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Ieri il teologo svizzero Hans Küng ha fatto conoscere, tramite una lunga intervista su 'Repubblica', la sua delusione nei confronti dell’attuale pontefice che, tra l’altro, non avrebbe fatto le riforme necessarie per la Chiesa . Ma è proprio così? Benedetto XVI appena insediato sul soglio di Pietro ha riformato le cerimonie di beatificazione e canonizzazione, nel senso che le prime vengono ora celebrate nelle diocesi di appartenenza dei nuovi beati e da un cardinale demandato all’incarico dal Papa (di norma dal prefetto del cardinale dell’apposito dicastero pontificio), mentre le seconde rimangono riservate al Papa.
Questa piccola ma significativa riforma implica una maggiore valorizzazione delle Chiese locali, rende più evidente che l’infallibilità pontificia non riguarda le beatificazioni, ma - secondo l’opinione teologica prevalente - le sole canonizzazioni, e - perché no - evita anche tentazioni di natura affaristica. Un altro punto in cui il Papa ha impresso una marcia in più è stato nel contrasto del fenomeno degli abusi sessuali da parte di persone consacrate. E i bene informati sanno come in questa linea particolarmente intransigente il Papa abbia dovuto superare le obiezioni 'garantiste' che pure non erano mancate nella Curia romana. A proposito della quale poi, in tre anni di pontificato papa Ratzinger ha cambiato i vertici della Segreteria di Stato, 4 prefetti e 4 segretari (su 9) di Congregazione, 4 presidenti (su 11) dei Pontifici Consigli. E lo ha fatto senza privilegiare, come avveniva in passato, personalità provenienti dalla carriera diplomatica (e questo dovrebbe essere particolarmente apprezzato dai pensatori alla Küng…), e garantendo una pluralità di sensibilità (tanto che in Curia oggi si possono contare figli spirituali del cardinal Siri, ma anche di padre Turoldo…). Certo non c’è stata quella riforma complessiva della Curia romana che qualcuno, soprattutto i media e non si sa con quanto fondamento reale, si aspettava. Ma forse papa Benedetto XVI non ha puntato molto il suo pontificato su massive 'riforme istituzionali', in fondo c’erano già state con Paolo VI e Giovanni Paolo II, ma sulla trasmissione dell’essenziale dei contenuti della fede cristiana attraverso i documenti solenni come le encicliche sulla carità e sulla speranza, informali come il libro su «Gesù di Nazaret », senza contare le catechesi del mercoledì e le omelie più solenni (anche se forse gli interventi più efficaci del Papa sono stati quelli in cui sollecitato dalle domande di giovani, seminaristi o sacerdoti, ha risposto 'a braccio'). Benedetto XVI poi ha reintrodotto la regola obbligatoria dei due terzi per l’elezione del Papa e ha innovato i regolamenti del Sinodo introducendo il dibattito. E ha proseguito il dialogo ecumenico e quello interreligioso, sempre avendo l’ermeneutica della continuità come griglia interpretativa del Concilio Vaticano. In questo senso ha emesso il 'motu proprio' che ha liberalizzato l’uso del messale pre-conciliare, ma allo stesso tempo ha detto chiaramente ai lefebvriani che sulla questione della libertà religiosa e del dialogo ecumenico e religioso, appunto, non si torna indietro. Certo, Benedetto XVI non ha fatto le riforme che piacerebbero a Küng e a chi la pensa come lui: ad esempio non ha abolito il celibato sacerdotale, non ha cambiato la dottrina morale cattolica tradizionale espressa dall’«Humanae vitae», e neanche le norme che regolano le nomine dei vescovi. Ma è difficile pensare che i cardinali che hanno eletto, rapidamente e per i cattolici - con l’assistenza dello Spirito Santo, Ratzinger, pensassero che queste riforme fossero necessarie per la Chiesa . È lecito poi dubitare che siano avvertite come tali dalla stragrande maggioranza dei fedeli che partecipano abitualmente alla santa messa o dei fedeli che conservano un legame, seppur flebile, con la Chiesa in cui sono stati battezzati. E soprattutto, è proprio sicuro Küng che queste riforme siano proprio quello che il buon Gesù vuole dalla Sua Chiesa ?
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