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L'ultima immagine del caleidoscopio offertaci dagli scontri di Roma è quella del padre di "er pelliccia" che dichiara: "Io pensavo che mio figlio stava all'università" (psicologia, per la cronaca). Invece lanciava estintori alle forze dell'ordine. Lo "studente" dice di essersi "lasciato trascinare dagli avvenimenti" (sai com'è, vedi qualcuno che incendia un blindato e ti parte di mano un estintore...), confermando l'immagine di "bravo ragazzo" fornita dal papà. Un "bravo ragazzo", di buona famiglia, con qualche precedente per droga.
Vengono in mente altri padri di "bravi ragazzi" di buona famiglia, ad esempio quello di Carlo Giuliani (anche se dalle intercettazioni emerge un altro ritratto del "bravo ragazzo" morto dieci anni fa a Genova). In questi padri non colpisce tanto la difesa ad oltranza del figlio; nemmeno la banalizzazione dei reati e dei precedenti commessi. Quello che colpisce è l'assoluta mancanza di vergogna.
Potremmo pensare che non è lecito aspettarsi dei sentimenti di vergogna da parte di chi non ha fatto nulla di male. Ma in questo caso faremmo torto alla genitorialità, che implica la responsabilità da parte dei genitori per l'educazione impartita ai figli.
Questo non significa che "le colpe dei figli ricadono sui padri". Non significa nemmeno che i genitori non possano commettere errori. Di genitori perfetti non ne esistono, e non ne sono mai esistiti. Tutti i genitori hanno sbagliato, e il mondo è andato avanti lo stesso. Tutti i genitori hanno sbagliato, e tutti hanno creato delle sofferenze (chi più, chi meno) ai figli; ma mai con l'intenzione di fare loro del male.
Tuttavia è singolare che i padri non provino vergogna per le colpe dei figli, non se ne sentano (a torto o a ragione) responsabili, non si chiedano se e dove abbiano sbagliato.
Perché i genitori (anche se non sono responsabili delle azioni dei loro figli, soprattutto se maggiorenni) sono responsabili dell'educazione dei figli, anche quando non lo sanno.
In effetti si nota una tendenza sempre più evidente: quella dei genitori deleganti (la loro responsabilità educativa). Delegano ai nonni, alle insegnanti, allo psicologo, al prete, persino ai loro stessi figli. Sono i figli a potere (e dovere) decidere cosa indossare, cosa mangiare, cosa comprare. Anche se, ovviamente, non solo non hanno alcun criterio di scelta, ma non hanno neppure la capacità cognitiva per decidere se a gennaio sia meglio indossare la canottiera di Hello Kitty o la maglietta di Ben Ten. Quante volte capita di sentire "Sa, lui non vuole..." (ad esempio prendere le medicine), o "A lei piace..." (qualche schifezza imbevibile o immangiabile) e di trovarsi a pensare che forse non sono i bambini a dover decidere se prendere o non prendere le medicine, cosa e quando mangiare. Il fatto che decidano i bambini non è affatto, come si crede, responsabilizzante, anzi: essere responsabili significa essere capaci di rispondere delle proprie azioni, presuppone quindi che ci sia qualcuno che chiede conto delle nostre azioni. Ma questi bambini non devono rendere conto a nessuno, quindi (giustamente) non sono responsabili. I genitori, invece, sono responsabili, nel senso che devono rendere conto (alla società) delle azioni del figlio.
Certo, assumersi delle responsabilità implica il dover dire di no; un piccolo sacrificio che i genitori hanno sempre fatto per il bene dei figli. Ma che ora pare non siano più disposti a fare.
Qualcuno dice per comodità; e certamente affrontare un litigio a rischio di Telefono Azzurro per un sorso di Coca Cola è un'impresa che fa tremare i polsi a chiunque.
Ma forse anche perché i genitori sono stati terrorizzati dai famosi "esperti": guai a provocare traumi, a minare l'autostima dei bambini! Senza pensare che i traumi fanno parte della vita e che l'autostima si forma conoscendo i propri limiti.
Oppure perché i ruoli genitoriali sono stati stravolti, invertiti (è sempre più facile imbattersi in papé e mammi), confusi con altri (l'amico, il compagno di giochi, il baby sitter...).
O magari perché lo stato è diventato così invadente che i genitori pensano che sia la scuola, lo stato, la società a dover educare i propri figli.
Sia come sia, anche questa è educazione.
Non rimpiangiamo certo l'educazione "all'antica", fatta talvolta di ricatti morali e sensi di colpa; ma forse questa educazione "deresponsabilizzata" e (di conseguenza) "deresponsabilizzante" non è il massimo.
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