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Galeotto fu il G8. Sarà forse l’aria di crisi economica generale; o le promesse di nuovi contratti con il gigante cinese...
Sta di fatto che, incontrandosi in Giappone con il presidente cinese Hu Jintao, i leader delle otto nazioni più potenti, a poco a poco hanno sciolto le riserve e hanno promesso (giurato, perfino) che sì, saranno presenti alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi in programma a Pechino l’8 agosto prossimo, alle 8 e 8 di sera. Fra i renitenti rimane ancora il cancelliere tedesco Angela Merkel, ma tant’è: l’Unione europea in blocco, in questo semestre rappresentata dalla Francia e da Nicolas Sarkozy, sederà nello stadio Nido d’Uccello. Fra i 91mila ospiti mondiali, il presidente francese si godrà le spettacolari Olimpiadi che si preannunciano un osanna alla grandezza della Cina, divenuta imperatrice dell’economia mondiale. Ma spettacolare è anche l’inversione a 180° di Sarkozy, che solo alcuni mesi fa, dopo la repressione in Tibet, aveva messo tante condizioni alla sua partecipazione: rispetto dei diritti umani, dialogo con il Dalai Lama...
La sua posizione era stata così dura che i cinesi hanno deciso di boicottare i prodotti 'made in France', a cominciare da quelli in vendita nei supermercati Carrefour.
Dire che la Cina sia cambiata in questi mesi è forse troppo: controlli e censure pesano sui media cinesi e stranieri; attivisti e personalità religiose sono in prigione; i dialoghi con il Dalai Lama sono solo l’occasione per continuare le offese al leader tibetano... Non è cambiato nulla: solo è divenuto più evidente che le Olimpiadi sono un mercato. E questo non solo riferito alle sponsorizzazioni e ai sospetti sulla gestione del Comitato olimpico internazionale. La stessa presenza dei leader mondiali è divenuta una moneta di scambio. Presenze in cambio di favori. La dichiarazione dell’ufficio di Sarkozy recita che il presidente francese sarà a Pechino per «approfondire la sua amicizia strategica con la Cina», in cui sono forse compresi contratti per l’Airbus, costruzione di centrali nucleari e di ferrovie ad alta velocità. L’idea di boicottare la cerimonia di apertura dei Giochi non è mai stato una cosa seria.
Anzitutto, perché è contraddittoria: bisognava semmai non dare a Pechino le Olimpiadi già nel 2001.
Poi, perché è ormai troppo tardi e i 'giochi' (economici) sono fatti: nessuno sponsor (e nazione) rinuncerà in questo ultimo mese, dopo aver sovvenzionato le manifestazione per 7 anni. Se si vuole impegnare Pechino su diritti umani, libertà religiosa, dignità del lavoro, ecologia c’era tempo prima, e ci sarà durante e dopo i Giochi. A Sarkozy, Bush, Berlusconi, Fukuda si può chiedere che i diritti umani entrino costantemente nell’agenda commerciale. Più del boicottaggio, è importante che i nostri governi costringano la Cina e le sue università ad aprire un confronto sui diritti umani; che tutti coloro che commerciano con Pechino stilino contratti cui collegare condizioni etiche: migliore trattamento degli operai, libertà di associazione, libertà di religione per le comunità locali, liberazione di qualche dissidente. Insomma, avere davvero un rapporto con il gigante cinese, non trattarlo solo come un partner commerciale. Per questo le Olimpiadi possono essere un’occasione di rapporto con la popolazione cinese, con la sua società civile (così diversa dai suoi governanti), occasione in cui tessere legami e conoscenze, più forti e più solide delle sponsorizzazioni e degli sfruttamenti di manodopera a basso costo.
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