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« Torna alla edizione
È stato uno degli inventori dello scanner. Il successo, i soldi, poi la figlia che si converte ed entra in un convento di clausura. Una rivoluzione.
Per cavarsela ha dovuto darsi un nome americano. È con quello che passerà alla storia dell’elettronica. L’ingegner Rick Tan, cambogiano nato e cresciuto buddista, è stato tra gli inventori dello scanner. Una vera rivoluzione, applicata dal campo medico a quello tipografico. «Una rivoluzione? Per un po’ l’ho creduto anch’io». A piedi nudi, seduto a gambe incrociate nella posizione del loto, Rick afferra una Bibbia e con quella indica la parete in fondo: «La vera rivoluzione è quella lì». Mentre si avvicina al grande crocifisso, Rick ricorda di quando era diventato milionario, degli incarichi di prestigio. «E poi una bella villa in California, auto extralusso, vacanze a cinque stelle». Quel che si dice una vita da fare invidia. «Poi alcuni anni fa mia figlia va a chiudersi in un convento di clausura negli Stati Uniti, e mio figlio quasi si faceva prete ». Per dirla nel gergo informatico: «Ho rischiato di fare tilt».
Abituato com’era a trovare una soluzione grazie alla scienza, alla matematica e alla logica, «quella volta sono entrato in crisi sul serio». La moglie non disapprovò la scelta della loro ragazza. «Ed è grazie a lei che ho cominciato a cercare di rispondere a una domanda: chi è questo Gesù che ha fatto perdere la testa a mia figlia?». La risposta è in quello che Rick ha fatto dopo. Si è ripreso il suo nome khmer, Vierac, e adesso è a Phnom Penh.
La villa in California? Venduta. Le auto Lexus da centomila dollari? Vendute anche quelle. «E con i soldi diamo una mano ai missionari qui in Cambogia». Non ha paura di correre nel fango con padre Mario Ghezzi e raccogliere nelle bidonville i bambini malati. In un Paese senza assistenza sanitaria gratuita, Vierac li porta in ospedale a sue spese. E se dentro a una palafitta c’è una vecchia moribonda, Vierac e padre Mario si arrampicano e restano per ore dove nessuno resisterebbe più di cinque minuti. La vita di adesso per l’ingegner Tan è anche una rivincita sull’odio. «Mio padre? Chissà in quale fossa lo hanno gettato». Tra le cataste di scheletri rinvenuti nei campi della morte di Pol Pot, gli spettrali “killing fields”, potrebbe esserci quello del professor Tan. Quando i khmer rossi presero Phnom Penh, il papà di Vierac studiava a Parigi. «Gli dissero di tornare, che non gli sarebbe accaduto nulla». E il professore tornò. «Nessuno lo ha mai più visto», racconta il figlio. Sparito come ogni altro studioso. Era l’Anno Zero dell’era di Pol Pot. Basta intellettuali, basta libri, in mente solo l’utopia della purezza contadina. Perché fosse chiaro quale idea di istruzione avesse il regime, il peggiore centro di tortura fu stabilito nel liceo francese di Phnom Penh, che da quel momento sfornava 300 cadaveri al giorno. Anche per questo il ragazzo che si faceva chiamare Rick appena possibile fuggì in America. Adesso per lui è come riprendere la lettura di un libro dissepolto dalle macerie. «E purtroppo ora mi è più facile capire anche il grande limite filosofico della religione buddista, che in Cambogia ha forti inclinazioni animiste. La concezione del Kharma, del destino che non si può mutare, è un freno all’emancipazione dei poveri». La gente crede di doversi rassegnare alla cattiva sorte, «così facendo si spera di poter meritare la reincarnazione in un essere più avvantaggiato, più ricco». Perciò il cristianesimo è una rivoluzione che investe la sfera religiosa, ma non lascia immutato il contesto sociale. Come ogni innovazione incontra forti resistenze: «Gesù ci insegna a mettere a frutto i talenti ed essere così di aiuto al prossimo». E lo scanner, davvero non ne ha più uno in casa? «Certo che ce l’ho, mi serve per duplicare i passi del Vangelo e per tradurre in lingua khmer il catechismo ».
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