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Son passati tre mesi e mezzo da quando la stampa di tutto il mondo annunciò ai quattro venti con tanto di fanfare la riapertura dei rapporti diplomatici tra Cuba e gli Stati Uniti. Attribuendone la paternità a papa Francesco, che salutò la «decisione storica - son parole sue - con vivo compiacimento». Il Corriere della Sera affermò che il Pontefice s'era «speso in prima persona», scrivendo e telefonando tanto a Raúl Castro quanto ad Obama e favorendo «la liberazione di alcuni detenuti, a cominciare dall'americano Allan Gross, in carcere a Cuba da 5 anni».
Evidentemente, però, qualcosa non ha funzionato o, quanto meno, l'effetto è già finito. Acquisendo il sapore amaro della farsa. Poiché da una parte il regime comunista cubano avvia il dialogo sui diritti umani con una delegazione statunitense a Washington, ma dall'altra a marzo ha proceduto ad effettuare almeno 610 arresti del tutto arbitrari, per motivi politici. Si tratta della cifra più alta degli ultimi sette mesi.A denunciarlo, è stata nel proprio rapporto mensile (ripreso dal quotidiano spagnolo Abc) la Cchm, Commissione Cubana dei Diritti Umani e della Riconciliazione Nazionale, organizzazione dissidente operante sull'isola: «Era risaputo che vi fosse la tendenza ad incrementare tali azioni repressive - si legge - abbiamo identificato 95 casi di persone, che han già patito anche altre forme di repressione politica, incluse aggressioni fisiche, vessazioni ad opera della Polizia o atti vandalici». La Commissione è pessimista sull'eventualità che la situazione possa migliorare: il governo, infatti, pare immobile ed impermeabile a qualsiasi sollecitazione o proposta circa l'avvio delle «urgenti riforme giuridiche, economiche e politiche, di cui ha bisogno viceversa il popolo di Cuba». Ad esempio, lo stipendio medio dei lavoratori cubani è di circa 20 dollari al mese (18,3 euro), secondo le stime ufficiali; ma, al contempo, si nega loro qualsiasi tutela professionale o sindacale, compresi il «diritto di sciopero e di costituire organizzazioni sindacali indipendenti».
Contemporaneamente anche il Cihpress, Centro di Informazioni Hablemos Press, ha registrato 613 detenzioni, dovute a motivi politici. Di queste, oltre un centinaio sono donne appartenenti al movimento delle Damas de Blanco, arrestate - si badi - «mentre uscivano di casa, per andare alla S. Messa nelle diverse chiese del Paese», spiega il rapporto diffuso il 2 aprile scorso. Non solo: Cihpress informa anche del fatto che i membri dell'Unpacu, Unione Patriottica di Cuba e di Cittadinanza per la Democrazia, sono stati fermati «con l'uso della forza, quando tentavano di assistere alla S.Messa a Santiago de Cuba».
La Ccdhrn, guidata dall'attivista Elizardo Sánchez, pone in rilievo come il Paese caraibico «continui a criminalizzare il normale esercizio di tutti i diritti civili e politici» e ricorda come la legislazione penale cubana mantenga ancora vigente il reato definito di «pericolosità sociale pre-criminale», per i quali possono essere inflitti anche quattro anni di carcere.
Sebbene le fucilazioni dal 2003 siano cessate e sebbene le lunghe pene detentive inflitte agli oppositori siano «diminuite negli ultimi dieci anni», il regime comunista di Fidel e Raúl Castro «continua a reprimere, spesso brutalmente, qualsiasi espressione di dissenso pacifico». E, guarda caso, tra i più colpiti risultano ancora una volta esserci i Cattolici. Qualcuno lo dica in Vaticano...
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