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« Torna alla edizione
Nel 1985 apparve un libro che fece scalpore: il Rapporto sulla fede del cardinale Joseph Ratzinger, in cui, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto forma di intervista a Vittorio Messori, metteva in luce la crisi religiosa seguita al Concilio Vaticano II. «È incontestabile – diceva il cardinale Ratzinger – che gli ultimi vent’anni sono stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa Cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI».
Passarono altri vent’anni e lo stesso cardinale Ratzinger, il Venerdì santo del 2005, alla vigilia della sua elezione al pontificato, fece un’altra affermazione che colpì per la sua forza: «Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! [Gesù]».
Oggi, nella sua Lettera ai cattolici di Irlanda del 19 marzo 2010, Benedetto XVI è ancora più esplicito: ricorda che negli anni Sessanta del Novecento fu «determinante (…) la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento del Concilio Vaticano fu a volte frainteso» e vi fu «una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari». «È in questo contesto generale» di «indebolimento della fede» e di «perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti (…) che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi».
La visione degli scandali morali che emerge da queste parole è esattamente antitetica a quella che affiora dalla stampa progressista internazionale. Chi oggi mette sotto accusa il Papa e le gerarchie ecclesiastiche pretende che la causa degli abusi dei sacerdoti stia nell’istituzione del celibato e nella “repressione” cattolica della sessualità. Ma i fatti sotto i nostri occhi dimostrano esattamente il contrario: la decadenza morale del clero ha avuto origine, negli anni del post-concilio, proprio quando la “nuova teologia” rifiutò la morale tradizionale per far propria la mitologia della “Rivoluzione sessuale”.
Occorre ricordare infatti che, durante i lavori del Vaticano II prese forma l’idea di una Chiesa non più militante, ma peregrinante, in ascolto dei segni dei tempi, pronta a rinunziare alla verginità della sua dottrina, per lasciarsi fecondare dai valori del mondo. Offrirsi ai valori del mondo significava rinunziare ai propri valori, a cominciare da quello che è più intrinseco al Cristianesimo: l’idea del Sacrificio, che dal mistero della Croce discende in ogni aspetto della vita ecclesiale, fino alla dottrina morale, che un tempo ispirava la vita di ogni battezzato, chierico o laico che fosse.
Il Concilio impose ai vescovi, come un dovere, la “sociologia pastorale”, raccomandando di aprirsi alle scienze del mondo, dalla sociologia alla psicanalisi. In quegli anni era stato riscoperto lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un manicomio americano nel 1957. Herbert Marcuse ed Eric Fromm ne seguirono la musica.
Nel suo libro-manifesto La Rivoluzione sessuale, Reich aveva sostituito alle categorie della borghesia e del proletariato quelle di repressione e di liberazione, intendendo con questo ultimo termine la pienezza della libertà sessuale. Ciò implicava la riduzione dell’uomo a un insieme di bisogni fisici e, in ultima analisi, ad energia sessuale. La famiglia, fondata sul matrimonio monogamico indissolubile tra un uomo e una donna, era vista come l’istituto sociale repressivo per eccellenza: nessuna considerazione sociologica poteva autorizzarne la sopravvivenza.
Una nuova morale, basata sull’esaltazione del piacere, avrebbe presto spazzato via la morale tradizionale cristiana, che attribuiva un valore positivo all’idea di sacrificio e di sofferenza.
La nuova teologia, spinta dal suo abbraccio ecumenico ai valori del mondo, cercò l’impossibile dialogo tra la morale cristiana e i suoi nemici. I corifei della “nuova morale”, definiti da qualcuno “pornoteologi”, sostituivano alla oggettività della legge naturale, la “persona”, intesa come volontà progettante, sciolta da ogni vincolo normativo e immersa nel contesto storico-culturale, ovvero nell’“etica della situazione”. E poiché il sesso costituisce parte integrante della persona, rivendicavano il ruolo positivo della sessualità, anche perché, a dir loro, il Concilio insegnava che solo nel rapporto dialogico con l’altro, la persona umana si realizza.
Citavano a questo proposito il concetto secondo cui «ho bisogno dell’altro per essere me stesso», fondato sul n. 24 della Gaudium et Spes, “magna charta” del progressismo postconciliare. Basta purtroppo entrare in qualsiasi libreria cattolica per trovare sugli scaffali i libri di questi pseudo-moralisti stampati dalle principale case editrici cattoliche.
Oggi però registriamo il fallimento della “porno-teologia” e la necessità di ritornare agli insegnamenti della morale tradizionale, riscoprendo i valori della penitenza e del sacrificio. Va ribadito dunque che, malgrado i peccati di tanti suoi figli, la Chiesa Cattolica non è mai “peccatrice”, ma resta sempre santa e immacolata nella sua natura e nella sua essenza.
La ragione di questa santità integrale della Chiesa è la santità stessa di Dio, Uno e Trino, e di Gesù Cristo Capo e fondatore del Corpo Mistico. Santo è il Vangelo della Chiesa, santa la sua verità, santi e salvifici sono i suoi sacramenti. Le colpe morali dei membri della Chiesa non ne distruggono la santità morale, perché le mancanze dipendono dall’abuso del libero arbitrio degli uomini, non dall’insufficienza dei suoi mezzi di salvezza.
Anche nei periodi di crisi morale registrati nella sua storia, la dottrina e la legge della Chiesa rimangono identiche nella loro intrinseca santità, operando nelle anime di buona volontà gli stessi benefici effetti dei tempi di splendore.
L’unica soluzione alla gravissima crisi morale dei nostri tempi sta nello spirito di vera riforma della Chiesa indicato da Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici di Irlanda. Il richiamo alla penitenza che costituisce il filo conduttore del documento non è mai disgiunto dall’appello «agli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente» che nel passato resero grande l’Irlanda e l’Europa e che ancora oggi possono rifondarla (n. 3).
L’invito ai fedeli irlandesi «ad aspirare ad alti ideali di santità, di carità e di verità e a trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale» (n. 12) suona come un appello a tutti i cattolici e agli uomini di buona volontà per ritrovare l’unico fondamento della ricostruzione morale e sociale in Gesù Cristo, «che è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb. 13,8).
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