quello sforzo per mostrarlo alla folla dei devoti erano considerati tra i più prestigiosi e meritevoli, degni persino di un premio soprannaturale. Insomma è la storia che lo attesta: checché ne dica la superficialità giornalistica, quei collaboratori del ruolo pastorale del Pontefice erano tutt'altro che "poveracci", né sostituivano "cavalli ed asini".
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