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Fallisce il tentativo di far passare a pochi giorni dalle urne un discutibile documento che, volendo affrontare il fenomeno degli aborti, riesce a non citare mai chi si fa carico delle maternità difficili, interessandosi invece quasi solo di contraccezione. Il dissenso della Lombardia rinvia la delicata scelta a dopo il voto.
Le linee guida alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza proposte dal ministro della Salute Livia Turco non sono state approvate. La titolare della Salute aveva cercato un accordo con le Regioni giovedì scorso, quando in Conferenza Stato-Regioni aveva sottoposto il proprio testo ai presidenti. Quello della Lombardia era stato l’unico voto contrario, ma sufficiente a impedire l’intesa, che richiede l’unanimità.
Un’opposizione più che motivata, sia sul piano formale che sostanziale.
Nell’ambito della sua competenza regionale, infatti, la Lombardia ha già emanato con una deliberazione della giunta, le proprie linee guida, in vigore da gennaio. Ieri la partita decisiva.
Già in mattinata il confronto tra i governatori delle Regioni aveva fatto emergere posizioni ancora distanti, soprattutto per il fatto che in settimana, pur sapendo del no lombardo, il Ministero non aveva fatto nulla per trovare un accordo né si era lavorato insieme per modificare la discutibile bozza ministeriale. In pratica nonostante il mancato accordo della settima scorsa, il testo della Turco era stato rimesso tale e quale sul piatto della riunione di ieri, con la ferma determinazione di farlo passare ribadita martedì dal ministro. Ma «sino a ieri non è stato convocato alcun tavolo per migliorare il documento, rendendolo compatibile con quanto già legiferato dalle Regioni, così come aveva assicurato la Turco» ha affermato Romano Colozzi, assessore alle Finanze della Lombardia che in qualità di delegato per i Rapporti istituzionali partecipa alla Conferenza. Per questo, ha proseguito l’assessore, «la nostra posizione resta quella già espressa e non è pretestuosa perché questo documento è incoerente rispetto alla 194. Sembra inneggiare più alla prevenzione della maternità che dell’aborto».
E così già ieri mattina il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani (Emilia Romagna) ha chiesto e ottenuto dal ministro per gli Affari regionali Linda Lanzillotta di depennare la questione dall’odg della riunione prevista nel pomeriggio. «Ognuno è rimasto sulle proprie posizioni – ha dichiarato il sottosegretario alla Salute Serafino Zucchelli, intervenuto ieri per conto della Turco – e sul tema è intervenuta la campagna elettorale che ha tolto serenità di giudizio. Non c’è l’intesa delle Regioni e quindi il documento lo teniamo nel cassetto». La questione sarà probabilmente lasciata in eredità al prossimo titolare della Salute, visto che, almeno per ora, quella di ieri risulta essere l’ultima Conferenza prima delle elezioni.
Non sembra esserci né il tempo né il clima per trovare un accordo, e soluzioni differenti da parte del ministro risulterebbero inopportune da parte di un governo dimissionario a due settimane dalla nuova legislatura. L’unica ipotesi possibile sarebbe quella di inviare queste linee guida come atto di indirizzo, cosa che lascerebbe alle Regioni l’autonomia di decidere se accoglierle o no. Ma anche questo suonerebbe come un gesto politico, che farebbe carta straccia della necessità di tracciare una strada il più possibile condivisa e coerente con la legge.
Insomma, meglio non fare nulla, per ora.
Dall’anno della sua promulgazione (1978) la legge 194 in realtà non ha mai avuto un regolamento attuativo, anche perché la norma – al contrario della legge 40 – non lo prevede espressamente.
In un momento in cui è incandescente la discussione sul tema dell’aborto, e in cui c’è ampio consenso sulla necessità di una migliore applicazione della parte preventiva della legge, rimasta sinora lettera morta, le linee guida costituiscono dunque uno strumento da maneggiare con cura.
Un’occasione da non sperperare, per rendere effettivi tanti discorsi sulla necessità di lavorare per offrire un sostegno alle maternità difficili e cercare di eliminare le cause che inducono ad abortire.
Nel documento presentato dal ministro Turco si parla molto di metodi anticoncezionali – afferma Lucio Romano, vice presidente del Movimento per la vita e ginecologo all’Università Federico II di Napoli – ma non si menziona la prevenzione postconcezionale. I problemi che siamo chiamati a risolvere riguardano una donna che si trova in difficoltà a causa di una gravidanza: è il momento postconcezionale quello più delicato, in cui è necessario offrire assistenza psicologica, umana ed economica». Ed è il lavoro che il Mpv, attraverso i Centri di aiuto alla vita, cerca di realizzare dal ’78, fornendo sostegno a chiunque vi si rivolga. Un ruolo riconosciuto anche dalla 194, che però nelle linee guida ministeriali non viene mai menzionato: «Mi chiedo perché si tende sempre a disattendere il ruolo dei Cav – prosegue Romano –, come se la loro azione fosse invasiva, non rispettosa della donna. In realtà, si pongono sempre con un atteggiamento di umile e competente disponibilità». E la prassi sembra darne una conferma: «Più di 100 mila bambini sono nati grazie al lavoro dei volontari, che si fanno carico della madre e del bambino a livello globale. Se consideriamo solo l’aiuto economico che i Cav forniscono alle madri in difficoltà – 160 euro mensili per 18 mesi a ciascuna – otteniamo una somma che supera qualsiasi cifra che potrebbe essere stanziata dal governo». Una risposta a 360 gradi, e che invece nel documento ministeriale manca del tutto: «Non possiamo dare risposte di tipo esclusivamente tecnico, anche perché queste potremmo trovarle tranquillamente in qualsiasi reparto ospedaliero di ginecologia, ma anche di tipo antropologico ed etico, sulle quali la 194 ci interpella. Le soluzioni contenute nelle linee guida ministeriali lasciano trasparire una cultura che favorisce la deresponsabilizzazione; non rispettano la complessità della materia. Un’autentica cultura della vita si fa carico dell’essere umano già concepito, non soltanto della prevenzione anticoncezionale. Tutti parlano di cultura della vita, e le linee guida potrebbero essere un’occasione per tradurre queste parole in politica».
Concorda Marina Duga, psicologa e psicoterapeuta: «È del tutto assente un discorso di tipo educativo. Anche laddove si fa cenno all’informazione e al miglioramento dei servizi, il documento ministeriale si mantiene sempre su un piano procedurale. Invece, soprattutto nel caso di gravidanze in età adolescenziale, è fondamentale dare spazio al confronto e alla riflessione, visto che il problema è spesso legato a fattori di non consapevolezza di sé, cosa che necessita l’intervento dell’adulto per aiutare a crescere, e non solo a evitare il danno». Per le linee guida, in altre parole, occorre pensarci meglio.
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